"I
musulmani identificano il cristiano con l’occidentale e la
nostra situazione è diventata ora molto più delicata. I
cristiani, che già sono una piccola minoranza, rischiano
un’ulteriore marginalizzazione, e in caso di un riacutizzarsi
del conflitto andranno di sicuro incontro a difficoltà ancor più
gravi di quelle già gravi affrontate dall’intera
popolazione". A lanciare un Sos sulla stessa lunghezza
d’onda delle preoccupate parole pronunciate di recente dal
cardinale Angelo Sodano, segretario di Stato vaticano ("a chi
conviene mettersi contro un miliardo di musulmani e rischiare di
avere per decenni l’ostilità del mondo musulmano?"), è
monsgnor Slamon Warduni, vescovo di Baghdad per i cattolici di
rito caldeo, nel libro-intervista "Dio non vuole la guerra in
Iraq", uscito ieri per i tipi della piccola e coraggiosa
Medusa. Si dirà: Warduni è nell’occhio del ciclone, parla
condizionato dal delicatissimo contesto in cui è immerso. In
realtà, analoghe allarmate prese di posizione, nelle ultime
settimane si sono levate da più parti nel mondo, spesso per voce
anche di autorevoli uomini di Chiesa. I vescovi delle Filippine
hanno diffuso una dichiarazione in cui affermano che "una
guerra contro l’Iraq avrebbe serie ripercussioni
internazionali". Paese a maggioranza cattolica, le Filippine
hanno una forte presenza islamica, che nella zona di Mindanao non
di rado si è resa protagonista di episodi di violenza. I vescovi
locali sono ben consci della potenzialità esplosiva della miscela
di integralismo politico e religione. Così come lo sono i leader
cristiani del Pakistan, i quali sono intervenuti con una lettera
pastorale congiunta in cui scongiurano la guerra in Iraq con
parole molto forti. "La minoranza pakistana è stata resa
ancor più vulnerabile agli attacchi dei gruppi militanti islamici
a partire dall’attacco americano in Afghanistan", chiosa
l’agenzia cattolica Ucanews nel dispaccio in cui rende noto il
testo del documento, aggiungendo che "da allora oltre 40
persone sono morte in attacchi contro chiese o istituzioni
ecclesiastiche in Pakistan". Toni non meno angosciati si
rintracciano in un recentissimo intervento dei vescovi di
Malaysia, Singapore, Brunei, anch’essi contrari all’intervento
armato in Iraq "nelle attuali circostanze". Dall’Asia
all’Africa. In una testimonianza pervenuta alla redazione di
‘Mondo e Missione’ dal Ciad si legge: "Il negoziante dove
ogni giorno andiamo a comprare il pane qualche mese fa ci ha
chiesto in regalo una Bibbia. Eppure, subito dopo il crollo delle
Torri gemelle, aveva affisso nel suo negozietto un grande poster
che ritrae Osama bin Laden". Schizofrenia? Nient’affatto.
In molte zone dell’Africa subsahariana l’islam,
tradizionalmente tollerante e col quale i missionari riescono in
genere, a impostare almeno un "dialogo della vita", sta
assorbendo l’influsso pericoloso dell’ala radicale. Piaccia o
no, la reazione agli eventi in corso (dall’intervento americano
in Afghanistan, al conflitto israelo-palestinese, fino alla guerra
contro l’Iraq) porta molti moderati fedeli ad Allah a sposare le
tesi dei più estremisti che identificano l’Occidente sempre più
come un nemico e i cristiani, di conseguenza, come potenziali
pericoli, la Chiesa una sorta di "quinta colonna". I
risultati della nefasta equazione li abbiamo visti, ad esempio, in
Nigeria pochi mesi fa. Ebbene. Bush ha ragione quando afferma, nel
discorso sullo Stato dell’Unione, che "un futuro vissuto
alla mercé di terribili minacce non è affatto una pace". Ma
quali "terribili minacce" innescherà nell’immensa e
tumultuosa galassia musulmana un intervento militare occidentale
in Iraq?
(di Gerolamo Fazzini, condirettore di
‘Mondo e Missione’)