FONTE: MISNA
ITALY  24/4/2005 11:30

 

PADRE BARTOLOMEO SORGE: 

“LA ‘STAFFETTA’ DI PAPA WOJTYLA” (REPLICA)

Church/Religious Affairs, Standard

[Rispondendo a ripetute richieste, la MISNA è specialmente lieta di ripubblicare,per la seconda volta, il seguente editoriale di padre Bartolomeo Sorge - che ringrazia per la preziosa ‘esclusiva’ - segnalandolo a tutti i suoi lettori come una guida impareggiabilmente lucida per riflettere sullo storico contesto in cui un grande pontificato si conclude e un'altro sta incominciando.]


«Non abbiate paura! Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo! […] Cristo sa cosa c’è dentro l’uomo». Neppure il silenzio forzato delle ultime settimane di vita è riuscito a soffocare quel grido appassionato uscito dal cuore di Papa Wojtyla il 22 ottobre 1978, all’inizio del suo servizio pontificale. Esso rimane cifra dell’intero pontificato: una «corsa» durata quasi 27 anni, conclusa la sera del 2 aprile 2005. In questo momento di distacco e di dolore affiorano spontaneamente alla mente gli straordinari viaggi apostolici, i gesti profetici, gli insegnamenti, le battaglie combattute. Ma sarebbe improprio esaltare la figura di Giovanni Paolo II isolandolo dal suo contesto. San Paolo equipara la vita del cristiano alla corsa nello stadio (cfr 1Cor 9, 24). Ispirandoci a questa immagine suggestiva, possiamo dire che in particolare la missione dei papi è un sorta di corsa a «staffetta»: l’atleta riceve il testimone da chi lo precede e corre con tutto l’impegno il tratto del percorso che gli compete, per poi passare il testimone al compagno di squadra che correrà dopo di lui. Fuori di metafora: il ruolo storico di un papa si può cogliere pienamente solo collegandolo, da un lato, all’eredità ricevuta dal predecessore e, dall’altro, all’eredità che egli lascia al successore. La storia della Chiesa dà unità e significato ai pontefici che si succedono sulla cattedra di Pietro. Ci chiediamo, perciò: quale eredità ha ricevuto Papa Wojtyla da Paolo VI (passando attraverso la meteora di Papa Luciani, dal quale insieme con il testimone ha ereditato anche il nome e lo stile pastorale)? A sua volta Giovanni Paolo II, morendo, quale eredità lascia oggi al suo successore? 

