"Tempo Perso - Alla ricerca di senso nel quotidiano"
17 FEBBRAIO 2008 II DOMENICA DI QUARESIMA - ANNO A -
"LECTIO" DEL VANGELO DELLA DOMENICA a cura di fr. Egidio Palumbo |
Prima lettura:
Gen 12,1-4 Salmo
32 Seconda
lettura:2Tm 1,8b-10
VANGELO
secondo Matteo 17, 1-9
1Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. 2E fu trasfigurato davanti a loro; il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. 3Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. 4Pietro prese allora la parola e disse a Gesù: «Signore, è bello per noi restare qui; se vuoi, farò qui tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia». 5Egli stava ancora parlando quando una nuvola luminosa li avvolse con la sua ombra. Ed ecco una voce che diceva: «Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo». 6All'udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. 7Ma Gesù si avvicinò e, toccatili, disse: «Alzatevi e non temete». 8Sollevando gli occhi non videro più nessuno, se non Gesù solo. 9E mentre discendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, finché il Figlio dell'uomo non sia risorto dai morti». |
Contemplare il volto di Gesù trasfigurato 1. L’itinerario battesimale della Quaresima prosegue con la contemplazione del volto di Cristo trasfigurato (Mt 17,1-9). Mentre nella prima domenica di quaresima abbiamo contemplato il volto di Cristo nelle prove della vita, in questa seconda domenica lo contempliamo mentre rivela la bellezza di una vita che si consegna perché “follemente” appassionata per Dio e per l’umanità. 2. L’evento della Trasfigurazione, infatti, è incastonato tra i primi due annunci della passione del Signore. Il primo annuncio sottolinea il «patire molto» del Figlio (Mt 16,21), che non indica la sofferenza per la sofferenza, quasi fosse un valore in sé, ma la sofferenza che scaturisce da una passione grande più forte della morte (Ct 8,6-7; Rm 8,35-39), da un amore appassionato incontenibile per Dio e per l’umanità — questo, sì, un valore in sé! —, e in particolare per i falliti della storia. E il secondo annuncio viene a confermare tutto questo quando sottolinea la consegna del Figlio (Mt 17,22) — il motivo della consegna sarà ancora più accentuato nel terzo annuncio della passione (Mt 20,17-19), prima di entrare in Gerusalemme — che esprime, sì, il dramma del tradimento del discepolo, ma anche, e soprattutto, la vulnerabilità del nostro Dio che nel libero dono del Figlio si pone nelle mani degli uomini, invece di afferrare Lui gli uomini nelle sue mani per respingerli e annientarli. La consegna libera del Figlio, pur nella sua drammaticità, è la cifra più eloquente dell’amore gratuito, appassionato, sovrabbondante e disinteressato del Padre per l’umanità. 3. Per questo nell’evento della Trasfigurazione siamo chiamati, assieme a Pietro, Giacomo e Giovanni — apostoli non “privilegiati” ma che al momento in cui scrive Matteo rappresentano tutte le Chiese, quindi anche le Chiese di oggi e anche noi che ne facciamo parte — a contemplare il volto del Figlio che «brilla come il sole» e la sua veste che irradia luce. “Volto” e “veste” indicano la persona del Figlio, il suo modo di essere e di agire, il suo stile di vita. Contemplare il volto trasfigurato del Figlio significa, allora, contemplare in Lui la bellezza di una vita donata e consegnata all’umanità, gratuitamente, senza interessi personali, senza chiedere in cambio nulla, né favori né privilegi. È in sostanza quanto scrive l’apostolo Paolo al vescovo Timoteo, ricordandogli che siamo stati chiamati da Dio, non secondo le nostre opere, ma secondo il suo disegno e la sua grazia, ovvero la gratuità del suo amore che risplende nel Figlio e nel suo vangelo (seconda lettura: 2Tm 1,8-10). 4. Ma la contemplazione del volto del Figlio è strettamente connessa all’ascolto del Figlio. Non c’è contemplazione senza ascolto, né ascolto senza contemplazione. Altrimenti la contemplazione diventerebbe non l’incontro con Colui che deve diventare sempre di più la nostra immagine, ma la proiezione psicologica della nostra immagine in Lui; e l’ascolto diventerebbe non la relazione con una Persona vivente che chiama, interpella e trasforma, ma la fredda raccolta legalistica di un insieme di norme morali da imporre e osservare. Significativo quanto annota la pagina del vangelo riguardo ai discepoli, i quali, ascoltando la voce del Padre, «caddero faccia a terra e temettero fortemente» (Mt 17,6). Sì, è ciò che avviene quando siamo di fronte alla Presenza del Dio Vivente, Presenza incontenibile, incatturabile, non riducibile ai nostri schemi; Presenza vulnerabile, fragile — che cosa vi è di più fragile di una “voce”, di una “parola”, di un “evento”, di una “nube” (che è lo Spirito) dalla quale parla la “voce”? —, eppure questa Presenza fragile e vulnerabile del Padre ha la capacità di “disarmare” i discepoli del Figlio, cioè le nostre Chiese dalla presunzione (e forse anche al vanto) di costruire noi a Lui una tenda in cui abitare (Mt 17,4), di indicare noi a Lui dove essere presente in questo nostro mondo. In realtà, è Lui che costruisce una tenda a noi (2Sam 7,5.11), inviandoci in questo mondo per essere, come Abramo, segno gratuito della sua benedizione e della sua vita (prima lettura: Gen 12,1-4; salmo responsoriale: Sal 33). È la nostra esistenza, dovunque noi siamo, che deve diventare la Sua tenda in cui Lui prende dimora; è il nostro stile di vita che deve diventare conforme alla bellezza luminosa del volto del Figlio suo (Rm 8,29).
Egidio Palumbo Barcellona PG (ME)
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