"Tempo Perso - Alla ricerca di senso nel quotidiano"
5 OTTOBRE 2008 XXVII Domenica del T. O. - ANNO A -
"LECTIO" DEL VANGELO DELLA DOMENICA a cura di fr. Egidio Palumbo |
Prima lettura: Is 5,1-7 Salmo 79 Seconda lettura: Fil 4,6-9
VANGELO secondo Matteo 21, 33-43 In quel
tempo, Gesù disse ai principi dei sacerdoti e agli anziani del popolo:
33 « Ascoltate un'altra parabola: C'era un padrone che piantò
una vigna e la circondò con una siepe, vi scavò un frantoio, vi costruì una
torre, poi l'affidò a dei vignaioli e se ne andò. 34
Quando fu il tempo dei frutti, mandò i suoi servi da quei vignaioli a
ritirare il raccolto. 35Ma quei vignaioli presero i servi
e uno lo bastonarono, l'altro lo uccisero, l'altro lo lapidarono. 36
Di nuovo mandò altri servi più numerosi dei primi, ma quelli si comportarono
nello stesso modo. 37 Da ultimo mandò loro il proprio
figlio dicendo: Avranno rispetto di mio figlio! 38 Ma quei
vignaioli, visto il figlio, dissero tra sé: Costui è l'erede; venite,
uccidiamolo, e avremo noi l'eredità. 39E, presolo, lo
cacciarono fuori della vigna e l'uccisero. |
I frutti: un’esistenza rinnovata dal Signore
1. La pagina del vangelo di questa domenica (Mt 21,33-43) chiude il trittico di Matteo sulla parabola della “vigna del Signore”, immagine cioè del regno dei cieli, ovvero della relazione di comunione e di amore tra Dio e noi, e del popolo di Dio. Le prime due parabole, che abbiamo ascoltato nelle domeniche precedenti, ci parlano del lavoro da compiere nella “vigna” (Mt 20,1-16; 21,28-32): “vigna” ― è importante sottolinearlo ― della quale nessuno è padrone, perché il popolo di Dio (oltre che il “regno dei cieli”) appartiene solo al Dio; e “lavoro” ― anche questo va sottolineato ― che non è espressione della nostra iniziativa, ma della libera iniziativa del Signore, ovvero della sua chiamata e del suo mandato (Mt 20,1-7; 21,28-30). In particolare, poi, la prima parabola ci dice che la sapienza che guida l’agire di Dio nella storia degli uomini è rivelazione della sua bontà e gratuità (Mt 20.16). E dice ancora che nel popolo di Dio non ci dovrebbero essere né primi né ultimi, non dovrebbe esistere il criterio assoluto e a volte disumanizzante della “meritocrazia” (chi ha lavorato di più, merita di avere di più…), perché agli occhi di Dio siamo tutti figli suoi e tutti fratelli tra di noi (Mt 20,16). La seconda parabola, poi, ci dice che il primo “lavoro pastorale” nel popolo di Dio non è funzionale agli altri, ma è funzionale a noi stessi, cioè consiste in un lavoro su noi stessi per la nostra conversione alla volontà del Padre e alla sapienza del vangelo (Mt 21,30.32). Nella misura in cui la nostra esistenza si converte veramente alle logiche del vangelo, cioè ci lasciamo evangelizzare guardando e ascoltando gli ultimi (pubblicani e prostitute), diventeremo autentici testimoni ed evangelizzatori, altrimenti solo parolai e saltimbanchi del sacro… Se le prime due parabole ci parlano del “lavoro”, la terza (21,33-43) invece ci parla dei frutti che il Signore desidera raccogliere dal suo popolo. 