L’EREDITA’ RICEVUTA. La Provvidenza – che guida la Chiesa e la storia – ha dato in eredità a Giovanni Paolo II l’ardua missione di accompagnare la Chiesa e l’umanità nella difficile transizione dal secondo al terzo millennio. Papa Wojtyla ha preso in consegna un mondo e una Chiesa che oggi, al termine del suo pontificato, non sono più come prima, ma appaiono profondamente cambiati. Nel 1978 il mondo era lacerato e diviso, tagliato in due dalla «cortina di ferro»; la pace poggiava sull’equilibrio fragile e minaccioso dei missili a testata nucleare, puntati da una parte contro l’altra; il comunismo dominava su gran parte dell’umanità; la scristianizzazione e la crisi dei valori dilagavano anche tra le nazioni occidentali di più antica evangelizzazione. Questa crisi mondiale si ripercoteva vistosamente all’interno della vita della Chiesa, chiamata a una conversione non priva di difficoltà per la fine dei privilegi e del rispetto di cui godeva in regime di «cristianità», alle prese con la difficile applicazione delle riforme introdotte dal Concilio Vaticano II, attraversata dal fenomeno della contestazione ecclesiale, indebolita dalle defezioni e dalla crisi delle vocazioni sacerdotali e religiose. Papa Wojtyla, caricandosi della croce del papato, scelse subito di fare del suo servizio apostolico un «pontificato itinerante». Nemmeno lui, all’inizio, poteva immaginare che avrebbe compiuto 104 viaggi apostolici all’estero e 146 in Italia, che avrebbe visitato le comunità ecclesiali e i popoli di 129 Paesi e incontrato 703 Capi di Stato. La fede incrollabile nella sua missione di successore di Pietro e annunciatore del Vangelo, la passione per l’uomo e per Cristo, su cui Giovanni Paolo II ha fondato tutto il suo impegno apostolico, spiegano il vigore con cui, dal primo all’ultimo giorno di pontificato, egli ha sempre difeso l’uomo in tutte le fasi della sua vita, la famiglia, i giovani, i diritti umani e la pace, incoraggiando il dialogo tra le culture e tra le religioni in ogni angolo del mondo, grazie anche a un uso illuminato degli strumenti della comunicazione sociale, nel quale si è dimostrato maestro. Cosicché si può affermare che molto si deve al pontificato di Papa Wojtyla se negli ultimi anni il Vangelo è stato annunziato nel mondo intero, se in gran parte del mondo il comunismo è stato sconfitto e la libertà religiosa ristabilita, se le recenti indagini sociologiche indicano un significativo ritorno del bisogno di Dio anche nei Paesi del consumismo e dell’ateismo pratico, se la Chiesa – nonostante alcuni persistenti fattori di crisi – è in ripresa e rasserenata, se il dialogo ecumenico e interreligioso non sono più un miraggio, ma una realtà in cammino. Insomma, dopo Papa Wojtyla, il papato e la Chiesa, i loro rapporti con il mondo moderno e con le altre religioni non sono più quelli di trent’anni fa e si possono sperare fondatamente ulteriori progressi. Ciononostante, non tutto quello che luccica è oro: come ignorare, per esempio, che l’ateismo pratico ha lasciato il posto all’indifferentismo religioso e al neo-paganesimo new age, altrettanto pericolosi per la fede? L’EREDITA’ LASCIATA. Tuttavia, se il lungo pontificato ha consentito a Giovanni Paolo II di condurre in porto molte delle riforme introdotte dal Concilio Vaticano II e lasciate parzialmente incompiute da Paolo VI, si deve riconoscere che, al di là dei traguardi raggiunti, il Papa morendo lascia in eredità al suo successore numerosi e gravi problemi tuttora aperti. Per quanto riguarda la situazione mondiale, nonostante gli sforzi eccezionali di Giovanni Paolo II contro ogni forma di violenza, la pace è ancora una meta lontana. Ci si era illusi che la fine del comunismo potesse avvenire senza traumi. E’ vero che non c’è stata una terza guerra mondiale. Tuttavia, oltre ad alcuni conflitti esplosi nei territori già soggetti all’URSS (specialmente nella regione del Caucaso e in Romania) e nella ex-Jugoslavia, sono scoppiate guerre terribili come quelle in Afghanistan e in Iraq, di cui non si intravede la fine, e ha fatto irruzione sulla scena del mondo il terrorismo internazionale, con manifestazioni barbare quali l’abbattimento delle Torri Gemelle a New York l’11 settembre 2001 e le stragi di Madrid l’11 marzo 2004. Per uscirne, il Papa ha insistito, oltre che sul ritorno al primato di Dio e della coscienza morale, anche sul rispetto del diritto internazionale e sulla necessità di dare la priorità alla