LA GUERRA NON GENERA LA PACE di Nino Fasullo
Quarant'anni fa, l'11 aprile 1963, Giovanni XXIII pubblicò la sua ultima lettera enciclica, Pacem in terris, la più bella mai uscita dai sacri palazzi. Lo scopo era impegnativo: persuadere gli uomini del bene supremo della pace e dei mezzi indispensabili per conseguirla. Niente discussioni teologiche, filosofiche storiche. Ridotte al minimo perfino le citazioni bibliche, incluse quelle sull'ordine fissato da Dio. Il discorso rigoroso, e suasivo, tessuto col filo della semplice ragione naturale fa perno sui diritti inalienabili degli esseri umani e dei popoli. Al centro dell'enciclica sono i suoi destinatari: "gli uomini di buona volontà". Era la prima volta che un pontefice si rivolgeva a tutti gli uomini anziché ai solo cattolici. Con ciò il senso della lettera risalta immediatamente: essendo la pace bene di tutti, devono tutti partecipare alla sua costruzione. La pace, pertanto, non é solo cristiana o musulmana o laica o atea. Né è solo di sinistra o di destra. Le religioni a cominciare dalla cattolica, abbandonando ciascuna ogni pretesa egemonica, devono spendersi per essa, unitariamente sino in fondo. Non a caso Giovanni XXIII con la Pacem in terris ha avviato a livello mondiale l'epoca della distensione, della fiducia e del dialogo. La sua idea della pace come bene comune indivisibile ha consegnato alla Chiesa un ruolo di cui in questi giorni si é sperimentata la necessità. Il suo successore,Giovanni Paolo II, averne raccolta l'intuizione. Sulla pace ha unificato il pianeta. E la Chiesa è diventata per tutti, credenti e non credenti, segno di unità e strumento di pace. Sebbene il suo recente invito a digiunare per la pace, quindi a manifestare in modo energico e disarmato contro la guerra, fosse rivolto ai cattolici, non sono stati solo questi ultimi a raccoglierlo ma molti altri che non si ritrovano nelle file della chiesa: segno evidente che il bene della pace è sentito come compito non sulla base di qualche ideologia ma di una responsabilità etica universale. La Pacem in terris ha abbattuto molto barriere. Sulla linea del suo insegnamento, il Concilio ha dichiarato (Gaudium et spes, 92) che la Chiesa è pronta, per la pace, a unirsi a chiunque , perfino a quelli stessi che la perseguitano. Perchè gli uomini fanno le guerre? Perchè le vogliono fare. La complessità dei motivi, pertanto, trova risposta in questa affermazione sommaria che sembra lasciare fuori ogni considerazione. Sta di fatto che le guerre storicamente non sono mai state necessarie. Erano tutte evitabili. Né esistono geni cattivi, destini perversi, satana incanagliti, che vadano in giro per il mondo a disseminare contrasti e dissidi. Sono gli uomini, e solo loro, a volere le guerre: come ognuno in questi giorni ha potuto constatare. Solo la ostinazione di determinati individui ha scatenato sull'Iraq la guerra furibonda che sta infliggendo a popolazioni povere e incolpevoli distruzione e morte. Naturalmente i veri motivi non verranno mai confessati. Ma la guerra è dovuta alla stoltezza della volontà umana, così la pace dipende dalla bontà della stessa. Per questo Giovanni XXIII si rivolse agli uomini di "buona volontà": per affermare che la pace é sempre possibile,e la guerra sempre evitabile, e dichiarare che per averla basta volerlo. La pace non scende dal cielo come realtà compiuta. E' frutto, invece, scrive Giovanni XXIII della verità, della libertà, della giustizia, dell'amore. (Giovanni Paolo II, recentemente, alla giustizia ha aggiunto il perdono). Senza questi «mattoni» non si avrà mai l'edificio della pace. Né è vero - non lo è mai stato - che una guerra si fa per avere la pace. Vero è che alla guerra succede la pace, ma senza giustizia, perchè imposta dal vincitore. Solo la pace può generare la pace. Ma c'è un insegnamento nuovo alla Pacem in terris, strettamente legato alla condizione storica determinatosi il 6 agosto 1946 con il lancio della bomba atomica su Hiroshima e su Nagasaki, quando sui i piedi dell'umanità si spalanco l'abisso. Giovanni XXIII è esplicito: ormai la guerra non si può fare: «Nell'epoca dell'arma atomica, é fuori dalla ragione (alienum est a ragione) pensare che la guerra possa essere un mezzo idoneo a risarcire i diritti violati» D'ora in poi i contrasti, nazionali e internazionali, devono risolversi con il dialogo, il confronto, il compromesso. Questa novità universale ha fatto diventare vecchio e inutile il detto romano: Si vis pacem para bellum, mutandolo nell'altro: Si vis pacem para pacem. Allontanarsi da questa novità rende pressoché impossibile produrre atti politici moralmente leciti. La guerra, ormai, sotto ogni punto di vista, è diventata l'atto più immorale che oggi è possibile compiersi. E l'autorità che ne portasse la responsabilità verrebbe meno al più importante compito che la rende legittima:la salvaguardia della pace. Sono numerosi gli insegnamenti della Pacem in terris, oggi di grande attualità. Ne ricordiamo uno, tra i più intelligenti, che fecero perdere il sonno a molti benpensanti, non solo italiani: la riproposizione del principio agostianiano secondo cui bisogna tenere distinti l'errore dall'errante, le filosofie dalle persone, perché le prime si cristallizzano e restano ferme, le secondo invece mutano, cambiano intelligenza e compiono scelte nuove. Il richiamo del pontefice ebbe un effetto immediato: equivaleva infatti all'invito, rivolto a tutti, a non irrigidirsi, spesso in modo strumentale, su ideologie insostenibili e moralmente ingiustificabili. Si era negli anni in cui la destra cattolica italiana usufruiva comodamente del beneficio politico della scomunica dei comunisti fulminata dal sant'uffizio di Pio XII. Gli uomini di "buona volontà" , tantissimi, accolsero l'enciclica con vivo senso di liberazione. Gli altri meno. Fino al punto di metterla in una sorta di quarantena. Oggi, finalmente, dopo quarant'anni, Giovanni Paolo II l'ha praticamente sdoganata. Restituendole la luce con la quale l'Evangelo, fin dall'inizio, l'aveva illuminata. testo integrale tratto da "La Repubblica - Palermo" - 11 aprile 2003
|