"Tempo Perso - Alla ricerca di senso nel quotidiano"
2 NOVEMBRE 2008 COMMEMORAZIONE DI TUTTI I FEDELI DEFUNTI (Messa I)
"LECTIO" DEL VANGELO DELLA DOMENICA a cura di fr. Egidio Palumbo |
Prima lettura: Gb 19,1.23-27a Salmo 26 Seconda lettura: Rm 5,5-11
VANGELO secondo Giovanni 6,37-40 In quel tempo, Gesù disse alla folla: 37 “Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me; colui che viene a me, non lo respingerò, 38 perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. 39 E questa è la volontà di colui che mi ha mandato, che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma lo risusciti nell’ultimo giorno. 40 Questa infatti è la volontà del Padre mio, che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; io lo risusciterò nell’ultimo giorno".
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Commemorazione di tutti i fedeli defunti 1. La commemorazione dei fedeli defunti prevale oggi sul normale itinerario domenicale dell’anno liturgico. È un’occasione per riflettere sul senso della nostra morte, che poi significa sul senso della nostra vita.
2. La pagina del vangelo (Gv 6,37-40), tratta dal discorso di Gesù sul Pane di vita, evidenzia alcune particolarità interessanti. La prima. Noi e tutte le creature di questo mondo siamo il dono prezioso che Dio Padre ha affidato al Figlio Gesù («Tutto ciò che il Padre mi dà», «di quanto egli mi ha dato». Per Dio Padre la nostra vita terrena è un dono prezioso che va custodito con cura e attenzione. Ognuno di noi è chiamato ad essere un dono per l’altro. La seconda particolarità. Il Figlio Gesù non respinge, non «caccia fuori» (Gv 6,37) il dono che riceve dal Padre, che siamo noi e tutte le creature, ma lo accoglie, perché il Figlio non segue la sua volontà, non ha cioè un progetto proprio da realizzare, un disegno, una strategia personale da perseguire, ma la volontà del Padre, il progetto del Padre. E nel progetto del Padre noi, e con noi tutte le creature della terra, siamo considerati come un suo dono prezioso. La terza particolarità. Il Figlio Gesù accoglie e fa di più: si prende cura affinché questo dono non vada perduto, dissolto, disperso («che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato»); gli fa sperimentare il senso pieno dell’esistenza (la «vita eterna») già in questa esistenza terrena e gli conferisce un futuro di resurrezione («lo risusciterò nell’ultimo giorno»). Il prendersi cura del Figlio è evidenziato anche dall’Apostolo Paolo che scrive: «quando eravamo ancora deboli… mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi», ci ha resi giusti, ci ha riconciliati (seconda lettura: Rm 5,5-11). La morte salvifica del corpo donato del Figlio è un atto gratuito e incondizionato: per amore ci ha strappati dalla perdizione prima della nostra conversione, cioè mentre eravamo ancora nel fallimento. E così anche Giobbe nella sua disgrazia può dire: «Io lo so che il mio Redentore è vivo» (prima lettura: Gb 19,1.23-27). “Redentore” (Go’el) indica il parente-prossimo che difende gli oppressi: Giobbe sa che, nonostante tutto, Dio è accanto a lui, è rimasto dalla sua parte, a differenza dei suoi amici che non hanno compreso il suo dramma.
3. La nostra vita, allora, ha un senso davanti a Dio perché siamo stati recuperati dal Figlio. Nulla di ciò che noi siamo qui in terra va perduto, nulla di ciò che saremo dopo la nostra morte corporale, quando stare davanti al Suo Volto, andrà perduto. Colui che “testardamente” ci custodire in questa vita, ci custodirà anche nella vita oltre la morte. Tutto questo, però, non avviene senza la nostra libertà e responsabilità. Ce ne parla la pagina evangelica quando scrive: «chiunque vede il Figlio e crede in lui» (Gv 6,40). Il “vedere”, è contemplare in profondità (salmo responsoriale: Sal 27), ed include, per la S. Scrittura (e in particolare per l’evangelista Giovanni), l’ascolto. Non si “vede” senza “ascoltare” e non si “ascolta” senza “vedere” (1Gv 1,1…), perché il “vedere” è finalizzato a contemplare l’immagine del Figlio per divenire sempre più somiglianti a Lui, al suo stile di vita, e questo richiede l’ascolto della sua Parola, perché la sua Parola dona la “vita eterna” (Gv 5,21; 6,68). E la “vita eterna” è conoscere, cioè fare esperienza del Padre e del Figlio (Gv 17,3), già qui nella nostra vita terrena e poi nella vita dopo la nostra morte corporale. Egidio Palumbo Barcellona PG (ME)
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