"Tempo Perso - Alla ricerca di senso nel quotidiano"
27 APRILE 2008 VI Domenica di Pasqua - ANNO A -
"LECTIO" DEL VANGELO DELLA DOMENICA a cura di fr. Egidio Palumbo |
Prima lettura: At 8,5-8.14-17 Salmo 65 Seconda lettura: 1Pt 3,15-18
VANGELO secondo Giovanni 14,15-21 In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli
15Se mi amate, osserverete i miei comandamenti. 16Io
pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con
voi per sempre, 17lo Spirito di verità che il mondo non può
ricevere, perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete, perché
egli dimora presso di voi e sarà in voi. |
La Parola “sacramento” della presenza del Risorto
1. Continua l’itinerario mistagogico del tempo pasquale facendoci prendere coscienza in questa domenica del valore sacramentale della Parola di Dio, la quale nell’odierna pagina del vangelo assume il nome di “comandamenti” (Gv 14,15-21). Questa pagina del vangelo, che segue quella di domenica scorsa, è un breve e denso passaggio tratto da quella grande conversazione intima e familiare (Gv 13,31-16,33) che Gesù intrattiene con i discepoli durante l’ultima cena dopo aver lavato i piedi dei discepoli come segno di amore fino al dono di sé (Gv 13,1) e dopo che è uscito Giuda per consumare la sua consegna/tradimento. Ebbene, nel sottofondo della conversazione vi è una domanda che ritorna con insistenza e che possiamo formulare così: come vivere il tempo dell’assenza fisica di Gesù? È la domanda che riguardava i discepoli che hanno conosciuto di persona Gesù e che hanno vissuto con Lui. Ma nondimeno riguarda anche noi oggi. Nell’evangelo di domenica scorsa (Gv 14,1-12) veniva data una risposta che ci responsabilizza in prima persona: noi, sia a livello ecclesiale che personale, siamo chiamati a diventare il “luogo”, la “dimora” della presenza del Risorto in questo mondo. E nel vangelo di questa domenica?
2. La pagina si apre e si chiude — è lo stile dell’inclusione — con il riferimento all’amore e ai comandamenti da custodire: «Se mi amate, custodirete i miei comandamenti» (Gv 14,15); «Chi accoglie i miei comandamenti e li custodisce, questi mi ama» (Gv 14,21), con l’espansione del versetto: «Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui». “Custodire i comandamenti” significa custodirli come si custodisce un tesoro prezioso, ascoltarli con attenzione e profondità, viverli affrontando la complessità della vita quotidiana. I “comandamenti”, già è stato accennato, indicano la Parola di Dio che ci narra come Dio ama le sue creature, come vuole incontrarle e stabilire con loro una relazione di comunione sponsale. Qui è scritto «miei comandamenti», non nel senso di un possesso padronale, ma che i comandamenti/Parola di Dio Gesù li ha ascoltati, interiorizzati, approfonditi e vissuti Lui per primo. Da qui si comprende perché in Gv 14,15 l’amore (e qui si parla di amore gratuito, fedele, non di un sentimento passeggero) è una scelta che precede la custodia della Parola (si custodisce una cosa e/o una persona che si ama…), e nello stesso tempo in Gv 14,21 è una scelta che segue, che scaturisce dalla custodia della Parola. Come a dire: siamo capaci di amare perché Dio ci ha amato e ci ama per primo (Gv 13,1.34; 1Gv 4,10.19); è l’amore di Dio per noi — per noi che spesso siamo infedeli, incoerenti, idolatri… — che ci rende capaci di amare Lui e gli altri che stanno accanto. L’espansione di Gv 14,21 «Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui» non va intesa come il premio che il Padre e il Figlio danno a chi li ama; come se Gesù dicesse: “se tu mi ami, il Padre ed io ti ameremo; se invece tu non mi ami, noi non ti ameremo”. No, sarebbe come proiettare in Dio i nostri “giochi” e “ricatti psicologici”… Il «chi mi ama» è preceduta dal «dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine» (Gv 13,1), dal «come io vi ho amati» (Gv 13,34).
3. All’interno dell’inclusione dei vv. 15 e 14, i vv. 16-20 parlano dello Spirito e della venuta del Figlio. Lo Spirito è detto “Paraclito” (“Consolatore”), che significa “colui che è chiamato a stare accanto” a noi per orientare, ispirare il cammino della nostra vita. È detto anche “Spirito della verità”, poiché ci comunica la fedeltà (“verità” è sinonimo di “fedeltà”) del Padre e del Figlio. Riguardo al Figlio è detto che non ci lascia orfani, ma che viene (il verbo è al presente) presso di noi (Gv 14,18). Dunque vi è una relazione molto stretta tra la Parola di Dio (i comandamenti), lo Spirito e il Figlio: quando la Parola di Dio comunica al credente la forza dello Spirito e la presenza del Figlio che viene qui ed ora. Si tratta della sacramentalità della Parola di Dio, Parola efficace che dona lo Spirito e la vita, come altrove è scritto nel vangelo di Giovanni (Gv 6,63) e come troviamo un po’ più avanti nello stesso vangelo: «Se uno mi ama, custodirà la mia parola, e il Padre mio lo amerà, e noi verremo presso di lui e faremo la dimora presso di lui» (Gv 14,23). Come vivere allora il tempo dell’assenza fisica del Signore? Custodendo i suoi comandamenti, cioè la sua Parola, che è sacramento della sua Presenza in mezzo a noi. È poca cosa? Forse sì, per chi ha una visione pragmatica e utilitaristica della vita cristiana, molto prossima alla funzione di “religione civile”. Al contrario, è proprio la Parola di Dio, accolta, vissuta e annunciata nella sua efficacia sacramentale, che costruisce la Chiesa come popolo di Dio in cammino nella storia (prima lettura: At 8,5-8.14-17; salmo responsoriale: Sal 66) e gli dona la capacità di rendere ragione della speranza che lo abita, cioè Cristo Signore, senza arroganza e supponenza, ma con mitezza e rispetto (seconda lettura: 1Pt 3,15-18). Non è poca cosa: è prendere sul serio la vita cristiana. Egidio Palumbo Barcellona PG (ME)
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