Iraq, la guerra entra dentro la Casa bianca


Bush sotto accusa: fu lui a svelare che era della Cia la fonte della rivelazione sul falso uranio.

Aperta un'inchiesta. Scoperta lobby del presidente per la ricostruzione


di FRANCO PANTARELLI

NEW YORK

Due scandali in un solo giorno, ieri, per la Casa bianca, legati alle due caratteristiche principali dell'amministrazione Bush: l'«arraffiamo tutto il possibile» e il «chi si mette contro di noi la deve pagare». Il New York Times ha rivelato la nascita di una sorta di «lobby di famiglia» dei Bush, creata per «gestire» il denaro che il presidente ha chiesto al Congresso per continuare la sua avventura irachena. La somma complessiva, come si sa, è di 87 miliardi di dollari, ma una parte di essa, 67 miliardi, è destinata al mantenimento delle truppe e quindi ad andare alle varie compagnie controllate dalla Halliburton, società del vice presidente Dick Cheney. L'altra parte, 20 miliardi di dollari, è destinata ai progetti di «ricostruzione» dell'Iraq e molte società americane si chiedono come fare per trovare i contatti giusti per ottenere gli appalti. Ora hanno trovato una risposta: per i contatti giusti bisogna rivolgersi alla New bridge strategies, lobby appena nata guidata da Joe Allbaugh, che è stato il manager della campagna elettorale di Bush ed era stato «ringraziato» con l'incarico di capo della Fema (Federal emergency management agency), grosso modo l'equivalente del ministero della Protezione Civile, tenuto fino al marzo scorso. Altri esponenti della lobby sono Edward Rogers e Lanny Griffith, assistenti nell'amministrazione di George Bush padre. Cosa rende la lobby «qualificata»? Lo spiega essa stessa nel suo sito internet: «Le opportunità che si presentano oggi in Iraq sono di tale, inedita natura e portata che nessun'altra delle esistenti compagnie ha le necessarie capacità per essere efficace sia a Washington sia sul terreno, in Iraq», e questo perché il suo chairman «è stato capo dello staff dell'allora governatore del Texas e manager della campagna presidenziale Bush-Cheney nel 2000.

La New Bridge Strategies ha anche un presidente non coinvolto in precedenti «esperienze politiche», ma che era un'esportatore in Iraq quando Saddam Hussein era un grande amico dell'America. Si chiama John Howland e, intervistato dal New York Times, ha spiegato che loro non intendono cercare appalti per se stessi, ma si propongono solo come mediatori. Il secondo scandalo - nato con la storia dell'uranio del Niger e sviluppatosi con la «rivelazione» della doppia attività della signora Valerie Plame, moglie di ambasciatore e agente della Cia - si sta rivelando come una potenziale bomba che, se troverà il detonatore giusto, rischia di far saltare parecchie sedie importanti. In ballo c'è il fatto che qualcuno alla Casa bianca, rivelando l'attività segreta di quella signora, ha commesso un reato punibile per legge con dieci anni di galera e lo sviluppo di ieri è che il dipartimento della Giustizia, su richiesta della stessa Cia prima e del Congresso poi, ha annunciato di avere aperto un'inchiesta per accertare chi sia quell'aspirante alla prigione.

La Casa bianca è stata già avvertita che entro ieri sera avrebbe ricevuto specifiche richieste di materiale (e-mail, tabulati telefonici, eccetera) che gli investigatori del dipartimento della Giustizia vogliono esaminare; il consigliere legale di Bush, Alberto Gonzales, ha già comunicato a tutto il personale di «non distruggere nulla» in attesa che quelle richieste arrivino e il presidente medesimo ha fatto dire al suo portavoce che le sue istruzioni sono state di «cooperare in pieno» con gli investigatori. Ma queste, per ora, sono parole e la curiosità, chiamiamola così, per come davvero si comportareà la Casa Bianca è grande. I precedenti, come si sa, non sono promettenti, come non lo sono le premesse, visto che Bush ha già fatto sapere di «non ritenere necessaria» la nomina di un investigatore indipendente come alcuni esponenti democratici hanno già chiesto. L'ambasciatore marito di Valerie Plame è Joseph Wilson, cioè l'uomo che accertò l'inconsistenza della storia dell'uranio del Niger ma il cui rapporto non fu preso in considerazione perché bisognava spingere sull'«imminente» pericolo rappresentato da Saddam Hussein. Wilson raccontò questo retroscena sul New York Times e la Casa Bianca, per screditarlo (e per vendicarsi), fece trapelare per l'appunto il fatto che la moglie era un'agente della Cia e che lui l'incarico di andare nel Niger lo aveva avuto grazia alla sua raccomandazione. Ma precisamente chi, alla Casa Bianca, si incaricò di quella operazione così pulita? Il nome che circola di più nelle redazioni dei giornali americani è quello di Karl Rove, l'uomo chiamato «il vero presidente» perché Bush non fa nulla, neanche uno starnuto, senza il suo beneplacito. Ma naturalmente nessuno è effettivamente in grado di dirlo, almeno per ora.

La «soffiata» sull'attività segreta di Valerie Plame è stata riferita da Robert Novak, un giornalista schierato con l'amministrazione: l'aveva presentata come uno scoop, ma ieri il Washington Post ha rivelato che «due personaggi della Casa Bianca» avevano telefonato non solo a lui ma anche ad altri cinque giornalisti per dare la stessa informazione, che loro non hanno utilizzato. Sono quei due personaggi a rischiare dieci anni di galera, ma visto che la loro azione è stata coordinata, ci deve essere anche un mandante.

 testo integrale tratto da "Il Manifesto" -  1 ottobre 2003