"Tempo Perso - Alla ricerca di senso nel quotidiano"

 

La fede non si impone

di Enzo Bianchi

           Nel corso del convegno organizzato dalla Cei e dalla Facoltà teologica di Sicilia in preparazione al IV Convegno della Chiesa italiana (Verona, novembre 2006), si è svolto il 26 novembre il dibattito su “Religione e laicità dello Stato”. Relatori, Marcello Pera, Presidente del Senato, e Cataldo Naro, vescovo di Monreale. Pera ha ribadito il suo pensiero, già noto da qualche tempo. Qui proverò a riportarne una breve sintesi, soprattutto in ordine ai suoi fondamenti culturali e filosofici-politici, che ci possa permettere di svolgere alcune riflessioni sia sulla visione attuale dell’Europa  sia sul rapporto tra religione e Stato laico.

           Il vero Stato laico  è lo Stato liberale – afferma il presidente Pera – e la sua forma ideale può essere rintracciata nella descrizione che di esso ne fa il grande storicoCharles Taylor, quando tratteggia un preciso momento storico dell’Inghilterra dell’800. Esso assolveva alle sole e poche funzioni essenziali per la sua esistenza, lasciando ai cittadini, considerati sia come singoli che in forma collettiva,  l’espletamento di tutte le altre funzioni necessarie per il buon  funzionamento  della società. Oggi non è più così. Lo Stato si è assunto molteplici funzioni  e legifera su tutto, risultando così invasivo nei confronti di ogni aspetto privato delle singole persone. Ogni legge, però, rivela sempre un indirizzo di valori che vuole esprimere, non è mai tecnica o semplicemente tecnico-regolativa. In questo senso lo Stato è tutt’altro che laico, anzi influisce pesantemente nella vita di ogni  singolo cittadino.

            Quando a tutto questo si aggiunge l’esortazione da parte di alcune parti della società a che lo Stato sia laico contro ogni pretesa di ingerenza da parte delle religioni, in effetti si arriva ad un vero e proprio laicismo, mascherato  sotto la forma della ragione o della scienza o di altro ancora, in effetti meri rivestimenti di più sostanziali strutture ideologiche.

            Un vero Stato laico, invece, riconosce diritti e valori ma non li fonda. I valori e i diritti, infatti, precedono lo Stato e si ritrovano in due forme precise: la rivelazione per i credenti e la tradizione per coloro che non credono. Queste due forme, che nel caso dell’Occidente  giudaico-cristiano  in gran parte coincidono di fatto, sono garanti dell’identità di un popolo. Il laicismo, che si è opposto a che l’espressione «radici cristiane» fosse inserita nella Costituzione Europea, produce così un grave danno, perché impedisce la possibilità di poter riconoscere questa grande tradizione, filo rosso del nostro Occidente, capace di ridare speranza  e linfa ad una Europa esangue, a causa di un pernicioso relativismo. L’obiettivo da raggiungere è che ogni individuo attinga a piene mani a questa tradizione/rilevazione per potere essere sempre più cosciente della propria identità culturale. Si deve così arrivare a un vasto consenso popolare legato a questi valori comuni.

             Si badi bene (ed è stata la risposta che il Presidente Pera, citando il papa Ratzinger , ha dato una domanda posta dal Vescovo di Naro): tutto questo deve avvenire tramite l’individuo e la creazione conseguente di «minoranze creative», composte da credenti e non credenti, e non invece tramite accordi culturali e politici tra forze politiche e gerarchia ecclesiastica.Così come aveva già scritto, infatti, in un libro a quattro mani con l’allora cardinale Ratzinger: «E che questa opera di rinnovamento cristiani e laici debbano farla assieme, ne sono convinti. La mia idea è che ciò che occorre è una religione civile,  la quale sappia trasfondere i suoi valori in quella lunga catena che va dall’individuo alla famiglia ai gruppi alle associazioni alle comunità alla società civile senza passare per i simboli dei partiti, i programmi dei loro governi, la forza degli Stati, e perciò senza toccare la separazione nella sfera temporale tra Stato e religione. In Europa e nell’Occidente che l’Europa  ha fecondato, una religione naturaliter cristiana per la peculiare tradizione europea e occidentale. E' perciò una religione cristiana non confessionale quella che suggerisco […]. Senza una religione civile una società non vive. E uno Stato non è mai solo profano, ma sempre anche paternalistico, e dunque con fini orale […] deve necessariamente adottare e tutelare nella propria sfera pubblica questo o quel valore che trova diffuso nella sfera privata di individui, gruppi o categorie». (Senza radici, 86,87).

