TSUNAMI
Indonesia, ricatto
occidentale
di EMANUELE
GIORDANA*
Nonostante le promesse di una tregua «permanente»
espresse dal vicepresidente indonesiano Kalla e il fatto che il governo
starebbe «lavorando dietro le quinte» per un accordo, come ha detto a
Roma il ministro degli Esteri Wirajuda, non sembra che ad Aceh si
registrino grandi passi avanti. La guerriglia del Gam non si è fatta più
viva e la pressione internazionale per rivificare il negoziato di pace
interrotto nel 2002, come ha ben dimostrato la visita a Roma di Wirajuda,
è pressoché nulla. Anzi. In Indonesia è atterrato Paul Wolfowitz, vice
segretario alla Difesa e buon conoscitore di un paese dove è stato
ambasciatore, considerato il maggior sponsor dell'esercito indonesiano
presso il Congresso, dove ancora si discute dello stop alla cooperazione
militare imposto dall'Amministrazione Clinton, agli inizi degli anni '90,
per stragi e violazioni commesse dagli indonesiani in particolare a Timor
Est. Ma adesso, «grazie» allo tsunami, Aceh brulica di soldati americani
venuti in soccorso agli omologhi indonesiani e, in segno di buona volontà,
già è stata ripristinato un certo grado di collaborazione, ad esempio
consentendo la fornitura di pezzi di ricambio per gli aerei militari
impegnati in operazioni di soccorso. E' del resto noto, come ha già
rilevato la stampa Usa, come il falco neocon, che ha detto che gli
americani presto lasceranno la regione, sia partito per Giacarta proprio
per valutare le possibilità che il bando venga definitivamente
cancellato. Un anno fa si era detto che l'eventualità era legata
all'invio di truppe indonesiane in Iraq ma poi non se ne face nulla.
Adesso lo tsunami offre l'occasione. Lo tusnami ha offerto una buona
occasione anche all'Italia che sta licenziando una collaborazione nel
settore della Difesa con Giacarta ferma da anni. L'occasione era di
sospenderla sino a che l'Indonesia non avesse offerto serie garanzie sul
cessate-il-fuoco ad Aceh ma, dalla conferenza stampa tenuta da Fini e dal
suo omologo Wirajuda alla Farnesina venerdi, si è capito che tra i due
del conflitto ad Aceh non si era neppure parlato. Fini se l'è cavata
dicendo che «sulle vicende interne indonesiane la posizione italiana è
quella della Ue» (di fatto è piuttosto inconsistente) e dunque sul
cessate il fuoco quello del governo italiano resta soltanto «un auspicio».
Roma si è invece occupata d'altro e cioè di vincolare il disinteressato
aiuto umanitario italiano per lo tsunami al fatto che l'Indonesia appoggi
all'Onu il piano di riforma del Consiglio di sicurezza che più ci preme:
bloccare le aspirazioni nippo tedesche aprendo al nostro e ad altri paesi.
Fini non lo ha detto, ma Wirajuda l'ha fatto capire chiaramente anche se
non si è sbilanciato. L'Italia ha deciso di riconvertire 7 e 31 milioni
del debito estero di Sri Lanka e Indonesia (che sono dovuti per il 2005) e
Fini ha pure aggiunto che Roma potrebbe cancellare a Giacarta anche la
tranche relativa al 2006. Decisione, par di capire, vincolata al
comportamento indonesiano. Quanto a Sri Lanka non ci sono ovviamente
speranze. Se Colombo deve appoggiare qualcuno, quel qualcuno è Nuova
Delhi.
La rincorsa asiatica dell'Italia appare tardiva. Ed è facile che a
orientare le scelte di Giacarta sia semmai Washington. Roma non ha una
politica asiatica (tranne che in Cina), come ben dimostrò la mancata
presenza di Berlusconi al vertice India-Ue nel 2003 quando avevamo la
presidenza Ue. E come ha dimostrato ieri Fini definendo l'Indonesia, per
ben due volte, una «federazione». Almeno il suo staff avrebbe dovuto
spiegargli che il lontano arcipelago è una repubblica dannatamente
centralista divisa in province. E che è proprio questo il motivo per cui
talune sono «ribelli», come Aceh.
*Lettera22
testo integrale tratto da
"Il Manifesto" - 16 GENNAIO 2004