"Tempo Perso - Alla ricerca di senso nel quotidiano"

14 NOVEMBRE 2010    -   XXXIII DOMENICA Del Tempo Ordinario   - Anno C - 


                                                                                                 

"LECTIO" DEL VANGELO DELLA DOMENICA a cura di fr. Egidio Palumbo 

Prima lettura: Ml 3,19-20       Salmo: 97      Seconda lettura: 2Ts 3,7-12

   

VANGELO secondo Luca  21,5-19



In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta».
Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine».
Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo.
Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere.
Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto.
Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita».







                                                                                                 





La speranza per un futuro

diverso e credibile

 

1. Puntualmente ogni anno, al termine dell’anno liturgico, la Chiesa ci invita ad ascoltare una parte del grande discorso escatologico-apocalittico di Gesù, che nel vangelo di Luca è situato al cap. 21. “Escatologico” vuol dire rivolto al futuro, a ciò che costituisce il fine, la meta ultima che dà un senso e un significato alla vita cristiana, vale a dire: la venuta del Signore e del suo Regno. “Apocalittico” non significa catastrofico, ma discorso rivelativo: con l’evento della risurrezione del Signore Gesù muore già oggi il nostro modo di vivere da disumani in questo mondo e ne nasce un altro.

Quando nel Padre Nostro invochiamo «venga il tuo Regno» e quando nella celebrazione eucaristica diciamo: «annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta», stiamo evocando le pagine di Lc 21 (e anche quelle corrispondenti degli altri evangeli).

 

2. Il discorso escatologico-apocalittico di Lc 21 ha un suo centro che costituisce la chiave di lettura di tutto il discorso. Il centro è nei vv. 27-28: «Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina».

Qui siamo invitati a contemplare («allora vedranno…») negli eventi della nostra storia la presenza del Cristo Risorto («con grande potenza e gloria») veniente in mezzo a noi con i segni dell’uomo crocifisso («il figlio dell’uomo»), cioè con i segni di una vita donata per gli altri, senza misura e senza confini. Ed è l’evento di questa venuta che ci rimette in piedi con la testa alta, come uomini e donne risorti e liberi, non più soggetti a nessuna forma di schiavitù.

Ecco: tutto il discorso escatologico-apocalittico di Lc 21 deve essere ascoltato, letto, meditato e pregato alla luce del Crocifisso Risorto Veniente negli avvenimenti del nostro oggi.

 

3. Ci possiamo chiedere: perché il Cristo viene? E perché attenderlo?

La pagina del vangelo di questa domenica (Lc 21,5-19) ci dice che la venuta e l’attesa del Cristo veniente è un evento scomodo per il cristiano: gli fa prendere coscienza che nei tempi di crisi – crisi religiosa (il tempio che si dissolve), politica (guerre), sociale (rivoluzioni), ambientale (terremoti, carestie, pestilenze) – il cristiano non si lascia attrarre da una certa estetica esteriore (le belle pietre del tempio), non si adegua facendo finta di nulla, non si volta dall’altra parte per non vedere, né specula e “investe” sulla paura altrui per presentarsi come un nuovo messia («Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro!»), ma impara, in solidarietà con tutte le vittime dell’ingiustizia, a sperare tempi migliori, anche a costo di essere emarginato e perseguitato, anche a costo di essere minoranza; perché sa, a motivo della risurrezione del Signore, che questi tempi di crisi sono destinati alla fine, sa che un certo modo di vivere la vita cristiana, la vita sociale e politica e il rapporto con l’ambiente dai tratti fortemente disumanizzanti, schiavizzanti e arroganti, non ha futuro.

La venuta del Signore nella nostra storia dichiara la fine di tutto questo. Egli brucia tutte le nostre costruzioni idolatriche religiose, sociali e politiche, per far nascere in noi «il sole di giustizia» (prima lettura: Mal 3,19-20). Questo è il suo giudizio salvifico su di noi e sulla nostra storia (salmo responsoriale: Sal 98). Un giudizio salvifico non per incutere paura e terrore, ma per aprire verso di noi la strada della conversione, del cambiamento di mentalità e di stile di vita.

 

Preghiamo il Signore che ci dia la grazia di rimanere “cultori del suo nome” e non di altri nomi…, e di imparare a vivere i nostri giorni nella speranza di un futuro diverso per questo nostro mondo.

Certo, il Signore chiede la nostra collaborazione. Perciò, come Paolo, siamo chiamati a lavorare onestamente senza di essere di peso ad alcuno (seconda lettura: 2Ts 3,7-12), facendo del nostro lavoro un dono per gli altri (At 20,35), un occasione propizia per dare, nel nostro piccolo, un futuro credibile a questo nostro mondo.


                                                                                        Egidio Palumbo
Barcellona PG (ME)