"Tempo Perso - Alla ricerca di senso nel quotidiano"
11 FEBBRAIO 2007 VI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - C
"LECTIO" DEL VANGELO DELLA DOMENICA a cura di fr. Egidio Palumbo |
Prima lettura: Ger 17,5-8
Sal 1
VANGELO
secondo Luca
6,17.20-26
17Disceso con loro, si fermò in un
luogo pianeggiante. C'era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine
di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di
Sidone, 18che erano venuti per ascoltarlo ed esser
guariti dalle loro malattie; anche quelli che erano tormentati da spiriti
immondi, venivano guariti. 19Tutta la folla cercava di
toccarlo, perché da lui usciva una forza che sanava tutti. |
La vera felicità del cristianoInfatti le beatitudini sono rivolte ai discepoli, non all’umanità in genere: è verso i discepoli che Gesù alza gli occhi (Lc 6,20), è ai discepoli che viene riferito il “voi” del “Beati” (Lc 6,20-22); come pure è ancora riferito ai discepoli il “voi” del “Guai”, ovvero delle lamentazioni del Signore (Lc 6,24-26); e dire “discepoli” significa dire Chiesa, comunità cristiana e ogni cristiano. E inoltre, la vocazione e missione profetica è qui evidenziata da Lc 6,23, dove con questo versetto le beatitudini qualificano il vero profeta, mentre con Lc 6,26 le lamentazioni qualificano il falso profeta. C’è da premettere ancora un altro particolare che purtroppo la liturgia ha omesso: Lc 6,18-19 insiste sull’ascolto e sulle guarigioni di Gesù. Non si tratta di guarigioni miracolistiche, secondo una certa concezione popolare oggi ancora molto diffusa tra i cristiani. Ma, certo è, che la sua parola e la sua azione sono terapeutiche. È come se l’evangelista ci dicesse che il “Discorso della pianura” è un discorso sanante, terapeutico, ma ad una condizione: se è ascoltato, se è accolto e se diventa stile di vita ecclesiale e personale. 2. Se viene proposta una terapia sanante, vuol dire che c’è una malattia. Qual è? L’evangelista introduce il “Discorso della pianura” con la frase «Discese con loro e stette in un luogo pianeggiante» (Lc 6,17). Quel “discendere” indica il venire di Gesù nella nostra storia quotidiana, simboleggiata dalla “pianura”. La fede della Chiesa nel Credo o Simbolo Apostolico parla della “Discesa agli inferi” di Gesù dopo la sua morte (cf. 1Pt 3,19): è il suo “discendere” fin dentro le pieghe più oscure della nostra esistenza, fin dentro la nostra “morte”, per tirarci fuori dai nostri fallimenti. E questa sua “discesa” è resa ancora più evidente dall’espressione che introduce le Beatitudini: «Alzati gli occhi verso i suoi discepoli, Gesù diceva» (Lc 6,20). È lo sguardo di Gesù Risorto che sta in mezzo a noi, nel cuore della nostra storia («e stette in un luogo pianeggiante») e ci guarda dal basso verso l’alto; è lo sguardo di chi conosce il cuore fragile e ambiguo della sua Chiesa; è lo sguardo di chi non ha potere e nemmeno lo cerca; è lo sguardo di chi non si vergogna di chiamarci fratelli (Eb 2,11; Gv 20,17) e di chi vuol vedere che lo stiamo diventando veramente. Ebbene, qual è la malattia? Le Beatitudini e le Lamentazioni rivolte a quel “voi” ecclesiale, esprimono le due facce della stessa realtà. Nella comunità dei discepoli, nella nostra comunità ecclesiale, come nella stessa persona dei credenti, convivono la povertà e la ricchezza, l’accoglienza e il rifiuto del Regno. Un po’ si è profeti un po’ si è falsi profeti, a seconda delle convenienze. Ecco la “malattia”: l’ambiguità, la falsità, la poca trasparenza di chi confida solo in se stesso, di chi è sazio di sé, di chi sente al di sopra degli altri. E quando questa “malattia” diventa cronica, allora le comunità ecclesiali e i singoli cristiani più che evangelizzare, più che essere segno profetico nella città degli uomini, sono segno di “maledizione”, ovvero fanno solo “guai”, arrecano solo danni a se stessi e agli altri. Per questo Gesù piange il suo lamento (Lc 6,24-26), così come piange il suo lamento il profeta Geremia, costatando le conseguenze di chi confida più nelle presunzioni dell’uomo e che nella Parola del Signore (prima lettura: Ger 17.5-8). 3. La terapia sta nell’accogliere senza reticenze la “via” sapiente e profetica delle Beatitudini, la cui vera felicità sta nel diventare poveri per scelta di vita (altra cosa è la miseria degli impoveriti), vale a dire: capaci di “discendere”, di accogliere l’altro, Dio e il prossimo (il ricco è pieno di sé e perciò non accoglie nessuno), capaci di confidare e sperare nel Signore Risorto (salmo responsoriale: Sal 1; seconda lettura: 1Cor 15,12.16-20) e non nelle proprie forze, tattiche, progetti, organizzazioni. Che la Chiesa e le nostre comunità ecclesiali imparino a vivere la beatitudine della povertà come scelta profetica di vita, discendendo con Gesù in mezzo a questa nostra umanità assetata di vera felicità. Egidio Palumbo Barcellona PG (ME)
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