"Tempo Perso -
Alla ricerca di
senso nel quotidiano"
14 NOVEMBRE 2010 - XXXIII DOMENICA Del Tempo Ordinario - Anno C -
Prima lettura: Ml 3,19-20 Salmo: 97 Seconda lettura: 2Ts 3,7-12
VANGELO secondo Luca 21,5-19
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diverso e credibile
1. Puntualmente
ogni anno, al termine dell’anno liturgico, la Chiesa ci invita ad ascoltare una
parte del grande discorso escatologico-apocalittico
di Gesù, che nel vangelo di Luca è situato al cap. 21. “Escatologico” vuol dire
rivolto al futuro, a ciò che
costituisce il fine, la meta ultima che dà un senso e un
significato alla vita cristiana, vale a dire: la venuta del Signore e del suo Regno. “Apocalittico” non significa
catastrofico, ma discorso rivelativo:
con l’evento della risurrezione del Signore Gesù muore già oggi il nostro modo di vivere da disumani in questo mondo e
ne nasce un altro. Quando nel Padre Nostro invochiamo «venga il tuo Regno» e quando nella
celebrazione eucaristica diciamo: «annunciamo la tua morte, Signore,
proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa
della tua venuta», stiamo evocando le pagine di Lc 21 (e anche quelle
corrispondenti degli altri evangeli). 2. Il discorso
escatologico-apocalittico di Lc 21 ha un suo centro che costituisce la chiave di lettura di tutto il discorso.
Il centro è nei vv. 27-28: «Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una
nube con grande potenza e gloria. Quando cominceranno ad accadere queste cose,
risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina». Qui siamo invitati a contemplare («allora vedranno…») negli eventi
della nostra storia la presenza del Cristo Risorto («con grande potenza e
gloria») veniente in mezzo a noi con
i segni dell’uomo crocifisso («il figlio dell’uomo»), cioè con i segni di una
vita donata per gli altri, senza misura e senza confini. Ed è l’evento di
questa venuta che ci rimette in piedi con la testa alta, come uomini e donne risorti e liberi, non più soggetti a nessuna forma di schiavitù. Ecco: tutto il discorso escatologico-apocalittico di Lc 21 deve essere
ascoltato, letto, meditato e pregato alla luce del Crocifisso Risorto Veniente
negli avvenimenti del nostro oggi. 3. Ci possiamo
chiedere: perché il Cristo viene? E perché attenderlo? La pagina del vangelo di questa domenica (Lc 21,5-19) ci dice che la venuta e l’attesa del Cristo veniente è un evento scomodo per il cristiano: gli fa prendere coscienza che nei tempi di crisi – crisi religiosa (il tempio che si dissolve), politica (guerre), sociale (rivoluzioni), ambientale (terremoti, carestie, pestilenze) – il cristiano non si lascia attrarre da una certa estetica esteriore (le belle pietre del tempio), non si adegua facendo finta di nulla, non si volta dall’altra parte per non vedere, né specula e “investe” sulla paura altrui per presentarsi come un nuovo messia («Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro!»), ma impara, in solidarietà con tutte le vittime dell’ingiustizia, a sperare tempi migliori, anche a costo di essere emarginato e perseguitato, anche a costo di essere minoranza; perché sa, a motivo della risurrezione del Signore, che questi tempi di crisi sono destinati alla fine, sa che un certo modo di vivere la vita cristiana, la vita sociale e politica e il rapporto con l’ambiente dai tratti fortemente disumanizzanti, schiavizzanti e arroganti, non ha futuro. La venuta del
Signore nella nostra storia dichiara la fine di tutto questo. Egli brucia
tutte le nostre costruzioni idolatriche religiose, sociali e politiche, per far
nascere in noi «il sole di giustizia» (prima lettura: Mal 3,19-20). Questo è il
suo giudizio salvifico su di noi e sulla nostra storia (salmo responsoriale:
Sal 98). Un giudizio salvifico non per incutere paura e terrore, ma per aprire
verso di noi la strada della conversione, del cambiamento di mentalità e di
stile di vita. Preghiamo il Signore che ci dia la grazia di rimanere “cultori del suo
nome” e non di altri nomi…, e di imparare a vivere i nostri giorni nella speranza
di un futuro diverso per questo nostro mondo. Certo, il Signore chiede la nostra collaborazione. Perciò, come
Paolo, siamo chiamati a lavorare onestamente senza di essere di peso ad alcuno
(seconda lettura: 2Ts 3,7-12), facendo del nostro lavoro un dono per gli altri
(At 20,35), un occasione propizia per dare, nel nostro piccolo, un futuro
credibile a questo nostro mondo.
Egidio Palumbo |