[Rispondendo
a ripetute richieste, la MISNA è specialmente lieta di
ripubblicare,per la seconda volta, il seguente editoriale di padre
Bartolomeo Sorge - che ringrazia per la preziosa ‘esclusiva’ -
segnalandolo a tutti i suoi lettori come una guida
impareggiabilmente lucida per riflettere sullo storico contesto in
cui un grande pontificato si conclude e un'altro sta
incominciando.]
«Non
abbiate paura! Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo! […]
Cristo sa cosa c’è dentro l’uomo». Neppure il silenzio
forzato delle ultime settimane di vita è riuscito a soffocare
quel grido appassionato uscito dal cuore di Papa Wojtyla il 22
ottobre 1978, all’inizio del suo servizio pontificale. Esso
rimane cifra dell’intero pontificato: una «corsa» durata quasi
27 anni, conclusa la sera del 2 aprile 2005. In questo momento di
distacco e di dolore affiorano spontaneamente alla mente gli
straordinari viaggi apostolici, i gesti profetici, gli
insegnamenti, le battaglie combattute. Ma sarebbe improprio
esaltare la figura di Giovanni Paolo II isolandolo dal suo
contesto. San Paolo equipara la vita del cristiano alla corsa
nello stadio (cfr 1Cor 9, 24). Ispirandoci a questa immagine
suggestiva, possiamo dire che in particolare la missione dei papi
è un sorta di corsa a «staffetta»: l’atleta riceve il
testimone da chi lo precede e corre con tutto l’impegno il
tratto del percorso che gli compete, per poi passare il testimone
al compagno di squadra che correrà dopo di lui. Fuori di
metafora: il ruolo storico di un papa si può cogliere pienamente
solo collegandolo, da un lato, all’eredità ricevuta dal
predecessore e, dall’altro, all’eredità che egli lascia al
successore. La storia della Chiesa dà unità e significato ai
pontefici che si succedono sulla cattedra di Pietro. Ci chiediamo,
perciò: quale eredità ha ricevuto Papa Wojtyla da Paolo VI
(passando attraverso la meteora di Papa Luciani, dal quale insieme
con il testimone ha ereditato anche il nome e lo stile pastorale)?
A sua volta Giovanni Paolo II, morendo, quale eredità lascia oggi
al suo successore?
L’EREDITA’
RICEVUTA. La Provvidenza – che guida la Chiesa e la storia –
ha dato in eredità a Giovanni Paolo II l’ardua missione di
accompagnare la Chiesa e l’umanità nella difficile transizione
dal secondo al terzo millennio. Papa Wojtyla ha preso in consegna
un mondo e una Chiesa che oggi, al termine del suo pontificato,
non sono più come prima, ma appaiono profondamente cambiati. Nel
1978 il mondo era lacerato e diviso, tagliato in due dalla «cortina
di ferro»; la pace poggiava sull’equilibrio fragile e
minaccioso dei missili a testata nucleare, puntati da una parte
contro l’altra; il comunismo dominava su gran parte
dell’umanità; la scristianizzazione e la crisi dei valori
dilagavano anche tra le nazioni occidentali di più antica
evangelizzazione. Questa crisi mondiale si ripercoteva
vistosamente all’interno della vita della Chiesa, chiamata a una
conversione non priva di difficoltà per la fine dei privilegi e
del rispetto di cui godeva in regime di «cristianità», alle
prese con la difficile applicazione delle riforme introdotte dal
Concilio Vaticano II, attraversata dal fenomeno della
contestazione ecclesiale, indebolita dalle defezioni e dalla crisi
delle vocazioni sacerdotali e religiose. Papa Wojtyla, caricandosi
della croce del papato, scelse subito di fare del suo servizio
apostolico un «pontificato itinerante». Nemmeno lui,
all’inizio, poteva immaginare che avrebbe compiuto 104 viaggi
apostolici all’estero e 146 in Italia, che avrebbe visitato le
comunità ecclesiali e i popoli di 129 Paesi e incontrato 703 Capi
