"Tempo Perso - Alla ricerca di senso nel quotidiano"
22 APRILE 2007 IIIª Domenica di Pasqua - Anno C
"LECTIO" DEL VANGELO DELLA DOMENICA a cura di fr. Egidio Palumbo |
Prima lettura: At 5,27-32.40-41 Sal 29 Seconda lettura: Ap 5,11-14
VANGELO
secondo Giovanni
21,1-19
In quel tempo, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di
Tiberiade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso
detto Didimo, Natanaele di Cana di Galilea, i figli di Zebedeo e altri due
discepoli. Disse loro Simon Pietro: “Io vado a pescare”. Gli dissero:
“Veniamo anche noi con te”. Allora uscirono e salirono sulla barca; ma in
quella notte non presero nulla. |
Senza il Signore non possiamo far nulla 1. Con la terza domenica di Pasqua continua l’approfondimento mistagogico dell’evento Pasquale. Ancora una volta non c’è la preoccupazione di “dimostrare” come è avvenuta la Risurrezione di Gesù dai morti, bensì di mostrare che la presenza reale del Crocifisso Risorto è presenza che coinvolge personalmente ed ecclesialmente. Senza questo coinvolgimento l’evento della Risurrezione di Gesù rimane un evento a noi distante ed estraneo; al massimo un evento su cui tentare di indagare in maniera distaccata per sapere da “studiosi” come è avvenuto questo “miracolo”, ma che in realtà non ci coinvolge più di tanto. Invece per gli evangeli l’evento della Risurrezione di Gesù dai morti non riguarda solo Gesù, ma anche noi, le nostre persone e le nostre comunità ecclesiali, perché solo lasciandoci toccare, coinvolgere oggi da questo Evento noi possiamo fare esperienza di Cristo Risorto. Infatti, la pagina evangelica di Gv 21,1-19 ci narra come si manifesta oggi il Signore Risorto alla sua Chiesa. 2. La Chiesa qui è impegnata nella missione. L’attività del pescare, qui, come altrove nei vangeli (Mc 1,16-20 e brani paralleli), rappresenta la missione evangelizzatrice della Chiesa. Si menzionano sette discepoli, a partire da Simon Pietro. Il sette nella Bibbia indica pienezza: è quindi una Chiesa che si trova nella pienezza della sua vita e della sua missione, Il suo modo di evangelizzare è perfetto poiché risponde a criteri pastorali ed organizzativi molto efficienti: si rispetta il tempo di solito considerato propizio per l’evangelizzazione (la notte); c’è un capo, Simon Pietro che decide quando e come bisogna evangelizzare, e poi ci sono gli altri che gli fanno un po’ da gregari. C’è l’“io” di Simon Pietro e c’è il “noi” degli altri discepoli che si aggregano a Simon Pietro. Risultato dell’evangelizzazione? Nulla. Nonostante l’organizzazione pastorale molto efficiente, l’evangelizzazione è fallimentare. Con sorpresa ci rendiamo conto che quella “notte”, considerata tempo propizio, è la “notte del nulla”, è la “notte della nostra sconfitta”, dove cadono ad una ad una tutte le nostre pretese di voler evangelizzare secondo criteri e programmi prettamente umani e mondani (anche se a volte per pudore gli “verniciamo” di religiosità dicendo che stiamo lavorando per Dio e in obbedienza alla sua Parola…). 3. Ebbene, proprio nella notte del nostro fallimento, del nostro “inferno”, viene Gesù non riconosciuto dai suoi (Gv 21,4). La pagina del vangelo parla di “alba”, allusione all’alba della Risurrezione (Gv 20,1); parla di Gesù che “sta in piedi”, allusione all’Agnello sgozzato ritto in piedi (Ap 5,6), cioè allo Scartato posto da Dio a fondamento della sua Chiesa, vale a dire al Crocifisso Risorto verso il quale dovrebbe andare la nostra adorazione e la nostra adesione vitale (seconda lettura: Ap 5,11-14). Ecco: il Crocifisso Risorto ci raggiunge nel nostro “inferno” per prenderci per mano e farci uscire dal nostro fallimento; fallimento marcato ancora una volta da quel “no!” dato come risposta a Colui che per loro è uno sconosciuto (Gv 21,5). Come non vedere qui la “discesa agli inferi” di nostro Signore (1Pt 3,18-22) per farci risalire e (salmo responsoriale: Sal 30) e insegnarci come evangelizzare in obbedienza a Dio, piuttosto che in obbedienza agli uomini (prima lettura: At 5,27-32.40-41)? E così, acconsentendo alla Parola del Signore, nel tempo insolito dell’“alba” — insolito per certi nostri criteri pastorali, ma non per il Risorto — la Chiesa ricomincia ad evangelizzare. Si noti che Gesù ha detto di