"Tempo Perso - Alla ricerca di senso nel quotidiano"

7 OTTOBRE 2007                                                      XXVII DOMENICA del Tempo Ordinario - Anno C

"LECTIO" DEL VANGELO DELLA DOMENICA a cura di fr. Egidio Palumbo 

Prima lettura: Ab 1,2-3; 2, 2-4       Salmo 94         Seconda lettura: 2 Tm 1,6-8.13-14;

VANGELO secondo  Luca  17, 5-10

In quel tempo, gli apostoli dissero al Signore: «Aumenta la nostra fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granellino di senapa, potreste dire a questo gelso: Sii sradicato e trapiantato nel mare, ed esso vi ascolterebbe. 
Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà quando rientra dal campo: Vieni subito e mettiti a tavola? Non gli dirà piuttosto: Preparami da mangiare, rimboccati la veste e servimi, finché io abbia mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai anche tu? Si riterrà obbligato verso il suo servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? 
Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare». 

 

 

Essere servi che non cercano l’utile proprio

 1. La pagina evangelica di questa domenica (Lc 17,5-10) è in continuità con quella di domenica scorsa, ovvero con la parabola del ricco e del povero Lazzaro (Lc 16,19-31). Qui avviene il ribaltamento della situazione: il ricco vive la morte come il fallimento della propria esistenza chiusa in sé, nella propria autosufficienza e nella propria autoreferenzialità; ma il fallimento è per lui una grazia, poiché da questa condizione di fallito egli comincia a relazionarsi con Dio, attraverso Abramo, il padre della fede, a relazionarsi con il povero Lazzaro, del quale prima sapeva l’esistenza, anzi addirituttura ora lo chiama per nome; impara, il ricco, a preoccuparsi dei suoi fratelli, impara ad ascoltare Dio, attraverso la sua Parola (Mosè e il Profeti) e impara ad ascoltare gli altri. Ha dovuto sperimentare tutta la drammaticità del fallimento personale per guardare la vita da un’altra prospettiva, cioè dalla prospettiva del Dio di Abramo, e iniziare un cammino di conversione e di fede autentica.

 

 

 2. Anche la pagina evangelica di Lc 17,5-10 presenta un ribaltamento di situazione e di prospettiva. Conviene però partire dalla prima lettura proposta dalla liturgia: Ab 1,2-3; 2,2-4. Il profeta Abacuc inizia con un lamento, invocando l’intervento di Dio per la situazione di violenza e di degrado del popolo che rischia l’esilio in Babilonia. Il lamento si chiude con una “visione” — cioè con il punto di vista di Dio sulla situazione — che il profeta, costituito sentinella, deve ascoltare e scrivere, e con l’affermazione dello stesso profeta, quasi a commento della “visione”: “Ecco, soccombe colui che non ha l’animo retto, mentre il giusto vivrà per la sua fede”, affermazione che sarà ripresa da Paolo Apostolo nelle sue lettere (Rm 1,17; Gal 3,11; anche Eb 10,38).

 

  3. Come il profeta Abacuc, anche gli apostoli della pagina evangelica rivolgono al Signore una invocazione: “Aumenta la nostra fede”, cioè, fa’ che cresca la nostra relazione di fiducia in Te, il nostro appoggiarci e fondarci in Te diventi più solido e stabile, la nostra comunione interpersonale con Te diventi più profonda e matura.

Ma se da una parte noi chiediamo al Signore che aumenti la nostra fede in Lui, Lui, rischiando di perdere la faccia, si fida di noi e si affida alla nostra responsabilità. Il Signore non ha la bacchetta magica per portare avanti la sua opera e per cambiare le situazioni di violenza e di ingiustizia in questo mondo: Egli può solo fidarsi dei suoi profeti e dei suoi apostoli, cioè di noi credenti, e affidare a noi, alla nostra piccola fede che ha seminato in noi, la sua opera per “sdradicare il gelso e trapiantarlo nel mare”, ovvero per riabaltare le situazioni.

E qui c’è uno dei tanti paradossi della vita cristiana duri per noi a digerire: chi veramente potrà portare avanti con responsabilità l’opera del Signore in questo mondo? chi veramente sarà un autentico apostolo evangelizzatore in questo mondo? chi potrà, con la forza del vangelo, ribaltare le innumerevoli situazioni di ingiustia e di degrado spirituale, civile e morale in questo mondo? Colui che non si appartiene più, ma sa di appartenere soltanto al Signore (come lo “schiavo”), e proprio per questo sa di essere uno “schiavo inutile”, ovvero uno che non cerca l’utile proprio, ma ciò che piace al Signore e il bene di tutti.

 

  4. Sentiamo anche come rivolta a noi l’esortazione che l’apostolo Paolo rivolge al vescovo Timoteo /seconda lettura: 2Tm 1,6-8.13-14), affinché non ci vergogniamo della testimonianza da rendere al vangelo del Signore in situazioni dove c’è da rinunciare all’utile proprio e all’immagine di efficienza personale senza spirito profetico.

                                                                                           Egidio Palumbo

Barcellona PG (ME)