di Stato. La fede incrollabile nella sua missione di successore di
Pietro e annunciatore del Vangelo, la passione per l’uomo e per
Cristo, su cui Giovanni Paolo II ha fondato tutto il suo impegno
apostolico, spiegano il vigore con cui, dal primo all’ultimo
giorno di pontificato, egli ha sempre difeso l’uomo in tutte le
fasi della sua vita, la famiglia, i giovani, i diritti umani e la
pace, incoraggiando il dialogo tra le culture e tra le religioni
in ogni angolo del mondo, grazie anche a un uso illuminato degli
strumenti della comunicazione sociale, nel quale si è dimostrato
maestro. Cosicché si può affermare che molto si deve al
pontificato di Papa Wojtyla se negli ultimi anni il Vangelo è
stato annunziato nel mondo intero, se in gran parte del mondo il
comunismo è stato sconfitto e la libertà religiosa ristabilita,
se le recenti indagini sociologiche indicano un significativo
ritorno del bisogno di Dio anche nei Paesi del consumismo e
dell’ateismo pratico, se la Chiesa – nonostante alcuni
persistenti fattori di crisi – è in ripresa e rasserenata, se
il dialogo ecumenico e interreligioso non sono più un miraggio,
ma una realtà in cammino. Insomma, dopo Papa Wojtyla, il papato e
la Chiesa, i loro rapporti con il mondo moderno e con le altre
religioni non sono più quelli di trent’anni fa e si possono
sperare fondatamente ulteriori progressi. Ciononostante, non tutto
quello che luccica è oro: come ignorare, per esempio, che
l’ateismo pratico ha lasciato il posto all’indifferentismo
religioso e al neo-paganesimo new age, altrettanto pericolosi per
la fede? L’EREDITA’ LASCIATA. Tuttavia, se il lungo
pontificato ha consentito a Giovanni Paolo II di condurre in porto
molte delle riforme introdotte dal Concilio Vaticano II e lasciate
parzialmente incompiute da Paolo VI, si deve riconoscere che, al
di là dei traguardi raggiunti, il Papa morendo lascia in eredità
al suo successore numerosi e gravi problemi tuttora aperti. Per
quanto riguarda la situazione mondiale, nonostante gli sforzi
eccezionali di Giovanni Paolo II contro ogni forma di violenza, la
pace è ancora una meta lontana. Ci si era illusi che la fine del
comunismo potesse avvenire senza traumi. E’ vero che non c’è
stata una terza guerra mondiale. Tuttavia, oltre ad alcuni
conflitti esplosi nei territori già soggetti all’URSS
(specialmente nella regione del Caucaso e in Romania) e nella
ex-Jugoslavia, sono scoppiate guerre terribili come quelle in
Afghanistan e in Iraq, di cui non si intravede la fine, e ha fatto
irruzione sulla scena del mondo il terrorismo internazionale, con
manifestazioni barbare quali l’abbattimento delle Torri Gemelle
a New York l’11 settembre 2001 e le stragi di Madrid l’11
marzo 2004. Per uscirne, il Papa ha insistito, oltre che sul
ritorno al primato di Dio e della coscienza morale, anche sul
rispetto del diritto internazionale e sulla necessità di dare la
priorità alla soluzione del conflitto israelo-palestinese che
insanguina la Terra santa: se prima non si estingue questo
focolaio – ha ripetuto mille volte –, se non vi è pace a
Gerusalemme, non vi sarà pace nel mondo. L’umanità, che si va
globalizzando economicamente e culturalmente, non ha ancora
trovato il suo nuovo equilibrio, dopo quello precario USA-URSS
durato cinquant’anni. Certo il nuovo equilibrio non sarà quello
unipolare che gli Stati Uniti vorrebbero imporre al mondo, per il
solo fatto di essere l’unica superpotenza rimasta. Ormai nessuna
nazione, per quanto ricca e forte, può risolvere da sola i nuovi
problemi che sorgono. Essi sono tutti planetari: l’equilibrio
ecologico, la difesa della salute, la lotta alla criminalità
