IDEE
La
guerra a scuola senza retorica
Oggi tra i
banchi non c'è nessuna prosopopea dei conflitti o dell'italianità, come
accadde ai tempi del fascismo e del Duce per il colonialismo. E non c'è
neppure antiamericanismo
I giovani uniti manifestano nelle piazze il loro dissenso. Ma sono tutti
di cultura americana: per la musica che ascoltano, il cinema, i
videogiochi, per i blue jeans che indossano, e anche per il cibo
di
Vittorino Andreoli
Il tema «giovani e guerra»
è drammatico e nello stesso tempo pieno di fascino, giacché permette di
rivedere alcuni luoghi comuni che, in questa fase dello sviluppo umano,
dominano la scena.
Occorre dire che se è ancora possibile coltivare la speranza di eliminare
nel futuro le guerre, sarà esclusivamente grazie ai giovani. È stato
consolante vederli scendere in strada, uscire dalle classi (e lo
continuano a fare) prima per gridare che non si facesse guerra, e poi
perché termini.
Un altro tema che si lega solo ai giovani sarà la possibilità di una
convivenza tra diverse etnie, tra uomini diversamente colorati. Gli adulti
sono spesso pieni di pregiudizi che camuffano con formule false: maschere
di vecchi razzismi.
Ed ecco che in questi giorni di guerra viene voglia di intessere un elogio
ai giovani del nostro tempo. Li ho visti gridare "no" e forse
non sono neppure tra i più impegnati socialmente, qualcuno di loro
potrebbe usare anche sostanze proibite e dannose per l a propria salute.
Alcuni, magari, in sella ad una moto amano correre fino a mettere a
rischio la propria e l'altrui incolumità. Tutti però hanno detto e
dicono "no" alla guerra e tutti sono disposti ad accogliere
uomini che scappano dai loro Paesi, pur sapendo che ciò ha dei riflessi
sulle economie, persino rischi di criminalità importata. Non possono
tradire, in ogni caso un dovere di comprensione e di condivisione, non
possono cinicamente accantonarlo. Un atteggiamento che finisce col
rinsaldare giovani che credono in Dio e altri che almeno credono di non
credere o che comunque non lo hanno mai ricercato. Si tratta di un rifiuto
spontaneo della guerra, oserei dire naturale (se questo termine non avesse
bisogno di molte chiarificazioni). Scendono in piazza senza una filosofia,
senza una concezione razionale o storica, ma solo perché non vogliono che
la società di cui sono parte si regga sull'ammazzare o che la logica del
denaro valga più del senso della vita e del significato dell'ess ere uman
o. Sono forse confusi, non hanno una visione chiarissima della vita, ma
mostrano una loro coerenza: una percezione prima ancora che una concezione
elaborata e colta. Va rilevato che a questa guerra nessuno associa teoremi
o ideali, quali quelli che hanno accompagnato le due guerre mondiali del
Novecento. Allora nella scuola si insegnava a odiare un nemico e ad amare
fino all'immolazione la propria patria, a lottare per mantenerla libera.
Il fascismo si fondava sulla forza e sul nazionalismo. Era una cultura che
incorporava la guerra come strumento di affermazione del migliore. E nelle
"prove" del colonialismo, il Duce ricordava che gli italiani
avrebbero vinto la guerra coloniale perché "erano superiori"
per razza all'abissino e prima ancora all'etiope. Insomma la vittoria era
segnata nella storia, nella genetica del potere, nel destino. Il
nazionalismo ha dominato, i poeti scrivevano versi per la patria e per
l'italianità. D'Annunzio voleva essere soldato e un soldato che sfidava
il nemico e dunque la morte.
Tutto questo, per quanto criticabile, non c'è e non vi è traccia in
Italia oggi. Nessuno degli insegnanti di scuola media o di liceo è
animato da questi sentimenti e nessuno è in grado di ritrovare qui il
senso della storia, sulle tracce di un ideale di patria nel ricordo degli
antichi eroi e delle grandi imprese.
È vero che l'Italia è in guerra solo per simpatia (e per stupidità), ma
nessuno a scuola riuscirebbe a fare "cultura" su una guerra che
si radica tutta e soltanto nel denaro e nel petrolio e finge di combattere
il terrorismo, che certo è terribile ma che non si affronta di sicuro
colpendo i possessori di petrolio. Dall'Iraq, si andrà in Iran e anche in
Siria? Veri ideali non li hanno nemmeno gli americani e i britannici.
Insomma questa guerra si è fatta a suo modo «mondiale» perché giunge
nelle case di tutti, attraverso strumenti di comunicazione e di
spettacolarizzazione che fanno sentire le bombe e vedere i morti. Una g
uerra che non ha ideologia. Non ci sono tavolini su cui apporre la propria
firma per andare volontariamente a combattere per un ideale. Si vedono
soltanto pozzi di petrolio da conquistare. E persino le contrapposizioni
tra gli Stati fanno i conti con il petrolio o con gli affari che si
chiuderebbero in un modo o nell'altro a seconda se in Iraq si stabilissero
gli americani, invece che gli europei.
Una guerra senza idee, senza che nelle scuole si possa parlare di patria o
di giustizia, sia pure viziata da interpretazioni che nel passato avevano
persino sfiorato il delirio.
I giovani hanno detto per lo più di no, mentre non pochi adulti, dopo
aver fatto magari due conti e dimenticato che esiste una differenza tra
dollari e vite umane, si sono schierati con la guerra.
Insomma non manca solo un'ideologia nei Paesi che come l'Italia si sono
fatti tirare dentro, ma anche in quelli che sono in guerra diretta.
Come fanno l'Inghilterra di sua maestà e i parà della regina vedere
realizzato un capitolo della loro epopea, andando a combattere nel deserto
contro poveretti, vittime di un dittatore da cui non sono in grado di
liberarsi, come del resto non sa fare molto del mondo ex-coloniale che,
avendo imparato a servire un padrone non ama ribellarsi?
Povera Inghilterra e poveri Stati Uniti. Lo dice uno che ha vissuto il
mito del dopoguerra ed è stato a lungo in quel Paese, che ne ha
apprezzato l'empirismo fattivo, anche se ha sempre saputo che l'empirismo
può cadere in balia di banchieri texani e di cow-boy esaltati.
Lo so, la guerra è sempre orrenda, ma nell'ambito degli orrori, una
guerra fatta per denaro, è ancora più triste. Non credo che si avrà mai
la forza di innalzare monumenti una volta che questa guerra sarà
terminata. Ma se lo faranno, almeno uno dovranno dedicarlo alla stupidità.
E un po' di questa ci tocca come italiani, noi che avevamo la possibilità
di starcene fuori e invece ci siamo allineati.
Non si sono venduti i giovani però, che hanno mostrato dignità . Non si
parli però ora di un loro antiamericanismo: sono consumatori di America,
dalla Coca Cola alla musica, al cinema, ai videogiochi, ai blue jeans e
persino ai McDonald che, anche rispetto alla peggiore cucina italiana,
sono inaccostabili. I veri antiamericani sono stavolta purtroppo gli
stessi americani e non a caso, in quel Paese, c'è forse per la prima
volta una spaccatura che non si salda con la bandiera a stelle e strisce.
I giovani sono contro la guerra, non contro gli americani: conoscono ormai
quella lingua più di quella del Manzoni. Sono semplicemente contro la
guerra e contro lo scambio tra gasolio e sangue umano.
Spero nei giovani e capisco perché il Padre vestito di bianco e stremato
dall'urlo inutile, li ami tanto.
testo integrale tratto da
"Avvenire" - 8 aprile 2003