IL VOLTO REALE DELL'UOMO SOFFERENTE

di Arturo Paoli


Il luogo dove conoscere e pensare Dio è dove Cristo oggi è nuovamente crocifisso

Non so se Lévinas abbia scoperto il volto, che è l'idea centrale del suo pensiero, in questo capitolo di Isaia o se questa idea nasca da un'altra parte, ma è certo che Lévinas ci ha insegnato a scoprire il senso di questo capitolo di Isaia. A scoprirlo laicamente perché esiste tutta una "mistificazione religiosa" sulla sofferenza di Cristo, come su quella di Maria, su questo volto che in realtà rappresenta la scelta di assumere la nostra miseria e il nostro peccato.

Che significato possiamo dare oggi alla sofferenza di Cristo? Se pensiamo che Gesù crocifisso è resuscitato, giungiamo alla conclusione che non ha assolutamente bisogno della nostra compassione e della nostra riparazione. Diventa una mistificazione voler sentire la sofferenza di una persona che non soffre, una sofferenza di 2000 anni orsono. C'è tutta una liturgia - così possiamo chiamarla - del crocifisso e del dolore di Maria che ci lascia come siamo senza cambiare minimamente la nostra vita. Si limita a darci un momento di sofferenza e di tristezza, portandoci a pensare alle piaghe del Cristo, al suo martirio, alla sofferenza materna, tutta interiore, di Maria. Lévinas invece trasferisce - e questo è strettamente ortodosso - nel volto reale dell'uomo vivente il volto sfigurato di Cristo, quel volto davanti al quale quelli che passano scuotono la testa perché non ha più nessuna apparenza umana, ed è come l'espressione di tutti i mali del mondo. Il volto descritto da Isaia è trasferito nel volto dell'uomo. Isaia parla di una misteriosa sofferenza di Dio che noi possiamo accogliere e consolare nell'uomo attuale, "nell'altro" come lo chiama Lévinas, nel volto segnato dalla morte. La presenza della morte e della sofferenza nel mondo, di cui noi siamo causa, indica che la morte di Dio continua, la sofferenza di Dio è reale nella sofferenza attuale dell'uomo, del nostro fratello. E' reale nel volto vivo dell'uomo, mentre nel ricordo celebrato nella liturgia è simbolica. Noi possiamo passare tutta la vita - qui è la grande mistificazione religiosa - guardando il simbolo, concentrando la nostra pietà unicamente sul simbolo e sarebbe come se noi ci trattenessimo tutto il giorno davanti alla fotografia di un ammalato, di uno che sta vivendo il momento terminale della malattia, e davanti alla sua fotografia ci commuovessimo, pensando: "come deve essere triste la sua sofferenza!", mentre nella realtà non trovassimo il tempo di andarlo a trovare.
Nella devozione religiosa succede esattamente questo, pensiamo di sfogare il nostro dolore facendo compagnia al Cristo crocifisso, consolandolo delle sue sofferenze, manifestandogli tutta la nostra compassione, e trascurando il luogo dove questa sua sofferenza è reale. Lì è simbolica, è ricordo, mentre unicamente nella carne dell'uomo, nella sua sofferenza, è reale. Questo è ciò che Lévinas ci ha rivelato, mettendo in evidenza anche la possibilità di una illusione nella ricerca dell'altro. Noi possiamo sentirci altruisti dando denaro o prestando qualche servizio ma senza arrivare ad assumere la responsabilità che ci affida il volto del nostro fratello segnato dalla morte, questo volto che Isaia rappresenta così crudamente segnato da tutto il male che l'uomo carica sull'altro uomo. Molte volte noi possiamo ripensare il testo di Isaia, sentire una certa sofferenza, ma se non incontriamo questa realtà che ci fa uscire dal nostro io, questa parola di Dio non raggiunge il suo scopo.
Qual è finalmente il risultato di questa visione? E' l'uscita dal nostro io, questa scelta che è un'apertura sull'infinito. Oggi c'è un cammino veramente nuovo da fare per scioglierci da una concezione religiosa concentrata sul simbolo e riportarla sulla realtà. Lo ha scritto con chiarezza il Maestro generale dei domenicani, Timothy Radcliffe: "il luogo dove fare teologia e quindi dove conoscere e pensare a Dio è il luogo dove Cristo oggi è nuovamente crocifisso". Oggi, non 2000 anni fa!

