IMMIGRAZIONE
Perché l'Europa
deve cambiare politica
GIANFRANCO SCHIAVONE *
Non sapremo mai qual è il numero esatto dei morti
annegati nel mare Mediterraneo e nei cosiddetti paesi di transito. I
naufragi di ogni estate nel canale di Sicilia ci ricordano però alcune
cose importanti. La prima è che con l'aumentare dei controlli delle
frontiere esterne dell'Unione europea, controlli dai costi economici e
sociali elevatissimi che hanno assunto da tempo le dimensioni di vere e
proprie operazioni militari, gli arrivi dei migranti non sono diminuiti.
Le rotte cambiano, possono ripiegare temporaneamente per poi riprendere
altrove, mutano analogamente le tecniche di organizzazione dei viaggi, così
come si modificano i rapporti di potere/scambio/corruzione con i diversi
poteri statali e quelli di fatto diversamente coinvolti. Se guardiamo la
totalità del quadro vediamo che il traffico internazionale di migranti
muta continuamente, ma non diminuisce. La seconda è che le organizzazioni
criminali che gestiscono il traffico sono sempre più forti e potenti e la
loro crescita è strettamente collegata alla chiusura dei canali di
immigrazione regolare attuata dai paesi del Nord del mondo. Esse
gestiscono, in regime di quasi monopolio, un settore economico essenziale
per tutti i paesi del Nord del mondo. Il grande mercato delle immigrazioni
illegali consente guadagni sempre più elevati a chi lo gestisce (non
certo al piccolo trafficante, ultimo anello della catena, figura spesso
difficilmente distinguibile dalle stesse vittime del traffico). Nei paesi
di destinazione i costi, sempre più elevati, dei controlli, possono
essere politicamente ben redditizi se utilizzati per convincere
un'opinione pubblica piena di angosce sul proprio futuro e impaurita dalla
propaganda sull'invasione di massa, sulla necessità di adottare «maniere
forti» contro gli stranieri.
Per i migranti questo mercato significa ogni giorno sempre più rischi,
disperazione, morte. Un circuito vizioso dal quale essi non possono
uscire. I morti di tutti i giorni nel Mediterraneo, quelli di cui si viene
a sapere e quelli di cui nessuno saprà, ci parlano della necessità di
cambiare, e presto, politiche migratorie non solo inefficaci ma
oggettivamente produttrici di fenomeni criminali e di un deterioramento di
principi fondamentali dello stato di diritto, qual è l'affermarsi di
forme di diritto «speciale» per gli stranieri.
Ricette pronte e certamente efficaci non ce ne sono. La gestione di grandi
fenomeni internazionali complessi come le migrazioni comporta il rischio
di sperimentare strade innovative. Cambiare le attuali politiche
migratorie dell'Italia e dell'Unione europea è però necessario perché
la gravità del fallimento di quelle esistenti non può essere più
ignorata. I due pilastri di partenza di un approccio nuovo non possono che
essere da un lato l'apertura progressiva di canali di immigrazione
regolare effettivamente accessibili che costituiscano vie diverse a quelle
gestite dalle organizzazioni criminali, e dall'altro il ritorno a una
politica di effettivo rispetto del diritto d'asilo, oggi negato in tutti i
paesi dell'Unione europea e nel nostro in particolare. Per essere efficace
l'apertura verso l'immigrazione deve vedere contestualmente l'eliminazione
di tutte le variegate mostruosità giuridiche legate al diffondersi del
diritto «speciale» per gli stranieri e una stabilizzazione dei diritti
di coloro che scelgono di vivere nei nuovi paesi di insediamento. Il
cambiamento di prospettiva sull'immigrazione e sul diritto d'asilo sono
strettamente intrecciati tra loro poiché nessuna politica di rispetto del
diritto d'asilo può essere effettivamente realizzata al di fuori di un
quadro di nuova apertura alle migrazioni. L'accettazione di politiche di
asilo sempre più restrittive giustificate con il presunto fine di
salvaguardare i rifugiati «veri» da quelli «falsi» ha portato solo a
un circolo vizioso che sta consumando gli stessi sistemi giuridici di
protezione dei rifugiati e sta atrofizzando l'operato delle organizzazioni
internazionali.
* Ics-Consorzio italiano di solidarietà
testo integrale tratto da "Il Manifesto" - 10 agosto
2004