Quarant'anni fa l'enciclica" Pacem in Terris" di Giovanni XXIII

IL VATICANO E LA FOLLIA DELLA GUERRA

di Marco Politi 

La guerra in Iraq ha riservato al quarantesimo anniversario della "Pacem in terris" un battesimo di fuoco. Nel vivo di un conflitto, che giustamente é stato percepito come planetario da fautori ed oppositori, l'enciclica di Giovanni XXIII ha riacquistato la forza dirompente di un modello geopolitico alternativo. Papa Wojtyla l'ha spesso citata e grazie al dinamismo della propria  azione politica ne ha dimostrato la vitalità. L'enclica fu il frutto della tempestiva opera di mediazione di Giovanni XXIII fra Usa e Urss nella crisi dei missili di Cuba dell'ottobre 1962, che stava portando il mondo sull'orlo dello scontro nucleare. Papa Roncalli, col grido disarmato di «pace, pace, pace», offrì ai contendenti il filo sottile  cui aggrapparsi. Krusciov ritirò i missili sovietici da Cuba, Kennedy garantì che l'isola non sarebbe stata invasa.  Ambedue i leader utilizzarono l'appello del pontefice, perché volevano consapevolmente evitare lo scontro: e qui sta la grande differenza rispetto alla situazione attuale e al mancato successo delle missioni lanciate dal papa Wojtyla alla vigilia della guerra di Bush. L'evento spinse Giovanni XXIII ad una riflessione globale sul problema della guerra, che approdò l'11 aprile 1963 alla firma della "Pacem in terris" in virtù anche dell'intelligente collaborazione di un ecclesiastico di grande levatura intellettuale, mons. Pietro Pavan. E' evidente che nel testo ci sono parti desuete . Decaduto, in particolare, è il quadro di riferimento costituito dal bilanciarsi delle supepotenze sovietica e statunitense e dall'equilibrio della deterrenza nucleare. Però del tutto fecondi si sono rilevati i concetti portanti del nuovo pensiero di papa Roncalli: la guerra nell'era atomica è una follia (alienum a ratione, dice il testo latino), volere la pace non può essere un desiderio astratto ma deve rappresentare l'obiettivo di chi consapevolmente lavora per il bene comune dell'umanita, realizzando concretamente giustizia, libertà e sviluppo. Ne consegue che è utile e necessaria una forma di autorità sovranazionale e che i cattolici sono chiamati a impegnarsi fattivamente per la pace.

 La Chiesa cattolica procede per tempi lunghi. E questo permette a certe svolte di divenire  gradualmente più influenti, proprio perché sostenute da un susseguirsi di verifiche. L'impatto fortissimo che gli  interventi di Karol Wojtyla hanno registrato sulla scena internazionale in questa stagione trae la sua linfa da un intero secolo di elaborazioni. Un convegno promosso  recentemente dall'Università cattolica a Milano (e i cui atti saranno pubblicati dall'editore Guerini a giorni)  rivela le radici lontane dell'incisività , che Giovanni Paolo II è riuscito a dare alle intuizioni del suo predecessore. Parte da Leone XIII - lo spiega bene lo storico Andrea Riccardi - un rilancio dell'immagine del pontefice quale "padre comune" che soltanto oggi con Giovanni Paolo II, portavoce dei diritti umani, riesce a trovare agli occhi dell'opinione pubblica una sua precisa determinazione. Il processo, che conduce la diplomazia vaticana dal temporalismo della prima metà dell'Ottocento alla posizione internazionale  super partes del XXI secolo, è la prova di come una reale debolezza (la fine dello stato pontificio)  può tramutarsi - simile alle tecniche di lotta giapponese - in un punto di forza. Giorgio Rumi trattegia efficacemente la nuova metodologia dei rapporti internazionali espressa da Benedetto XV e imperniata sul concetto di una "società-fraternità delle Nazioni", che trova sorprendenti riscontri nei Quattordici Punti proclamati dal presidente americano Woodrow Wilson alla fine della prima guerra mondiale. E se gli esiti a medio termine non sono esaltanti, conta però aver gettato semi: si pensi soltanto al concetto di Benedetto XV che le materie prime del mondo devono essere accessibili a tutti i popoli. L'enciclica di Giovanni XXIII, della cui travagliata gestazione Alberto Melloni si è occupato a fondo, cade dunque nel mezzo di un lungo cammino. La sua forza innovatrice sta tuttavia nella rottura del quadro di riferimento della"guerra giusta" che per quasi duemila anni aveva guidato le istituzioni ecclesiastiche cristiane. Papa Wojtyla va anche più  in là. La guerra, come la pena di morte, diventa  quasi inapplicabile  a fronte di altre forme per assicurare giustizia e legalità nel mondo. Se però fosse urgente come "atto di soccorso" (l'intervento umanitario per salvare la sopravvivenza di un popolo) potrà essere soltanto un'autorità sovranazionale a deciderlo. Fa una certa impressione vedere che un intelletuale coraggioso come il polacco Adam Michnik, nella sua appassionata difesa delle ragioni della guerra Bush, non citi mai neanche di sfuggita il pensiero del suo connazionale  Karol Wojtyla. Segno che nella nuova era imperiale Giovanni Paolo II e la "Pacem in Terris" sono veramente pietra d'inciampo.

testo integrale tratto da "La Repubblica" - 10 aprile 2003