A Lévinas dobbiamo anche la meditazione profonda su un concetto strettamente teologico, anche se da lui tradotto in filosofia, quello della sostituzione e della espiazione. Noi oggi abbiamo il dovere della sostituzione e della espiazione. Per capirne il significato dobbiamo abituarci a guardare il mondo dell'efficienza e tutto il positivo della globalizzazione dalla parte dei poveri, dei disoccupati, degli esuli, dei senza terra, di tutti quelli che soffrono di un dolore strettamente legato all'ingiustizia. Questa ingiustizia è frutto di operazioni e di scelte che possono essere tanto lontane dalla sofferenza umana da apparire innocenti. Sono operazioni di banca, investimenti di denaro, ma anche ricerca filosofica, scientifica, teologica: non c'è nulla di più apparentemente puro, nulla che appaia così slegato dalla realtà sociale come il pensare, il costruire sistemi, l'indagare in certi misteri della natura. Eppure Popper ha denunziato chiarissimamente la responsabilità degli intellettuali sull'olocausto, le guerre, l'accumulazione del denaro, la costruzione del mercato globale. C'è una responsabilità diretta perché nessuna operazione è priva di conseguenze dirette sugli altri. Sostituzione non vuol dire fare qualcosa di speciale, fuori dalla nostra maniera di pensare, perché sostituzione significa semplicemente: o scelgo una maniera di agire e compio scelte che abbiano una relazione diretta con la vita oppure faccio scelte che hanno una relazione diretta con la morte. E' inutile poi andare davanti al crocifisso e sentirsi vittima, pensare di voler prendere le colpe degli altri, le loro sofferenze - tutto questo è retorica - perché quello che è importante sono le nostre scelte di vita. Allora io mi sostituisco come Egli che ha preso su di sé il castigo, perché realmente quello che salva il mondo è prendere su di sé le conseguenze del peccato, della morte che viene a colpire altri. Il Cristo schiacciato sotto le nostre iniquità ha portato nella sua vita e nella sua morte le conseguenze delle colpe che gravano sull'umanità. Imitare Cristo è prendere su di sé le colpe degli altri che sono anche nostre, non aggiungendo colpa a colpa ma volendo espiarla, mettendo dentro la storia reali dinamiche di amore, non sospiri ma scelte di solidarietà verso gli altri.
Per capire meglio è utile mettere a confronto due preghiere, la prima - che era molto cara al mio maestro di università ebreo, ateo - è attribuita a Jacopone da Todi e dice: "eia Mater fons amoris, me sentire vim doloris fac que tecum lugeam" ovvero: "Madre mia, fonte dell'amore fammi sentire la forza del dolore perché io possa piangere con te". E' certamente un versetto sublime, tutto l'inno è un grande canto, ma si presta molto alla mistificazione perché Maria oggi non piange - anche se continuamente nelle immagini appare come Maria delle lacrime. In realtà Maria o è gloriosa o non è, o è Regina degli angeli o non è. Piangere con lei e consolarla diventa ridicolo: se sta bene non c'è bisogno di piangere, e se sta male non possono consolarla le lacrime!
La seconda è una preghiera popolare brasiliana che dice: "O Maria da fradernidade, solidaria de tantas marias coroadas de sangue e de espinhos pe la exploração noche y dia". "O Maria della fraternità, che sei solidale con tante marie coronate di sangue e di spine, per lo sfruttamento giorno e notte". Maria è presente e ha bisogno di solidarietà, di essere capita e accolta non nelle statue ma nella realtà della donna di oggi, coronata di sangue e di spine. Nella donna della favela, sfruttata giorno e notte, perché di giorno non ha di che dare da mangiare ai suoi figli e di notte deve andare a prostituirsi. Ben vestito e con la cravatta io posso andare a consolare un'immagine di Maria addolorata, stare lì a piangere con lei, e lasciare questa Maria reale crocifissa, sola, abbandonata, senza sentire la responsabilità verso di lei. Peggio ancora posso usare la donna come oggetto sessuale e poi, confessato, fare una visita all'immagine dell'Addolorata esposta in cattedrale. Non è una satira immaginaria!
Lévinas dice una parola fortissima: occorre "diventare ostaggio" di questo volto che mi è apparso sconvolgendo la mia vita. Tutte le smisurate declamazioni sul dolore, sul pianto, sul crocifisso, noi le abbiamo concentrate sull'immagine o sul ricordo del passato, sulla parola e non sulla realtà. Non è un teologo ma Cristo stesso che ci dice: guarda che io sono lì, sono in questa persona affamata, in questa persona ammalata di aids, in questa donna che deve prostituirsi perché ha venduto tutto e la sua casa è vuota! Ha solamente il suo corpo, o lascia morire di fame i suoi figlioli o vende il suo corpo, veramente è coronata di sangue e di spine! Tutte le marie che piangono perché il cristiano sia più buono, non trascuri la messa, si occupi di più della sua parrocchia, per me non sono Maria di Nazareth né Maria del Calvario. Maria piange nella donna di oggi, è trafitta dalle spade di oggi, dallo sfruttamento dell'uomo sopra di lei. Questa è la realtà, bisogna cominciare a pensare i nostri valori religiosi a partire dalla realtà dell'uomo che soffre.

A Caracas, nella cattedrale, vi è una immagine del Cristo flagellato, una di quelle immagini drammatiche di cui sono piene le cattedrali del Messico. I missionari spagnoli hanno lasciato le tracce della loro predicazione: "peccatori, guardate le vostre colpe cadute su questo corpo". Il Cristo della cattedrale di Caracas ha le spalle ricoperte di un manto di velluto rosso. Davanti a questa immagine ogni mattina sfilano tutti o quasi gli impresari, i politici, gli uomini di affari della nazione che prima di andare al lavoro, toccano il manto e spesso lo baciano. Dall'andamento della società venezuelana si può dedurre che petrolieri e impresari locali non siano così evangelici nei loro affari. Il Venezuela è una nazione che in pochi decenni ha incassato quanto tre piani Marshall per la ricostruzione dell'Europa dopo la guerra e presenta sacche di miseria sempre più diffuse. Qualche volta, dopo aver osservato questa sfilata, mi sono avvicinato al Cristo e gli ho detto: davvero continuiamo a sputarti in faccia! Fino a quando ti sputeremo in faccia? Fino a quando ti schiaffeggeremo? Questa è la mia preghiera, ed è la preghiera che farei un po' a tutto il mondo cattolico: fino a quando, ricoprendo il disprezzo con la preghiera, continueremo a passare davanti al servo sofferente di Isaia per prestargli atti di omaggio e poi andare a crocifiggerlo nei nostri fratelli?


Arturo Paoli

 testo integrale tratto dalla rivista "ORE UNDICI" - aprile 2003

 www.oreundici.org