organizzata, alla droga, alla fame e alla povertà del Sud del
mondo, la costruzione della pace. O ci impegniamo tutti insieme o
soccomberemo tutti insieme. Giovanni Paolo II, che ha speso tutte
le sue energie perché nascesse un mondo fraterno e giusto, avendo
dinanzi agli occhi soprattutto i drammi dei Paesi impoveriti del
Terzo Mondo, ha ripetuto senza stancarsi: occorre «globalizzare
la solidarietà» e ha insistito nella condanna del capitalismo
selvaggio con la stessa convinzione, con cui ha combattuto il
comunismo, ha ribadito la necessità di rimettere il debito estero
ai Paesi poveri con la stessa sincerità con cui ha chiesto
perdono delle infedeltà dei figli della Chiesa; ma finora il suo
è rimasto un auspicio. A questo si aggiunga il monito insistente
a costruire un ethos condiviso e a superare il relativismo
imperante, affinché l’umanità sia in grado di rispondere alle
nuove sfide etiche che derivano specialmente dall’applicazione
delle nuove tecnologie alla vita umana. Papa Wojtyla ha sempre
denunciato con forza ogni attentato contro la vita e la dignità
dell’uomo, scorgendo nelle manipolazioni genetiche potenzialità
di distruzione e di violenza non dissimili da quelle sprigionate
dalle dittature ideologiche del XX secolo. Non meno impegnativi e
difficili sono alcuni problemi della vita interna della Chiesa, la
cui soluzione, morendo, il Papa affida al suo successore. Infatti,
la scelta di un «pontificato itinerante», di grande forza
carismatica, se ha giovato alla nuova evangelizzazione e al
dialogo interreligioso e interculturale in un mondo per molti
aspetti neo-pagano e post-cristiano, forse non ha ugualmente
favorito la soluzione di alcuni problemi interni delle Chiese
locali. Certo, Giovanni Paolo II ha convocato importanti sinodi
episcopali, sia a livello universale sia a livello regionale o
continentale, che hanno notevolmente contribuito a rivitalizzare e
rilanciare la missione dell’episcopato. Ma è noto come non
siano mancate né manchino difficoltà nei rapporti tra una parte
dei vescovi e la Curia romana. Lo stesso coraggio profetico con
cui Giovanni Paolo II ha auspicato la riforma dell’esercizio del
ministero petrino, il cui scopo – disse – è quello di servire
all’unità delle Chiese e non di essere pietra d’inciampo, è
rimasto finora un sogno non realizzato; sarà tra gli impegnativi
e difficili compiti del suo successore affrontare la questione
della collegialità cum Petro et sub Petro, la cui soluzione è il
passaggio obbligato per giungere a riformare i modi di esercizio
del servizio petrino. Anche altri problemi il pontificato appena
concluso lascia al nuovo Papa, chiamato da Dio a succedere sulla
cattedra di Pietro. Ma sarebbe ingiusto insistere sulle questioni
aperte, quando in realtà molto più consistente è l’eredità
positiva e preziosa del pontificato di Papa Wojtyla. In
particolare – concludendo – non si può non rilevare che
Giovanni Paolo II, oltre all’esempio di un servizio pastorale
alimentato e sorretto da una fede rocciosa e incrollabile, lascia
in eredità al successore e a tutta la Chiesa i due grandi amori
che sono stati il segreto della straordinaria fecondità
apostolica del suo pontificato: l’amore per i giovani, che lo
hanno sempre seguito entusiasti fino all’agonia e alla morte
riempiendo Piazza San Pietro con i loro striscioni: «Ci hai
chiamati e noi siamo venuti», e l’amore a Maria, Madre della
Chiesa, a cui – come conferma chiaramente anche il suo
«Testamento» – ha costantemente e totalmente affidato la sua
vita e il suo ministero, dall’inizio fino all’ultimo biglietto
scritto con mano tremante sul letto di morte: Totus tuus.
(continua)
[CO]