            Fin qui la sintesi del fondamento del pensiero del senatore Pera. Ci troviamo  - ed è evidente – di fronte ad un’impostazione ben chiara e legittima, che a partire dal sottofondo liberale, porta alle estreme conseguenze la nota espressione crociata «perché non possiamo non dirci cristiani», propugnando una religione civile come via d’uscita per un’Europa e un Occidente, negativamente segnati dal relativismo imperante. A partire da queste sollecitazioni e non condividendo alcune parti dell’analisi.e, soprattutto, la proposta della religione civile, ritengo che si devono porre almeno due questioni.       

              La prima riguarda l’identità culturale e la seconda il rapporto religione e Stato. E’ indubbio che il nostro Occidente versi in profonda crisi. Sono ben chiare le conquiste fatte in ordine ai diritti umani e allo sviluppo tecnologico-scientifico, ma appare sempre più evidente la difficoltà a rintracciare un senso della vita adeguato e la ricerca di esso in cammini spirituali orientali-asiatici. Così si esprimeva il Ratzinger cardinale: «Io vedo qui una sincronia paradossale: con la vittoria del mondo tecnico-secolare posteuropeo, con l’universalizzazione del suo modello di vita e della sua maniera di pensare, si diffonde, specialmente nei paesi strettamente non europei  dell’Asia e dell’Africa, l’impressione che il sistema dei valori dell’Europa, la sua cultura e la sua fede, cio su cui si basa la sua identità , sia giunto alla fine  e sia anzi già uscito di scena; che sia giunta lora dei sistemi dei valori di altri mondi, dell’America precolombiana, dell’islam, della miostica asiatica» (Senza radici, 59).

             Anche il Dalai Lama, in un suo appello alla Cina in cui accetta l’apporto cinese allo sviluppo del Tibet, propone in cambio alla Cina secolarizzata e tecnologica il contributo della spiritualità buddista per  ridare anima alla stessa Cina. Le religioni, allora, si presentano e sono viste come serbatoi di valori che vengono in soccorso alle società industrializzate ad alto livello di tecnologia, ma esangui nello spirito e, quindi, con il rischio della decadenza totale immediatamente dietro la porta.

             Su questo – credo – dobbiamo serenamente interrogarci, abbassando tutti le proprie personali resistenze ideologiche e facendo si che il livello del dibattito si mantenga alto e progettuale per le future generazioni.

             Per quanto riguarda la questione del rapporto tra Stato laico e religione-Chiesa vorrei porre una domanda quei cristiani ed ecclesiastici che vedono nella mentalità rappresentata da Pera un’opportunità per la Chiesa: ci si rende conto che la proposta della religione civile  è estremamente dannosa soprattutto per la stessa Chiesa ( l’ha ricordato a Palermo in occasione dello stesso Convegno  monsignor Betori, segretario della Cei), mentre può essere utile allo Stato e alle forze politiche?  Lo schema della religione civile è una fattispecie della più vasta teoria funzionalistica della religione, per la quale religione è funzione della società. Perché la Chiesa, dopo aver combattuto per tanti anni sia il comunismo che il liberalismo, dovrebbe cadere nelle braccia asfissianti, seppur seducenti, della religione civile? Dov’è finita la memoria pericolosa di Gesù di Nazareth?     

testo integrale tratto da "Repubblica-Palermo" - 1 dicembre 2005