soluzione del conflitto israelo-palestinese che insanguina la Terra santa: se prima non si estingue questo focolaio – ha ripetuto mille volte –, se non vi è pace a Gerusalemme, non vi sarà pace nel mondo. L’umanità, che si va globalizzando economicamente e culturalmente, non ha ancora trovato il suo nuovo equilibrio, dopo quello precario USA-URSS durato cinquant’anni. Certo il nuovo equilibrio non sarà quello unipolare che gli Stati Uniti vorrebbero imporre al mondo, per il solo fatto di essere l’unica superpotenza rimasta. Ormai nessuna nazione, per quanto ricca e forte, può risolvere da sola i nuovi problemi che sorgono. Essi sono tutti planetari: l’equilibrio ecologico, la difesa della salute, la lotta alla criminalità organizzata, alla droga, alla fame e alla povertà del Sud del mondo, la costruzione della pace. O ci impegniamo tutti insieme o soccomberemo tutti insieme. Giovanni Paolo II, che ha speso tutte le sue energie perché nascesse un mondo fraterno e giusto, avendo dinanzi agli occhi soprattutto i drammi dei Paesi impoveriti del Terzo Mondo, ha ripetuto senza stancarsi: occorre «globalizzare la solidarietà» e ha insistito nella condanna del capitalismo selvaggio con la stessa convinzione, con cui ha combattuto il comunismo, ha ribadito la necessità di rimettere il debito estero ai Paesi poveri con la stessa sincerità con cui ha chiesto perdono delle infedeltà dei figli della Chiesa; ma finora il suo è rimasto un auspicio. A questo si aggiunga il monito insistente a costruire un ethos condiviso e a superare il relativismo imperante, affinché l’umanità sia in grado di rispondere alle nuove sfide etiche che derivano specialmente dall’applicazione delle nuove tecnologie alla vita umana. Papa Wojtyla ha sempre denunciato con forza ogni attentato contro la vita e la dignità dell’uomo, scorgendo nelle manipolazioni genetiche potenzialità di distruzione e di violenza non dissimili da quelle sprigionate dalle dittature ideologiche del XX secolo. Non meno impegnativi e difficili sono alcuni problemi della vita interna della Chiesa, la cui soluzione, morendo, il Papa affida al suo successore. Infatti, la scelta di un «pontificato itinerante», di grande forza carismatica, se ha giovato alla nuova evangelizzazione e al dialogo interreligioso e interculturale in un mondo per molti aspetti neo-pagano e post-cristiano, forse non ha ugualmente favorito la soluzione di alcuni problemi interni delle Chiese locali. Certo, Giovanni Paolo II ha convocato importanti sinodi episcopali, sia a livello universale sia a livello regionale o continentale, che hanno notevolmente contribuito a rivitalizzare e rilanciare la missione dell’episcopato. Ma è noto come non siano mancate né manchino difficoltà nei rapporti tra una parte dei vescovi e la Curia romana. Lo stesso coraggio profetico con cui Giovanni Paolo II ha auspicato la riforma dell’esercizio del ministero petrino, il cui scopo – disse – è quello di servire all’unità delle Chiese e non di essere pietra d’inciampo, è rimasto finora un sogno non realizzato; sarà tra gli impegnativi e difficili compiti del suo successore affrontare la questione della collegialità cum Petro et sub Petro, la cui soluzione è il passaggio obbligato per giungere a riformare i modi di esercizio del servizio petrino. Anche altri problemi il pontificato appena concluso lascia al nuovo Papa, chiamato da Dio a succedere sulla cattedra di Pietro. Ma sarebbe ingiusto insistere sulle questioni aperte, quando in realtà molto più consistente è l’eredità positiva e preziosa del pontificato di Papa Wojtyla. In particolare – concludendo – non si può non rilevare che Giovanni Paolo II, oltre all’esempio di un servizio pastorale alimentato e sorretto da una fede rocciosa e incrollabile, lascia in eredità al successore e a tutta la Chiesa i due grandi amori che sono stati il segreto della straordinaria fecondità apostolica del suo pontificato: l’amore per i giovani, che lo hanno sempre seguito entusiasti fino all’agonia e alla morte riempiendo Piazza San Pietro con i loro striscioni: «Ci hai chiamati e noi siamo venuti», e l’amore a Maria, Madre della Chiesa, a cui – come conferma chiaramente anche il suo «Testamento» – ha costantemente e totalmente affidato la sua vita e il suo ministero, dall’inizio fino all’ultimo biglietto scritto con mano tremante sul letto di morte: Totus tuus.

(continua)
[CO]

 

 

 

 

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