gettare la rete «dalla parte destra della barca» (Gv 21,6): la “destra” — fuori da ogni metafora di natura politica — allude alle opere di vita di cui Dio è autore (Sal 118,14-17), alla sorgente d’acqua che scaturisce dal lato destro del Tempio che risana, fa rivivere e fa maturare i frutti (Ez 47); allude al “sangue e acqua” che escono dal costato del Crocifisso (Gv 19,34). Dunque, è solo nel Nome di Cristo Crocifisso Risorto, è solo assumendo il suo stile e le sue scelte di vita che la nostra evangelizzazione darà i suoi frutti, perché sarà opera di Dio e del Figlio Risorto, e non opera della nostra sapienza organizzativa. A volte si ha l’impressione che la nostra sia una evangelizzazione senza Dio e senza il suo Figlio Risorto, cioè una evangelizzazione che si gioca tutto sul protagonismo personale e collettivo dei suoi evangelizzatori. Si perde la coscienza che anche nel tempo della Chiesa la missione continua ad essere opera di Dio Trinità, opera del Padre, del Figlio e dello Spirito: «Senza di me non potete far nulla» (Gv 15,5). La Chiesa non si sostituisce a Dio Trinità, ma collabora pazientemente ponendosi al Suo servizio e al servizio del Suo Regno. Questo Pietro lo comprende quando, ascoltando il discepolo che Gesù amava, riconosce che in quella evangelizzazione, vissuta in quel modo e con quello stile, vi è la presenza del Signore Crocifisso Risorto (Gv 21,7). E infatti, Pietro si cinge la veste, cioè si riveste di Cristo Servo (Gv 13,4), e si getta nel mare della storia — è il suo battesimo! — per fare davvero il “pescatore di uomini”, per offrire agli uomini un progetto di vita e di speranza. E si noti anche che scesi sulla terra, dove trovano la brace accesa con il pesce sopra e il pane (Gv 21,9), simboli dell’eucaristia, Pietro «attirò la rete sulla terra piena di grandi pesci, centocinquantatré» (Gv 21,11). Quei 153 sono le comunità dei pagani evangelizzati (siamo sul lago di Tiberiade in terra di Galilea, una regione di confine con il mondo pagano) che vengono condotti al luogo del “pesce arrostito” e del “pane”, cioè vengono condotti a Cristo. In realtà il testo dice che Pietro «attirò» la rete verso il luogo del “pesce arrostito” e del “pane”. Questo verbo è significativo perché evoca Gv 12,32 dove il Signore dice che quando sarà innalzato, crocifisso, attirerà tutti a sé. In obbedienza a questa Parola del Signore, Pietro attira non più verso di sé, ma verso il Signore. 4. Il centro di tutta la pagina evangelica è il convito per mangiare il “pesce arrostito e il pane” (Gv 21,9-13). Abbiamo qui tre elementi: la “brace accesa”, il fuoco, che allude allo Spirito; il “pesce arrostito” sulla brace, che allude alla passione del Signore dove egli ci rivela l’amore appassionato di Dio per l’umanità; il “pane”, che allude all’esistenza donata del Signore per la vita del mondo (Gv 6,50-51). È un convito già preparato, a cui tutti i discepoli sono invitati a partecipare. E si parla non di cena o di banchetto in genere, ma di pranzo. L’invito di Gesù suona così: «Venite, pranzate» (Gv 21,21). La sfumatura è significativa: il pranzo si fa a mezzogiorno, nell’ora più calda del giorno, dove il sole è al massimo del suo splendore. Mezzogiorno indica la pienezza del giorno. Qui è l’incontro pieno, vero, reale con il Signore Crocifisso Risorto. Qui è la manifestazione reale, storica del Risorto. Qui, mangiando la sua Parola e il suo corpo donato, assimiliamo il suo stile di vita, e siamo così resi idonei ad essere testimoni e ad evangelizzare(At 10,40-41). Notare l’itinerario compiuto da Pietro e dagli altri discepoli: dalla notte, all’alba, a mezzogiorno. 5. Certo, è fondamentale la nostra adesione personale e comunitaria, la nostra risposta libera e incondizionata al Signore affinché il convito vissuto con Lui si coniughi nella vita di ogni giorno. Per questo Egli domanda a Pietro (con lui a tutti gli altri discepoli e a tutti noi): mi ami tu? Mi vuoi essere amico? — «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo Signore; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi» (Gv 15,13-15) — Sì, Signore, tu sai che si sono amico. Pasci i miei agnelli. Segui, me (Gv 21,15-19).
Egidio Palumbo Barcellona PG (ME)
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