LE PAROLE DI RUINI UNA SETTIMANA DOPO

Il pastore e il politico

di Leonardo Zega


A una settimana dai solenni funerali di Stato per le diciannove vittime del terrorismo in Iraq, le reazioni alle parole pronunciate dal cardinale Ruini nella Basilica di San Paolo non accennano a diminuire. Un cosa è la riflessione di tipo politico, che intravvede una svolta delle gerarchie ecclesiastiche. Tutt’altro è il discorso religioso: prima le tracotanti deduzioni ventilate dalla solita compagnia di giro, don Baget Bozzo in testa: la Chiesa italiana si schiera con i nostri soldati, il pacifismo è morto e la guerra giusta ritrova il suo posto nell'insegnamento ecclesiastico, dopo le divagazioni conciliari e post-conciliari. Poi i commenti di quanti si compiacciono che parlare di missione di pace mentre si combatte una guerra è fuori luogo.

Molti hanno voluto vedere nelle parole del cardinale addirittura un riflesso del ragionamento del Presidente del Consiglio, che prima avrebbe chiesto a Bush di non avventurarsi nella guerra e poi si sarebbe realisticamente allineato, perché non si poteva deludere l'alleato. E dunque se l'America è in guerra, lo è - piaccia o non piaccia - anche l'Italia, e lo sono di conseguenza i carabinieri e i soldati che presidiano una zona di quel tormentato Paese. Questi sottolineano soprattutto un passaggio dell'omelia del Presidente della Cei in cui, parlando al plurale, egli afferma: «Non fuggiremo davanti a loro (i terroristi), anzi, li fronteggeremo con tutto il coraggio, l'energia e la determinazione di cui siamo capaci». È vero che subito dopo egli aggiunge: «Ma non li odieremo». Questa però - si dice - è una frase d'obbligo in bocca a un vescovo, e va interpretata alla luce di quel che segue: «Non ci stancheremo di sforzarci per far loro capire che tutto l'impegno dell'Italia, compreso il suo coinvolgimento militare, mira a salvaguardare e promuovere una convivenza umana in cui ci siano spazio e identità per ogni popolo, cultura e religione».
Accanto a queste non smentite deduzioni, si collocano le perplessità del mondo cattolico. Che non sono soltanto quelle del vescovo Nogaro, subito volutamente mal interpretato, ma di una nutrita schiera di cristiani che si chiedono: quanta distanza c'è tra le parole del cardinale e la politica di Bush? Quel che più è spiaciuto è che mai sia stato fatto, in tutta l'omelia, il nome di Giovanni Paolo II e, conseguentemente, della sua immutata posizione contraria alla guerra come risposta al terrorismo. Che non si sia fatta menzione alcuna del pacifismo, nient'affatto irenico o utopico, di tanti gruppi di volontariato di ispirazione cristiana, la cui condanna dei kamikaze assassini è al disopra di ogni sospetto.

È certamente ingeneroso dire che Ruini ha parlato più da portavoce di una certa politica che da uomo di Chiesa. Ma il richiamo al precetto dell'amore dei nemici, fatto dalla vedova di uno dei carabinieri massacrati in Iraq, suona più evangelico delle «attenzioni» del cardinale. Parole citate, quelle della donna, ma non ripetute nella Basilica di San Paolo di fronte alle massime autorità dello Stato. Eppure non sarebbe apparsa meno sentita la pietà per le vittime e meno partecipato il dolore dei familiari, se il funerale fosse risultato più di Chiesa e meno di Stato.


leonardo.zega@stpauls.it

 testo integrale tratto da "La Stampa" - 26 novembre 2003