"Tempo Perso - Alla ricerca di senso nel quotidiano"

9 NOVEMBRE 2008                                                DEDICAZIONE BASILICA LATERANENSE                            

"LECTIO" DEL VANGELO DELLA DOMENICA a cura di fr. Egidio Palumbo 

Prima lettura: 1Re 8,22-23.27-30       Salmo 94            Seconda lettura: 1Pt 2,4-9

 

VANGELO secondo Giovanni  4,19-24

19 Gli replicò la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta. 20 I nostri padri hanno adorato Dio sopra questo monte e voi dite che è Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». 21 Gesù le dice: «Credimi, donna, è giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre. 22 Voi adorate quel che non conoscete, noi adoriamo quello che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. 23 Ma è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori. 24 Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità».

 

Dedicazione della Basilica Lateranense

1. La liturgia di questa domenica interrompe il normale andamnento delle domenica dell’anno liturgico, per celebrare la Dedicazione della Basilica di S. Giovanni in Laterano, sede del vescovo di Roma, cioè del Papa, e madre di tutte le Chiese locali sparse nel mondo. È da precisare che il Papa è tale, cioè presiede nell’unità e nella carità tutte le Chiese locali, proprio perché vescovo di Roma.

La memoria liturgica di questa dedicazione diventa, allora, un’occasione per riflettere sul senso del nostro essere Chiesa locale, popolo di Dio chiamato a vivere in un determinato territorio geografico, storico, culturale.

 

2. La pagina del vangelo (Gv 4,19-24) fa parte del dialogo che Gesù intrattiene con la Samaritana al pozzo di Giacobbe in Samaria.

Come si sa, nel dialogo con Gesù la Samaritana, gradualmente, prende coscienza della necessità di attingere all’acqua viva della Parola di Dio così come la vive e la annuncia Gesù, perché l’acqua viva della Parola disseta, fa riscoprire il senso della vita (la “vita eterna”), ma mentre disseta mette ancora più sete (Sir 24,20), ci pone sempre in cammino, in ricerca, non ci dà l’illusione o la pretesa di essere già degli arrivati, già sazi, di sapere ormai tutto e di non avere più bisogno dell’altro.

Inoltre, la Samaritana, che è chiamata “Donna” (Gv 4,21) e che quindi è figura rappresentativa di un popolo, di una comunità, deve prendere coscienza della sua vocazione di Chiesa Sposa del Signore, prendendo le distanze da ogni forma di idolatria. Infatti i samaritani, per rivalità contro i giudei e il tempio di Gerusalemme, avevano costruito sul monte Garizim un altro tempio dedicato sempre al Dio d’Israele, ma nello stesso tempo avevano costruito anche altri templi dedicati ai dei pagani (i sei “mariti” di Gv 4,17).

È proprio a questo punto che si colloca la pagina di Gv 4,19-24. Gesù fa comprendere a questa comunità, rappresentata dalla Samaritana, e fa comprendere anche a noi, che con l’Ora dell’evento pasquale della sua morte e risurrezione (“credimi, donna, è giunta l’Ora…”), siamo chiamati ad adorare Dio “in spirito e verità”. Questo significa che ogni tempio, quello di Garizim, quello di Gerusalemme e ogni tempio cristiano, viene da Gesù relativizzato. Ogni nostra costruzione, la chiesa-edificio o altre istituzioni e sistemi teologici e pastorali, ovvero tutto ciò che tende a staticizzare all’eccesso la vita dei credneti, tutto questo di fronte all’Ora del mistero pasquale del Signore viene non annullato, ma relativizzato, ricondotto a strumento e non a fine o ad assoluto. E questo perché il tempio, cioè il luogo della presenza di Dio è il corpo di Cristo Crocifisso e Risorto (Gv 2,13-22); è la sua esistenza che è diventata tenda della presenza di Dio (Gv 1,14) che cammina con il suo popolo (2Sam 7,6-7).

E poiché noi cristiani, come comunità e come persone, siamo il corpo di Cristo e sue membra (1Cor 10,16; 12,27), siamo anche, come comunità e come persone, il tempio e la tenda della presenza del Signore. E non solo noi, anche altre comunità e persone che sono lontani e che non conosciamo personalmente, come pure ogni persona di questo mondo, specialmente se debole e fragile: tutti, nella morte e risurrezione del Figlio Gesù, siamo il tempio vivente del Signore.

 

3, Vorrei notare qualche particolarità.

Innanzitutto adorare Dio: vuol dire riconoscersi non padreterni, ma creature, figli di Dio; persone piccole, limitate, fragili, nella cui fragilità Dio non disdegna di abitare (prima lettura: 1Re 8,22-23.27-30; Sal responsoriale: Sal 95). È questo che ci fa grandi.

Inoltre, siamo chiamati a diventare pietre vive, strette attorno alla pietra viva che è Cristo, pietra scartata dagli uomini (seconda lettura: 1Pt 2,4-9). Più importante di una chiesa-edificio e di qualunque istituzione religiosa e umana sono le persone, è l’assemblea, la comunità fatta di persone vive. Nessuno può essere escluso, scartato, non riconosciuto dalla comunità ecclesiale per un motivo ideologico o per un sentimento di antipatia. La salvaguardia di una struttura o di una istituzione a scapito delle persone significa fare della struttura e dell’istituzione un assoluto, un idolo. Le strutture e le istituzioni valgono se sono poste al servizio della persona. La chiesa-edificio, come pure l’itistituzione parrocchia o comunità o gruppo o movimento, sono segni che rimandano “altrove”, non sono il fine assoluto a cui asservire le persone. Noi oggi quando leggiamo la prima lettera di Pietro che parla di “pietre vive”, il nostro sguardo viene distolto dalle nostre chiese-edificio costruite in cemento armato. Se avessimo ancora chiese-edificio costruire in pietra e senza intonaco (e ce ne sono di antiche), ci renderemmo conto con i nostri stessi occhi, ascoltando l’apostolo Pietro, che ogni pietra, grande e piccola, è stata considerata utile per la costruzione dell’intero edificio (esemplare la chiesa di S. Giovanni in Fiore in calabria, fatta costruire nel medioevo dall’abate Gioacchino da Fiore). In questo modo la chiesa-edificio diventa segno di un modo di essere popolo di Dio, chiesa, comunità ecclesiale, dove ognuno è riconosciuto per la sua vocazione e il suo carisma, ed è posto al servizio dell’edificazione dell’intero corpo ecclesiale.

Oggi le nostre comunità ecclesiali fanno fatica a vivere in questa prospettiva. C’è un ritorno al culto della personalità, del leader e dell’istituzione, dove Cristo è soltanto il presidente onorario e non quello effettivo…

 

Che la Parola del Signore, allora, ci doni la grazia di adorarlo in spirito e verità, come pietre vive e popolo sacerdotale, testimone nella stoiia non delle proprie istituzioni, ma delle Sue meraviglie.

 

                                                                                             Egidio Palumbo

Barcellona PG (ME)