"Tempo Perso - Alla ricerca di senso nel quotidiano"
Il "non
possumus" dello Stato di GUSTAVO ZAGREBELSKY
L´EDITORIALE
di Avvenire di martedì scorso ha il tono di una "nota
diplomatica", contenente un memorandum e un ultimatum, il tono cioè
di atti di natura ufficiale, nei rapporti tra Stato e Stato e, come tale,
deve essere valutato parola per parola, tanto più in quanto la diplomazia
vaticana è di solito maestra di cautela e sottigliezze. L´oggetto è la
legge prossima ventura (?) sui diritti e i doveri delle coppie di fatto,
una legge che, secondo il quotidiano dei vescovi italiani, realizzerebbe,
«sia pure in forma insolita e indiretta, un modello alternativo e spurio
di famiglia» che indebolirebbe e mortificherebbe l´istituto coniugale e
familiare «nella sua unità irripetibile», un effetto «sgradevole» (!)
che sarebbe dimostrato «in modo incontrovertibile» dall´esperienza di
altri Paesi. Ciò andrebbe contro il favor per la famiglia fondata sul
matrimonio, riconosciuto dalla Costituzione repubblicana, e contro una
tradizione culturale e giuridica bimillenaria. Fin qui la critica,
discutibile e discussa come tutte le opinioni, ma certo perfettamente
legittima. A questo memorandum, segue l´ultimatum. «Per questi motivi
– si legge - se il testo che in queste ore circola come indiscrezione
fosse sostanzialmente confermato, noi per lealtà dobbiamo fin d´ora dire
il nostro non possumus. Che non è in alcun modo un gesto di arroganza,
piuttosto è consapevolezza di ciò che dobbiamo - per servizio di amore
– al nostro Paese» e «indicazione franca e disarmata di uno
spartiacque che inevitabilmente peserà sul futuro della politica italiana».
Lasciamo da parte la retorica: ci mancherebbe altro che si rivendicasse il
diritto a un gesto d´arroganza o a un atto di disprezzo verso "il
nostro Paese". Vediamo invece le tre espressioni-chiave, quelle sopra
indicate in corsivo. Nella sua storia, la Chiesa ha pronunciato diversi
non possumus, nei confronti delle pretese delle autorità politiche. Il
che è del tutto naturale (anzi, forse ne ha pronunciati non pochi di meno
di quanti ci si sarebbe potuto attendere in nome del Vangelo).Si
incomincia con Pietro e Paolo (Atti 4, 20) che, diffidati dal Sinedrio di
non parlare né insegnare in nome di Gesù, risposero: «Non possumus non
parlare di ciò che vedemmo e udimmo». Si dice poi che nel non possumus
si siano trincerati Clemente VII, il papa che negò il divorzio di Enrico
VIII da Caterina d´Aragona; Pio IX che si oppose al ritorno a casa di un
bimbo ebreo, nel famoso e crudele "caso Mortara"; ancora Pio IX
che rifiutò di partecipare alla coalizione anti-austriaca al tempo del
Risorgimento e non accolse l´ipotesi di un´occupazione pacifica di Roma
da parte dei piemontesi; il cardinale Antonelli, che escluse il
riconoscimento papale di Roma capitale d´Italia. Tutto questo è chiaro e
riguarda comportamenti, comunque li si voglia valutare storicamente, che
rientrano nei loro compiti e nelle responsabilità degli uomini di Chiesa.
Ma che cos´è che "non possono" i vescovi italiani, nella
circostanza odierna? La risposta la danno loro stessi. Non si tratta solo
del diritto al dissenso circa una legge dello Stato, diritto che nessuno
contesta. Si tratta di una cosa molto diversa: non possono non prospettare
uno spartiacque, che inevitabilmente peserà sul futuro della politica
italiana. Bisogna meditare su questa affermazione. Non è una
"indicazione" che riguarda i rapporti tra la Chiesa e lo Stato
italiano. Se così fosse, si tratterebbe di una questione, per così dire,
di politica estera, tra due soggetti sovrani, che pur si riconoscono come
tali. Si sarebbe potuto discutere se ciò costituisse una corretta
concezione degli "ambiti" rispettivi che l´art. 7 della
Costituzione riconosce a ciascuno di loro («Lo Stato e la Chiesa sono,
ciascuno nel proprio ambito…»). Poiché, in materia concordataria,
manca per definizione, un terzo super partes, in caso di conflitto ognuno
dei due soggetti finisce per essere arbitro dell´ampiezza della propria
sfera d´azione. La discussione, su questo punto, sarebbe senza costrutto.
