"Tempo Perso - Alla ricerca di senso nel quotidiano"
4 MARZO 2007 II DOMENICA DI QUARESIMA - Anno C
"LECTIO" DEL VANGELO DELLA DOMENICA a cura di fr. Egidio Palumbo |
Prima lettura: Gn 15,5-12.17-18 Sal 26 Seconda lettura: Fil 3,17-4,1
VANGELO
secondo Luca
9,28-36
28 Circa otto giorni dopo questi discorsi, prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. 29 E, mentre pregava, il suo volto cambiò d'aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. 30 Ed ecco due uomini parlavano con lui: erano Mosè ed Elia, 31 apparsi nella loro gloria, e parlavano della sua dipartita che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme. 32 Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; tuttavia restarono svegli e videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. 33 Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi stare qui. Facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli non sapeva quel che diceva. 34 Mentre parlava così, venne una nube e li avvolse; all'entrare in quella nube, ebbero paura. 35 E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l'eletto; ascoltatelo». 36 Appena la voce cessò, Gesù restò solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.
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La trasfigurazione di Gesù 1. Dopo aver contemplato nella prima domenica di quaresima l’esistenza tentata, provata di Gesù (Lc 4,1-13), nella seconda la liturgia ci fa contemplare l’esistenza trasfigurata di Gesù (Lc 9,28-36), simboleggiata dal suo volto “altro” e dalla sua veste bianca sfolgorante (Lc 9,29). Se le tentazioni di Gesù ci fanno comprendere che la vita battesimale impegna in una continua lotta contro il male, la trasfigurazione ci fa comprendere che la vita battesimale è cammino verso una vita trasfigurata nel Signore, impegno per una vita “altra”, umanamente ed evangelicamente alternativa. Considerando che nel contesto evangelico l’evento della trasfigurazione avviene tra due annunci della passione, morte e risurrezione di Gesù (primo annuncio: Lc 9,22; secondo annuncio: 9,44-45), possiamo immaginare che la domanda di fondo che soggiace a questa pagina evangelica è la seguente: che senso ha vivere da cristiani in questa storia che ti mette alla prova ogni giorno e ti emargina? che senso ha vivere in questo mondo dove quasi tutto va male e che a questo male ognuno di noi dà un po’ del suo contributo? 2. L’evento della trasfigurazione innanzitutto pone in primo piano l’esperienza di Gesù (Lc 9,28-31). Tutto avviene in un contesto di preghiera, dove Gesù in ascolto silenzioso e in dialogo con il Padre vede la sua esistenza (volto/veste) illuminarsi di una Luce — la presenza di Dio (salmo responsoriale: Sal 27), evocata anche dalla montagna — che non illumina dall’esterno, ma dall’interno e fa riscoprire il Senso dell’esodo (Lc 9,31, e non “dipartita”), del cammino di Gesù verso Gerusalemme, la città della Pace e della Fedeltà, in questa storia dura e difficile. E il Senso sta nel fatto che la sua esistenza messa alla prova, emarginata, disprezzata, debole, vulnerabile, è comunque un’esistenza amata dal Padre, un’esistenza sul quale il Padre “rischia la sua reputazione”… In questo Gesù trova luce e conferma nel dialogo con le S. Scritture, perché «Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino» (Sal 119,105), cioè con Mosè, che rappresenta la Torah, la Legge, e con Elia, che rappresenta i Profeti. Anche su Mosè, e con lui da Abramo e tutti i patriarchi, e poi Elia e tutti i profeti d’Israele, persone di fede, ma anche persone deboli e fragili, su tutti costoro Dio ha “rischiato” affidando loro la parola della promessa e dell’alleanza di comunione e di amicizia con l’umanità (prima lettura: Gen 15,5.12.17-18). 