"Tempo Perso - Alla ricerca di senso nel quotidiano"
12 OTTOBRE 2008 XXVIII Domenica del T. O. - ANNO A -
"LECTIO" DEL VANGELO DELLA DOMENICA a cura di fr. Egidio Palumbo |
Prima lettura: Is 25,6-10a Salmo 22 Seconda lettura: Fil 4,12-14.19-20
VANGELO secondo Matteo 22, 1-14 Gesù
riprese a parlar loro in parabole e disse: «Il regno dei cieli è simile a un
re che fece un banchetto di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a
chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non vollero venire. Di nuovo
mandò altri servi a dire: Ecco ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e i
miei animali ingrassati sono già macellati e tutto è pronto; venite alle
nozze. Ma costoro non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai
propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero.
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Chiamati alle nozze del Figlio 1. La pagina del vangelo di questa domenica è un’altra parabola: la chiamata al banchetto di nozze del Figlio (Mt 22,1-14). Il contesto da tenere presente parte da Mt 21, dove Gesù fa il suo ingresso solenne in Gerusalemme e poi entra nel Tempio; anzi, dice il testo, viene nel Tempio (Mt 21,23), nel luogo in cui si raduna il popolo di Dio per ascoltare Dio e offrire a Lui sacrifici. In Gesù è Dio che viene a visitare il suo popolo. Gesù sosta a lungo nel Tempio (Mt 21,23-24,1), dove insegna anche con parabole e dialoga, un dialogo impegnativo, e a volte abbastanza forte, con i suoi interlocutori. La parabola della chiamata alle nozze del Figlio (come pure quelle precedenti) è detta in questo contesto. Qui, però, c’è un particolare che distingue questa parabola dalle altre e che va tenuto presente. All’inizio vi è un’annotazione: «Gesù, rispondendo di nuovo in parabole, disse» (Mt 22,1). Questa parabola è la risposta di Gesù a quei sommi sacerdoti e farisei che volevano catturarlo per farlo fuori (Mt 21,45). Rileggendo con attenzione la parabola capiremo il valore di questa risposta. 2. Nella parabola si parla delle nozze del Figlio, vale a dire della pasqua del Figlio, della consegna del Figlio nella sua morte e risurrezione, che rinnova la relazione di Alleanza sponsale, la quale comporta un vincolo di comunione fedele e indissolubile tra Dio e le sue creature, e tra di noi esseri umani. In queste “nozze”, in cui il Figlio si consegna, Egli è lo Sposo e noi siamo chiamati a partecipare a queste “nozze” per diventare ― sia come umanità, sia come chiesa popolo di Dio, sia come comunità, sia come famiglia, sia come persone ― la Sposa del Figlio (Is 62,4-5; Ef 5,25-27; 2Cor 11,2). È bene evidenziarlo: diventare la Sposa del Figlio implica sia il legame di comunione con Dio, sia il legame di comunione con i fratelli nella fede e in umanità. Ecco: di fronte a coloro che vogliono “catturare” il Figlio per farlo tacere per sempre, la risposta del Padre Re-Pastore è la consegna del Figlio come Sposo dell’umanità. Questo “nozze” sono il dono gratuito di Dio per noi. 3. Ma la parabola ha anche altre particolarità interessanti. Innanzitutto si dice che alle nozze del Figlio noi non siamo invitati (traduzione pessima!), bensì chiamati. C’è una differenza sostanziale tra l’essere invitati e l’essere chiamati. L’invito è una semplice cortesia, è un gesto di simpatia; l’adesione o il rifiuto all’invito non ti non cambiano la vita. La chiamata, invece, è un atto che interpella personalmente e che ti cambia la vita se lo accogli e rispondi positivamente. Perciò il testo della parabola parla di coloro che sono stati «chiamati alle nozze» (Mt 22,3.8). E la chiamata, più volte rivolta, frutto della libera e gratuita iniziativa di Dio, risuona così: «venite alle nozze!» (Mt 22,4). Inoltre, come già accennavo, le nozze del Figlio sono il dono gratuito di Dio per noi. Infatti il testo parla di nozze «preparate» e «pronte» (Mt 22,4.8; salmo responsoriale: Sal 23). Questo vuol dire che Dio non ci chiama a partecipare alle nozze del Figlio perché siamo stati più bravi o siamo migliori degli altri. No. Le nozze del Figlio non sono un premio alla nostra bravura, al nostro genio... La parabola dice che vengono chiamati «buoni e cattivi» (Mt 22,10), perché le nozze sono il dono che Dio ci offre, ovvero la consegna del Figlio Sposo che ci trasforma come sua Sposa, indipendentemente se siamo buoni o cattivi. Un’altra particolarità riguarda l’abito nuziale (Mt 22,11). Secondo gli usi dell’epoca, l’abito nuziale veniva donato a coloro che partecipavano alla feste di nozze. Gesù nella parabola si rifà a quest’uso, proprio per ribadire ancora una volta la realtà sorprendente di questo Dio che non si risparmia in nulla: egli dona tutto di sé. Infatti, rivestirsi dell’abito nuziale significa rivestirsi di Cristo (Gal 3,27), cioè essere ogni giorno conformi al Figlio (Rm 8,29), assumerne il suo stile di vita, diventare più umani e autentici credenti come Lui. E questo implica un cammino pasquale di morte all’uomo vecchio con le sue logiche eccentriche e tutte autoreferenziali (ecco perché al v. 7 il Signore si indigna e “uccide”, e al v. 13 getta nelle tenebre colui che non ha l’abito nuziale), per rinascere e lasciarsi rivestire dell’uomo nuovo, che è Cristo (Ef 4,20-24). Dunque rivestirsi dell’abito nuziale, cioè rivestirsi del Figlio, significa diventare la Sposa del Figlio. Comprendiamo, allora, come questo particolare evento sponsale della nostra esistenza ci cambia la vita: si impara a vivere la comunione con Dio e si impara a vivere la comunione con i fratelli nella fede e in umanità. La pagina del profeta Isaia (prima lettura: Is 25,6-10a) parla del banchetto che Dio prepara e attorno al quale sono convocati tutti i popoli della terra, ognuno con la sua diversità storica e culturale, Tale banchetto è simbolo di comunione fraterna tra diversi, senza pregiudizi razziali. Anche l’apostolo Paolo nell’ambito della sua sollecitudine pastorale fa esperienza di condivisione e di solidarietà presso la comunità di Filippi (seconda lettura: Fil 4,12-14.19-20). Che anche a noi, allora, il Signore ci dia la grazia di saper ascoltare la sua chiamata e di diventare come comunità (famigliare ed ecclesiale) e come persone la sua Sposa fedele, capaci di comunione e di accoglienza vera dell’altro, senza paure, pregiudizi e chiusure razziali. Il nostro Paese oggi ne ha veramente bisogno.
Egidio Palumbo Barcellona PG (ME)
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