"Tempo Perso - Alla ricerca di senso nel quotidiano"
19 OTTOBRE 2008 XXIX Domenica del T. O. - ANNO A -
"LECTIO" DEL VANGELO DELLA DOMENICA a cura di fr. Egidio Palumbo |
Prima lettura: Is 45,1.4-6 Salmo 95 Seconda lettura: 1Tis 1,1-5b
VANGELO secondo Matteo 22, 15-21 15Allora i farisei, ritiratisi, tennero consiglio per vedere di coglierlo in fallo nei suoi discorsi. 16Mandarono dunque a lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità e non hai soggezione di nessuno perché non guardi in faccia ad alcuno. 17Dicci dunque il tuo parere: E' lecito o no pagare il tributo a Cesare?». 18Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché mi tentate? 19Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. 20Egli domandò loro: «Di chi è questa immagine e l'iscrizione?». 21Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».
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Vivere ad immagine di Dio 1. Con la pagina evangelica di questa domenica (Mt 22,15-22) veniamo condotti a discernere l’idolo che insidia la nostra esistenza di cristiani in questo mondo. Il contesto è sempre quello del tempio di Gerusalemme dove Gesù insegna dialogando, anche un po’ aspramente, con i suoi interlocutori. Il dialogo verte non su temi astratti, ma che interpellano concretamente il nostro stile di vita: quello che va restituito a Cesare e quello che va restituito a Dio (vv. 15-22), la nostra esistenza di risorti in Dio (vv. 23-33), il comandamento che ricapitola tutta la Torah (vv. 34-40), l’identità del Messia (vv. 41-46). 2. I farisei, che, nella loro malizia, tuttavia sanno riconoscere in Gesù un Maestro che insegna «la via di Dio» (Mt 22,16), cioè la Torah donata da Dio al suo popolo sul Sinai come orientamento di vita (Sal 103,7), rivolgono una domanda la cui risposta dovrebbero in realtà già saperla, proprio alla luce della stessa Torah che insegna a non costruirsi idoli «né di ciò che è lassù nel cielo, né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, sono il tuo Dio, un Dio geloso» (Es 20,4-5). È facile da credenti idolatrare se stessi (specialmente quando abbiamo una responsabilità sugli altri), idolatrare gli altri (specialmente coloro che su di noi esercitano un’autorità), e perfino idolatrare Dio, cioè fare di Dio un idolo attraverso i nostri discorsi e il nostro agire. Tutto possiamo trasformare in idolo, tutto può essere sacralizzato. Ecco perché la Torah esprime una proibizione a 360 gradi. E poi si sa, che l’idolo affascina, come l’argento e l’oro (Sal 115,4), e nello stesso tempo disumanizza, perché è tutto apparenza: ha bocca e non parla, ha occhi e non vede, ha orecchi e non ascolta, ha naso e non odora, ha piedi e non cammina, ha gola e non emette suoni… (Sal 115,5-7). La domanda che questi farisei ― uomini molto religiosi ― rivolgono a Gesù è qualificata come maliziosa perché è un tentare Dio (Mt 22,18), è voler ridurre Dio ad un idolo, ridurlo ai nostri schemi, alle nostre logiche di potere sacrale, come quelle di Cesare. È una tentazione che può prendere tutti: politici, insegnanti, genitori, impiegati, preti, frati, suore…, credenti e noncredenti, diversamente credenti e “atei devoti”… 3. Ma, allora, che cosa vuol dire: «Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio» ? (Mt 22,21). Che cosa siamo chiamati a restituire a Cesare ― simbolo di chi, qualunque esso sia, ha una responsabilità di potere― ? E che cosa siamo chiamati a restituire a Dio? Innanzitutto rendere a Dio. Siamo chiamati a rendere/restituire a Dio la nostra vocazione fondamentale: quella di essere stati creati a sua immagine e somiglianza. Questo non significa vivere “mettendoci al posto di Dio”, non vuol dire che abbiamo l’autorizzazione a fare i “padreterni” sulla terra. No. Significa, invece, credere che è Dio ― al di là della consapevolezza o meno dei governanti di questo mondo (e questo è già un principio di desacralizzazione e di laicità delle istituzioni politiche e religiose) ― a guidare la storia (prima lettura: Is 45,1.4-5; salmo responsoriale: Sal 96). Significa, inoltre, vivere come sue creature, ovvero come figli e come fratelli. Saremo vera immagine autentica di Dio nella misura in cui sapremo tessere relazioni autentiche umane e umanizzanti verso l’altro, senza pregiudizi razziali, culturali e religiosi. Il nostro Dio, il Dio dei patriarchi, dei profeti, di Gesù Cristo, si è rivelato a noi come Relazione di Comunione: questa è la sua immagine. L’apostolo Paolo esprime bene tutto questo, quando dinnanzi a Dio fa eucaristia dello stile di vita della comunità cristiana di Tessalonica, sottolineando l’impegno nella fede, l’operosità nella carità, la perseveranza nella speranza, l’accoglienza del vangelo come Parola che dona lo Spirito che discerne e trasforma (seconda lettura: 1Ts 1,1-5). E rendere/restituire a Cesare? Significa non idolatrarlo e non sacralizzare il suo potere, ma considerarlo creatura come noi, rispettando lealmente il suo ruolo istituzionale, senza piegarsi e “strisciare” davanti a lui; significa ancora saper vivere come cittadini onesti, perché chi vive onestamente della fatica del proprio lavoro e paga le tasse dovute, non ha paura dell’autorità. Che il Signore, allora, ci dia sempre la grazia di saper vivere a sua immagine e di saper discernere tutte le forme di idolatria che insidiano oggi la nostra vita cristiana.
Egidio Palumbo Barcellona PG (ME)
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