3. In secondo piano l’evento della trasfigurazione pone i discepoli Pietro, Giovanni e Giacomo (Lc 9,32-36); vale a dire le nostre chiese, le nostre comunità, perché al momento in cui si scrivono i vangeli Pietro rappresenta la Chiesa di Roma, Giovanni le Chiese dell’Asia Minore o Turchia, Giacomo la Chiesa Madre di Gerusalemme. Luca annota che i discepoli «erano stati appesantiti dal sonno, ma vigilanti, contemplarono la sua gloria» (Lc 9,32). La “pesantezza dal sonno” evoca certamente il peso della storia che spesso oscura e ottunde la nostra mente e la nostra coscienza. Ma non solo. Vi è qualcos’altro di più profondo. Sembra esserci una stretta connessione tra la Luce che illumina dall’interno l’esistenza del Signore e la “pesantezza dal sonno” dei discepoli e, ancora, la “nube” (Lc 9,34-35) che avvolge i discepoli e fa loro da tenda dell’ascolto della voce del Padre. Questo vuol dire che Dio illumina non per “idee chiare e distinte”, ma per coinvolgimento personale attraverso l’ascolto-assimilazione della sua Parola. Infatti, i discepoli per ascoltare la voce del Padre e del Figlio devono essere adombrati dalla Nube — come Maria (Lc 1,35) —, anzi devono entrare nella Nube. Fino a quando rimangono all’esterno, magari facendo anche tre tende per il Signore, per Mosè ed Elia, magari facendo anche qualche altra opera grandiosa, ma senza coinvolgersi personalmente, senza diventare loro stessi “tenda” del Signore, dimora della Sua Presenza, allora non ascolteranno mai la voce del Padre e neppure la voce del Figlio, e la loro vita non sarà mai orientata verso la trasfigurazione nel Signore. 4. Mi sembra significativo accostare il “sonno” dei discepoli al “torpore” (inviato da Dio) che cade su Abramo sacrificale (prima lettura: Gen 15,5.12.17-18). Questi, stando sempre nel “torpore”, è personalmente coinvolto nell’Alleanza che Dio conclude con lui passando come Nube di Fuoco attraverso l’offerta sacrificale. E qual era l’Alleanza? La promessa di una discendenza numerosa. Sì, ma qui viene aggiunto un particolare importante che purtroppo la liturgia non ci fa leggere: una discendenza numerosa che abiterà sulla terra come ospite e forestiera (Gen 15,13-16). Dal “torpore” di Abramo, evocatrice di quello di Adamo (Gen 2,21), Dio sta plasmando una umanità “altra”, un nuovo popolo capace di abitare la terra assumendo quella particolare condizione di estraneità che ci rende non disinteressati alle vicende di questo mondo, tutt’altro, anzi più responsabili ma nello stesso tempo meno omologabili alle varie forme di idolatria, sottili e manifeste, presenti in questo mondo. Ecco l’Alleanza che Dio conclude con Abramo, il padre della fede, l’“apri-pista” della storia della salvezza. E questa stessa estraneità chiede l’apostolo Paolo alla comunità di Filippi quando scrive che «la nostra cittadinanza è nei cieli e di là attendiamo come salvatore il Signore Gesù, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso», e questo non per via miracolistica o estatica, ma se riconosceremo Lui e soltanto Lui come il Signore della storia (seconda lettura: Fil 3,17-4,1). Ritorniamo ai discepoli della trasfigurazione. Il loro “essere stati appesantiti dal sonno” (qui dal punto di vita letterario c’è un “passivo divino”), come per Adamo e Abramo, dice che la trasfigurazione assume qui la forma della gestazione di una nuova nascita, opera del Signore: la rinascita di una Chiesa, anche della Chiesa del nostro tempo, capace di essere “tenda”, ovvero di camminare nella storia in ascolto della voce del Signore, lasciandosi guidare dalla Nube/Spirito, vivendo la cittadinanza in questo mondo non come signora e padrona ma come ospite e forestiera, nell’attesa del Signore, il quale porterà a compimento l’opera che Lui ha iniziato in noi (Fil 1,6). Che il Signore ci renda un po’ più consapevoli che ha senso vivere in questo mondo come “cittadini del cielo”, vale a dire, più responsabili e meno idolatri di noi stessi e delle nostre opere…
Egidio Palumbo Barcellona PG (ME)
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