Ma qui la "indicazione" dei vescovi è del tutto diversa: la
Chiesa, attraverso un suo organo ufficiale – non un gruppo di cittadini
o deputati cattolici, nella loro autonomia, ciò che farebbe una
differenza essenziale - parla del futuro della politica italiana, parla
cioè della vita interna dello Stato e delle «inevitabili conseguenze»
su di essa. Così, viene, altrettanto inevitabilmente, messo in
discussione l´altro caposaldo dell´art. 7, quel riconoscimento di
reciproca «indipendenza e sovranità» dello Stato e della Chiesa, da cui
discende l´esclusione di ogni ingerenza interna reciproca, esclusione che
è conditio sine qua non del regime concordatario. Direi che mai, come in
questo caso, nella storia recente, i basamenti del concordato hanno
traballato. Non ci si è resi conto dell´implicazione? Se si vuole il
concordato, occorre rispettare e difendere le condizioni materiali che lo
rendono possibile. Spesso, per comprendere i caratteri di una situazione,
non c´è nulla di meglio che provare a rovesciarne i termini. Allora, che
cosa si direbbe se fosse lo Stato che, per assurdo, dicesse: se la Chiesa
non assume un tale o un talaltro atteggiamento, ciò rappresenterà uno
spartiacque e peserà sul futuro (non dei rapporti reciproci, ma
addirittura) dei rapporti interni alla Chiesa, tra le sue diverse
componenti, facendo eventualmente intravedere interventi per favorire o
contrastare questa o quella posizione che fedeli o sacerdoti potessero
prendere, a seconda del gradimento riscosso. Si dirà: ma qui l´Avvenire
si limita a una semplice, innocente "indicazione" preventiva. Già,
ma viene data per lealtà. Che significa questa apparentemente innocua
aggiunta? Non altro, mi pare, che un avvertimento: non ci si venga poi a
lamentare che non ve l´avevamo detto; state in guardia per quel potrà
accadere. La lealtà dell´annuncio significa preannuncio di conseguenze
perturbatrici del quadro parlamentare, in definitiva della libertà di
esercizio del mandato parlamentare e della libera dialettica democratica.
Ci sono questioni sulle quali anche da parte dello Stato democratico
dovrebbero essere detti dei non possumus. Ci sono principi irrinunciabili
di laicità e democraticità delle istituzioni che sono non negoziabili.
Ci sono casi su cui sarebbe bene che i soggetti che le rappresentano
facessero sentire una voce rassicurante per tutti, pacata e ferma. Questo
è uno di quelli. Con ogni garbo, naturalmente, e con tutta la diplomazia
necessaria, ma questo è uno di quelli. Ieri abbiamo appreso di una
reazione di eletti dal popolo, ascrivibili alla schiera dei cattolici
democratici, di cattolici adulti che, senza disconoscere la loro
appartenenza alla Chiesa e il loro attaccamento ai principi spirituali
cristiani, ristabiliscono le distinzioni, rivendicano la loro autonomia
nell´esercizio delle loro funzioni costituzionali e respingono richiami
all´ordine fin nel dettaglio di scelte legislative, in definitiva lesivi
delle responsabilità dei cristiani nelle cose temporali. Finalmente.
Anche per loro, la partita in corso è decisiva ed è precisamente quella
che riguarda la difesa della loro dignità di soggetti, non di oggetti,
come si dice, in re: quella dignità che il Concilio Vaticano II ha
riconosciuto loro. Si è detto che, nella vicenda in corso, la Chiesa
italiana, attraverso la Conferenza episcopale, gioca il tutto per tutto,
in una partita dall´esito incerto. Noi non sappiamo se la presa di
posizione dell´Avvenire sarà eventualmente seguita da atti conseguenti.
Può essere sì o no. Gli esperti di cose vaticane sono concordi nel
riconoscere agli uomini della Cei capacità tattiche, se non strategiche.
Può darsi che la prudenza induca a ripensamenti, a lasciare che le cose
si stemperino nel tempo. Ma che triste delusione, per chi crede in Gesù
il Cristo o, semplicemente, ritiene che il messaggio cristiano sia
comunque un fermento spirituale prezioso da preservare, il vedere la
Chiesa di Cristo ridotta al tavolo d´una partita, tentata di usare la
discordia politica tra i cittadini e i suoi rappresentanti, come se fosse
arma lecita delle sue battaglie. testo integrale pubblicato da "La Repubblica" - 9 febbraio 2007 |