"Tempo Perso - Alla ricerca di senso nel quotidiano"

11 MAGGIO 2008                                                                                  PENTECOSTE - ANNO A -

"LECTIO" DEL VANGELO DELLA DOMENICA a cura di fr. Egidio Palumbo 

Prima lettura: At 2,1-11        Salmo 103            Seconda lettura: 1Cor 12,3b-7.12-13 

VANGELO secondo Giovanni 20,19-23

19La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». 20Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 21Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi». 22Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: «Ricevete lo Spirito Santo; 23a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi ».  

 PENTECOSTE

1. Con la festa di Pentecoste si chiudono i cinquanta giorni della mistagogia del tempo pasquale. “Pentecoste” significa “cinquantesimo”. Ma non indica un tempo cronologico, bensì un tempo mistagogico, cioè un tempo necessario per poter assimilare, un po’ alla volta anno dopo anno, la ricchezza inesauribile del mistero pasquale del Signore. Fare memoria-attualizzazione del mistero pasquale — e la Pentecoste, ovvero il dono dello Spirito Santo, è il dono che ci viene dato nella pasqua del Signore — chiede a noi esseri umani credenti un congruo tempo di assimilazione, di presa di coscienza, di maturazione. Ecco perché a cinquanta giorni dalla Pasqua celebriamo il dono della Pasqua: il dono dello Spirito Santo.

 

2. Originariamente la festa ebraica di Pentecoste (“Shavu’ot”) era una festa agricola della mietitura e nel contempo una festa storica.

Come festa agricola della mietitura (Es 23,16) si contavano dal giorno di Pasqua sette settimane, cioè cinquanta giorni, e al compimento del cinquantesimo giorno si celebravano i doni della terra come doni del Signore perché sua «è la terra e quanto contiene» (Sal 24,1), Egli fa «crescere il fieno per gli armenti e l’erba al servizio dell’uomo, perché tragga alimento dalla terra» (Sal 104,14), e per questo si offrivano a Lui le primizie (Lv 23,15-22; Nm 28,26-31).

Come festa storica la Pentecoste ebraica celebrava (e celebra tutt’ora) al compimento del cinquantesimo giorno il dono al Sinai della Torah scritta e orale (La “Torah scritta” è da intendersi i primi cinque libri della Bibbia e in senso più largo tutta la S. Scrittura; la “Torah orale” è da intendersi  tutta la tradizione interpretativa ebraica che si fa risalire a Mosè e al Sinai), e quindi l’Alleanza, la relazione di comunione sponsale che Dio instaura con il suo popolo reso libero dalla schiavitù di Egitto (Es 19-24). Dio libera il suo popolo dall’Egitto (cifra simbolica di ogni forma di schiavitù) per fargli dono della Torah e dell’Alleanza.

Con la distruzione del Secondo Tempio sotto la dominazione romana (70 d.C.) la festa ebraica di Pentecoste perde il suo significato agricolo e accentua quello storico di festa del dono della Torah. Durante la festa si legge il libro di Rut e questo per vari motivi:

— perché il racconto di Rut è situato nel tempo della mietitura;

— perché il racconto di Rut termina con la genealogia orientata verso Davide, da cui verrà il Messia;

— perché, secondo la tradizione, Davide sarebbe nato e morto il giorno di Pentecoste;

— perché il libro di Rut, la moabita (proprio una straniera!), è una autentica testimonianza della Torah vissuta in ciò che è fondamentale per un credente: la piccolezza/umiltà, la bontà e l’amore.

Rut, la straniera, che ha adottato Israele come suo popolo e il Dio d’Israele come il suo Dio (Rt 1,16-17), diventa il modello di ogni credente — ebreo e pagano convertito alla fede ebraica — che si pone all’ombra della presenza di Dio (Rt 2,12).

Dal secolo XVI gli ebrei credenti la vigilia di Pentecoste la trascorrono vegliando di notte o nella sinagoga o nelle proprie case in compagnia di amici per mangiare insieme alcuni cibi particolari e leggere e studiare insieme la Bibbia.

 

3. La festa cristiana della Pentecoste ha certamente le sue radici nella festa ebraica. Anch’essa è compimento della Pasqua, della Pasqua del Signore Crocifisso Risorto («La sera di quello stesso giorno…»: Gv 20,19) e si celebra al compimento del cinquantesimo giorno: «Mentre si stava compiendo il giorno di Pentecoste, erano tutti uniti nello stesso luogo» (At 2,1).

Per i cristiani il compimento della Pasqua è il dono dello Spirito Santo. Non un dono passeggero, provvisorio, ma una Presenza stabile donata a tutti i cristiani, nessuno escluso; infatti nella pagina degli Atti è scritto che le “lingue di fuoco” «si posarono su ciascuno di loro» (At 2,3).

Questa Presenza stabile dello Spirito è allo stesso tempo una presenza non statica, ma creatrice e creativa. Infatti:

— ci aiuta a comprendere le S. Scritture, ad attualizzare e a viverle nella vita quotidiana (Gv 16,13-15);

— ci aiuta nella fatica di discernere ciò che è bene e ciò che è male, ciò che è fallimentare (il peccato) per l’uomo e ciò che non lo è, e quindi a perdonare i fallimenti/peccati personali e sociali/strutturali affinché si abbia il coraggio creativo di ricominciare in modo diverso… (Gv 20,22-23);

— ci dona quei carismi da mettere e portare insieme (questo è il significato originario di “utilità comune” in 1Cor 12,7) per far crescere qualitativamente la vita umana e di fede del popolo di Dio (seconda lettura: 1Cor 12,3-7.12-13);

— ci dona la capacità di incarnare, di inculturare il vangelo e narrare le «grandi opere di Dio» nelle varie culture dei popoli, nei vari contesti sociali e culturali delle nostre città e territori (prima lettura: At 2,1-11).

Se per la fede biblica lo Spirito è il Vento (At 2,2) il Soffio e il Respiro di Dio e di Cristo (salmo responsoriale: Sal 104; Gv 20,22), a noi cristiani è data la grande responsabilità di essere nel mondo i portatori del Respiro Dio e di Cristo. Sì, Dio e il Cristo Risorto rischiano sulla nostra libertà e contano molto sulla nostra responsabilità, affidandoci il compito — ognuno attraverso la vocazione e il carisma ricevuti — di dare un Respiro nuovo e diverso a questo mondo.

Sta a noi discernere, lasciandoci guidare dallo Spirito che viene come “padre dei poveri” e “luce dei cuori” (sequenza), se attraverso le nostre scelte sappiamo dare a questo mondo il Respiro di Dio o, al contrario, se lo soffochiamo con la nostra aridità, meschinità e stoltezza.

 

«Vieni, Santo Spirito.

Senza la tua forza

nulla è nell’uomo,

nulla senza colpa».

                                                                                            Egidio Palumbo

Barcellona PG (ME)