"Tempo Perso - Alla ricerca di senso nel quotidiano"

21 OTTOBRE 2007                                                  XXIX    DOMENICA del Tempo Ordinario - Anno C

"LECTIO" DEL VANGELO DELLA DOMENICA a cura di fr. Egidio Palumbo 

Prima lettura: Es 17, 8-13a          Salmo 120          Seconda lettura: 2 Tm 3, 14 - 4, 2

VANGELO secondo  Luca  18,1-8

1 Raccontò loro una parabola per mostrare che dovevano pregare sempre, senza stancarsi mai. 2 «In una città viveva un giudice che non temeva Dio e non si curava di nessuno. 3 Nella stessa città viveva una vedova, che andava da lui e gli chiedeva: "Fammi giustizia contro il mio avversario". 4 Per un po' di tempo il giudice non volle, ma alla fine disse tra sé: "Anche se non temo Dio e non mi prendo cura degli uomini, 5 tuttavia le farò giustizia e così non verrà continuamente a seccarmi"». 6 E il Signore soggiunse: «Avete udito ciò che dice il giudice ingiusto? 7 E Dio non farà giustizia ai suoi eletti che lo invocano giorno e notte? Tarderà ad aiutarli? 8 Vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».

 

Un’esistenza che si fa preghiera

 

1. La pagina del vangelo di questa domenica (Lc 18,1-8) segue dopo il breve discorso della venuta del Figlio dell’uomo Crocifisso e Risorto e del suo Regno, venuta che chiede vigilanza e un attento discernimento degli eventi della vita quotidiana poiché si rivela in modo inatteso (Lc 17,30-37). Ebbene, non c’è vigilanza e discernimento senza preghiera, ovvero senza quell’ascolto e dialogo con il Signore, senza quell’apertura della nostra esistenza al suo respiro e ai suoi progetti.

 

2. La parabola evangelica è detta proprio per educarci «sulla necessità di pregare sempre e non scoraggiarsi» (Lc 18,1), non farsi vincere dal tedio e dal non senso della vita specialmente quando siamo alle prese con le difficoltà della vita che sembrano non farci intravedere una via di uscita.

La parabola mette in risalto innanzitutto il coraggio e l’insistenza di uno dei soggetti più socialmente deboli del tempo di Gesù: la vedova; come ce ne sono anche oggi madri-coraggio, le quali, a causa di governanti ingiusti, arroganti e violenti, hanno perso tutto, marito e figli; ma queste madri-coraggio non si sono arrese, anzi, tenacemente continuano a lottare per chiedere giustizia ai governi (più o meno) democratici e alle loro rispettive autorità giudiziarie. Ogni tanto si trova un giudice un poco più onesto degli altri che prende a cuore la loro causa.

La vedova della parabola evangelica rinuncia a farsi giustizia da sé, e si affida alla giustizia di un giudice che, guarda caso, non teme Dio e non rispetta l’uomo; per cui questo giudice allunga i tempi della causa perché non vuole affrontare il problema della vedova; forse non gli interessa nemmeno, trattandosi di un soggetto debole e senza diritti, Solo l’insistenza coraggiosa della vedova lo obbliga a fare giustizia, pur di levarsela d’intorno.

 

3. È interessante che la narrazione della parabola pone l’accento sull’insistenza della vedova per poi parlarci di Dio difensore delle vedove (Sal 68,6; Es 22,21-23) che fa loro giustizia senza farli attendere più di tanto. L’insistenza della vedova che giorno e notte grida a Dio la giustizia è preghiera, perché? Perché la vedova — che qui rappresenta gli eletti, ovvero tutti i credenti, tutti coloro che Dio ha gratuitamente scelto per amore — ha rinunciato a farsi giustizia da sé e si è affidata alla giustizia di Dio, la quale non segue i criteri di quella umana (che pure sono buoni), ma segue un criterio tutto Suo: vincere il male con il bene (Rm 12,21). Dio è Giusto perché è il custode della nostra vita (salmo responsoriale: Sal 121) che disinnesca la violenza dalle nostre mani, e in particolare dalle mani degli eletti, dei credenti che si affidano a Lui, volgerle verso azioni di bene.

Affidandosi alla giustizia di Dio, tutta l’esistenza del credente/vedova diventa preghiera (Sal 119,175), perché ha compreso che se si affidasse alla giustizia umana o, peggio ancora, si facesse giustizia con le proprie mani, commetterebbe un grave danno a sé e agli altri, senza peraltro risolvere nulla, ma accrescendo violenza su violenza, ingiustizia su ingiustizia. Invece, affidandosi alla giustizia di Dio, il credente/vedova impara a vincere il male ricevuto con il bene, a non rispondere alla violenza con altra violenza ma con “gesti divini” di attenzione, di gratuità e di cura.

Certo, per invocare la giustizia di Dio, accoglierla e tradurla in gesti concreti di vita, ci vuole fede, cioè una relazione di comunione interpersonale profonda con il Signore che viene (Lc 18,8) e un ascolto attento della sua Parola che ci forma alla giustizia e ad agire nel bene (seconda lettura: 2Tm3,14-4,2).

Solo così tutta la vita diventa preghiera e la preghiera vita, come quella di Mosè; e solo così, come Mosè, si vincono le battaglie della vita (prima lettura: Es 17,8-13).

 

                                                                                                     Egidio Palumbo

Barcellona PG (ME)