"Tempo Perso - Alla ricerca di senso nel quotidiano"
6 APRILE 2008 3ª Domenica di Pasqua - ANNO A -
"LECTIO" DEL VANGELO DELLA DOMENICA a cura di fr. Egidio Palumbo |
Prima lettura: At 2,14.22-33 Salmo 15 Seconda lettura: 1Pt 1,17-21
VANGELO secondo Luca 24,13-35 13-24: Ed ecco in quello stesso giorno due di
loro erano in cammino per un villaggio distante circa sette miglia da
Gerusalemme, di nome Emmaus, e conversavano di tutto quello che era
accaduto. Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù in persona si
accostò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano incapaci di
riconoscerlo. Ed egli disse loro: «Che sono questi discorsi che state
facendo fra voi durante il cammino?». Si fermarono, col volto triste; uno
di loro, di nome Clèopa, gli disse: «Tu solo sei così forestiero in
Gerusalemme da non sapere ciò che vi è accaduto in questi giorni?».
Domandò: «Che cosa?». Gli risposero: «Tutto ciò che riguarda Gesù
Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a
tutto il popolo; come i sommi sacerdoti e i nostri capi lo hanno
consegnato per farlo condannare a morte e poi l'hanno crocifisso. Noi
speravamo che fosse lui a liberare Israele; con tutto ciò son passati tre
giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre,
ci hanno sconvolti; recatesi al mattino al sepolcro e non avendo trovato
il suo corpo, son venute a dirci di aver avuto anche una visione di
angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati
al sepolcro e hanno trovato come avevan detto le donne, ma lui non l'hanno
visto». |
Il
“Terzo” che dischiude le nostre relazioni 1. L’annuncio del tempo nuovo inaugurato dalla Risurrezione — l’apostolo Pietro nella sua lettera parla del Risorto che «si è manifestato negli ultimi tempi per voi» (seconda lettura: 1Pt 1,20) —, tempo cioè di relazioni qualitativamente nuove tra gli uomini, di relazioni comunitarie e fraterne “altre” e alternative, continua con la pagina evangelica dei discepoli di Emmaus e del loro incontro con il Risorto (Lc 24,13-35). 2. Che si tratti di relazioni comunitarie, è indicato dal fatto che nella pagina evangelica si parla di “due” discepoli (Lc 24,13). Non si tratta di una questione numerica, ma appunto della qualità delle relazioni: “due” indica una piccola comunità e non una “grande organizzazione”; una comunità che vive il senso della piccolezza, del suo limite e della sua fragilità; una comunità che non si impone con la forza dei numeri o dell’efficienza organizzativa, ma con la forza della testimonianza. E infatti, quando Gesù inviò i discepoli in missione per il mondo, li inviò proprio «a due a due avanti a sé» (Lc 10,1: Mc 6,7). Inoltre, questa comunità, anche se sfiduciata e senza speranza per la morte di Gesù, e anche se ha intrapreso un cammino che la sta allontanando da Gerusalemme, dalla città della pace e della fedeltà, per una meta “meno impegnativa”, Emmaus, tuttavia è una comunità dove i discepoli — e qui bisogna fare attenzione al testo — si fanno reciprocamente l’omelia (“omileō”: Lc 24,14), cioè conversano tra loro in modo familiare sui fatti accaduti a Gerusalemme, città dalla quale comunque si stanno allontanando. Questa omelia è il tentativo di comprendere e di ricercare insieme (in Lc 24,15 si parla ancora di “omelia” e di “ricerca” il senso degli avvenimenti a Gerusalemme. Tentativo fallimentare, perché come essi stessi affermano: «ma lui [cioè il Risorto] non l’hanno visto» (Lc 24,25). Il problema esistenziale e di fede di questi “due”, di questa comunità è l’incapacità di “vedere”, di “leggere in profondità” la S. Scrittura e il significato degli eventi della vita. Il loro conversare e la loro ricerca è semplicemente un parlarsi tra di loro, non è apertura agli altri e all’Altro (con la “a” maiuscola). I “due” sono chiusi nella polarità “io”-“tu”, “noi”-“loro”. Infatti sono anche incapaci a decifrare la presenza del Risorto che cammina accanto a loro: Egli è per loro un illustre sconosciuto, un pellegrino venuto da lontano, uno straniero. Al riguardo, il testo evidenzia due particolarità interessanti che non andrebbero trascurate. a) In Lc 24,15 avviene che il Risorto si inserisce nella loro conversazione familiare e nel loro ricercare insieme. La presenza del Risorto non è una presenza che sta al di fuori, bensì una presenza che accompagna il cammino di ricerca della comunità. b) In Lc 24,18 il Risorto, a loro ancora sconosciuto, viene indicato da loro stessi come “paroikos”, che significa “colui che abita accanto”, “colui che abita vicino ai tuoi confini”, oppure “straniero”, “pellegrino”, “straniero”, “senza fissa dimora”. Anche questa parola, “paroikos”, qualifica le modalità della presenza del Risorto in mezzo a noi. E queste stesse modalità devono caratterizzare anche la presenza della Chiesa e dei cristiani nel mondo. Infatti, l’apostolo Pietro usa questa stessa parola quando scrive: «comportatevi con timore nel tempo del vostro pellegrinaggio (“paroikias”)» (seconda lettura: 1Pt 1.17; anche in 2,11). Faccio notare che da “paroikias” viene il termine “parrocchia” e da “paroikos” viene “parroco”: da qui è facile intuire le implicazioni che ne derivano per un corretto stile di vita delle nostre parrocchie… Dunque, i “due”, chiusi nella polarità “io”-“tu”/“noi”-“loro”, sono incapaci deri — uomini e donne nella fede e in umanità anch’essi oggi presenti sul nostro cammino. C’è da notare un particolare: «Ed alzatisi in quella stessa ora, ritornarono a Gerusalemme…» (Lc 24,33). “Alzatisi” è verbo di resurrezione. “Ritornare” è verbo che indica la conversione. La pagina di Luca che narra della Risurrezione di Gesù, come d’altronde le stesse pagine degli altri evangeli, non ci dicono come sia avvenuta la Risurrezione di Gesù, ma ci dicono come noi possiamo farne l’esperienza diventando uomini e donne risorti e convertendo la nostra vita nella prospettiva di ciò che Gesù visse a Gerusalemme. Ovvero: là dove “due” sono riuniti nel nome del Risorto e imparano ad ascoltare nelle Scritture la passione di Dio per l’umanità, e a “spezzare il pane”, cioè a fare scelte di condivisione, e a camminare e a ricercare insieme come fratelli e sorelle nella fede, e a camminare accanto agli altri fratelli e sorelle in umanità come “paroikia”, come stranieri e pellegrini, e ad accorgersi dell’altro, degli stranieri, dei senza fissa dimora che vivono oggi accanto a noi, quando tutto questo inizia ad accadere nella nostra esistenza, allora significa che stiamo facendo l’esperienza del Signore Risorto. E allora potremo cantare in verità: «L’anima mia esulta nel Signore» (salmo responsoriale: Sal 16). Egidio Palumbo Barcellona PG (ME)
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