2. La narrazione della terza parabola di Mt 21,33-43 (ma, a mio avviso, è importante considerare anche il v. 44), parte evidenziando tutta la cura amorevole che il Signore riserva alla sua vigna, al suo popolo (Mt 21,33). Il testo evoca esplicitamente il canto di amore del Signore per il suo popolo annunciato dal profeta Isaia 5,1-7 (prima lettura). Anzi, tutta la parabola è stata scritta seguendo la trama drammatica di questa pagina profetica, dove Dio si presenta come l’Amante che ha grande cura e attenzione per la sua Sposa, per il suo popolo, affinché faccia frutti buoni, il vino, cioè, fuori metafora, scelte di amore e di giustizia, di attenzione all’altro, in particolare agli ultimi e ai deboli. In realtà, le scelte esistenziali del popolo di Dio, nonostante la cura amorevole di Dio, producono solo ingiustizia: «spargimento di sangue» e «grida di oppressi» (Is 5,7). Allo stesso modo la parabola evangelica annota che quando si avvicina il «tempo propizio (kairós) dei frutti», il servi mandati dal Signore per raccogliere i frutti vengono bastonati, uccisi e lapidati. Non solo, viene ucciso “fuori della vigna” ― allusione alla morte di Gesù eseguita fuori di Gerusalemme (Eb 31,12) ― anche il Figlio amato del Signore, l’“erede della vigna”, cioè Gesù che ci insegna con la sua vita a saper abitare con povertà e mitezza nell’eredità che Dio ha consegnato ai suoi figli, vale a dire nella terra, in questo nostro mondo, del quale non siamo i padroni assoluti: «I poveri possederanno la terra e godranno di una grande pace» (Sal 37,11); «Beati i miti, perché erediteranno la terra» (Mt 5,5). Dio viene per raccogliere i frutti, ed ecco anche qui raccoglie «spargimento di sangue» e «grida di oppressi» 3. Siccome le parabole sono costruite in modo da interpellare e aiutare al discernimento, anche qui si pone una domanda: «Quando verrà dunque il Signore della vigna, che cosa farà a quei contadini?» (Mt 21,40). La risposta che viene dagli interlocutori, i quali non vengono identificati, perché possiamo essere ognuno di noi, suona così: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo» (Mt 21,41). La risposta sembra chiara: Dio punirà quei malvagi e affitterà la vigna ad altri. Le parole di Gesù che seguono (Mt 21,42-44), possono essere intese o come chiarificazione o come correzione della risposta. A mio avviso è una correzione. Infatti, Gesù invita, non a leggere la pagina del Sal 118,22-23, come se fosse la prima volta, ma a “rileggerla riconoscendovi” (è proprio questo il verbo che qui viene usato) la sapienza dell’agire di Dio. Dio, di fronte alla malvagità degli uomini, agisce generando (è questo il verbo usato) il Figlio, che gli uomini hanno scartato e fatto fuori, come pietra che a sua volta rigenera (Dt 32,18) e ricostruisce un’esistenza malvagia, rendendola capace di dare i frutti che Lui si attende. E a ben vedere, i frutti (in questo caso il “vino”) consistono proprio in una esistenza rinnovata e ricostruita al contatto con il Figlio, ovvero con questa “pietra” che, come il “tornio” (si ricordi che nella vigna del Signore c’è il tornio: Mt 21,33), «sfracella» e «tritura» (Mt 21,44; Is 5,4-6; Salmo responsoriale: Sal 80) tutte le nostre malvagità, tutte le nostre logiche padronali e disumanizzanti, e ci fa diventare “vino”, vale a dire uomini e donne capaci di amare l’altro, in particolare l’ultimo e il debole, capaci di essere poveri e miti, di pensare cose vere, nobili, giuste, pure, amabili, degne di onore e di lode (seconda lettura: Fil 4,6-9). Che il Signore Dio ci ispiri tanto coraggio, affinché, morti all’uomo vecchio, ci lasciamo rigenerare dalla pietra scartata che è Cristo, e, riplasmati dal suo Spirito, diventiamo uomini e donne nuove, capaci di abitare la terra con povertà e mitezza.
Egidio Palumbo Barcellona PG (ME)
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