EP    EPIFANIE

Dopo la Resurrezione, Gesù appare più volte ai suoi discepoli.

               Perché stenta a essere riconosciuto?

Identificazione di un Risorto

Maria di Magdala lo vede in piedi davanti al sepolcro e pensa che sia il custode.  

E gli apostoli, sul lago di Tiberiade, non capiscono chi sia quell’uomo

 che offre loro un po’ del suo pesce

di Gianfranco Ravasi

Ancora una volta sulla strada che conduce da Gerusalemme a Emmaus, per la precisione a 7 km da Gerusalemme, come dice il titolo del romanzo appena edito dalla San Paolo, Cristo vivo, «pulito, bello, in ordine», si presenta all'autore del libro, Pino Farinotti (sì, l'autore del notissimo Diziona­rio dei film), «seduto sul sedile della sua Golf». L'idea che il Risorto continui a incrociare uomini e donne per le strade delle nostre città o sui viottoli di campagna, spesso senza essere riconosciuto, è tutt'altro che rara: pensiamo, ad esempio, al poemetto Pasqua a New York (1912) di Blaise Cendrars, messo in musica nel 1920 da Arbur Honegger per voce solista e quartetto d'archi, oppure alla finale del film Jesus of Montreal di Deny Arcand (1989) col Cristo che avanza in mezzo a una schiera di giovani di periferia.

Forse è naturale non riconoscerlo confuso tra la folla della Grande Mela o di un'altra metropoli occidentale; ma come è stato possibile non identificarlo ai due discepoli che quel pomeriggio percorrevano i "sessanta stadi, ossia la dozzina di chilometri che separava la città santa dal villaggio di Emmaus ove erano diretti? Eppure Luca, che descrive nel suo Vangelo (24, 13-35) quell' itinerario e il relativo approdo, non ha esitazioni nell'affermare che «i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo». Ma ancor più sconcertante è ciò che era accaduto - stando al Vangelo di Giovanni (20,11-18) - proprio in quella stessa giornata, all'alba, presso la tomba di Gesù. Maria di Magdala, che aveva visto il volto di Cristo per mesi e mesi, ne aveva sentito i discorsi e ne conosceva le inflessioni della voce, quando le si era parato innanzi il Risorto l'aveva scambiato per il custode del giardino cimiteriale: «Vide Gesù che stava lì in piedi, ma non sapeva che era Gesù… Pensava che fosse il custode del giardino».

Ancora, nell'appendice allo stesso quarto Vangelo (21, I-14), c'è una scena altrettanto stupefacente. Sette apostoli sono ritornati, dopo la Pasqua, alla loro antica professione di pescatori su quel lago di Tiberiade ove avevano incontrato per la prima volta Gesù. Là, rientrando dopo una notte di pesca infruttuosa, vedono sul litorale un uomo: «Ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù». E l'offuscamento del loro sguardo si accompagna a quello dell'udito: «Gesù disse loro: Figlioli, non avete nulla da mangiare?". Gli risposero: "No!"». La domanda si fa, quindi, sempre più urgente e necessaria: come può accadere che i discepoli non riconoscano  subito Gesù nel Cristo risorto? La risposta è nella natura stessa dell’evento pasquale. Esso insiste e incide nella storia ma è, nella sua sostanza, soprannaturale, trascendente, misterioso.

Certo, ci sono segni storici come la testimonianza delle donne sulla tomba vuota, attestazione certa e non "inventata" perché, essendo le donne nell'antico Vicino Oriente inabilitate a testimoniare, la Chiesa delle origini non le avrebbe mai poste come soggetto testimoniale se ciò non fosse nella realtà stessa dell'evento. C'è poi un sepolcro vuoto con fasce e sudario abban­donati. I Vangeli, però, non descrivono l'evento "risurrezione"(saranno solo gli apocrifi a farlo, seguiti dall'arte cristiana: si pensi solo all'imponente Cristo che sale dalla tomba, opera di Piero della Francesca). Cristo risorto è ben più di un cadavere rianimato, facilmente riconoscibile come il Lazzaro risuscitato: egli è nella pienezza della sua umanità e divinità, è un'epifania di gloria, è divenuto il principio di trasformazione della storia per la sua piena redenzione.

È per questo che gli incontri del Risorto coi discepoli com­prendono uno sconcerto. Gli studiosi classificano due modelli narrativi per questi incontri o "apparizioni": il termine, anche se è corretto perché in greco si dice che Cristo "apparve" o "fu visto", non è felice perché  nell’accezione. odierna rimanda a esoterismo, magia, occultismo, a esperimenti mediatici. La prima di queste tipologie e' detta appunto  "di riconoscimento". Così, Maria di Magdala riconosce Gesù risorto solo dopo che egli l'ha chiamata per nome, in una vera e propria vocazione rinnovata. I due discepoli di Emmaus - uno di nome Cleopa (cioè Cleopatro) e l'altro ignoto - lo riconoscono quando "spezza il pane", allusione al rito eucaristico, ossia in un atto sacro specifico. E sul litorale del lago di Tiberiade a riconoscere per primo il Risorto e' "il discepolo amato", espressione del perfetto credente, da identificare con Giovanni, il quale esclama: «È il Signore!».

Per avere il “riconoscimento" del Cristo glorioso non basta, allora avere avuto una conoscenza storica, camminando con lui sulle strade palestinesi, ascoltandolo mentre parlava nelle piazze o si   cenava insieme. È necessario avere un canale di conoscenza e di comprensione superiore, quello della fede, e allora Cristo si rivela vivo e presente nella storia che continua. In questa luce è facile intuire che l’"apparizione cioè l'incontro col Risorto, è disponibile a tutti coloro che crederanno o saranno da lui interpellati nella fede: pensiamo al caso emblematico di Paolo oppure all'episodio dei due discepoli di Emmaus che in filigrana rivela la celebrazione eucaristica cristiana come luogo dell'incontro con Cristo, incontro possibile anche ai cre­denti di oggi.

L'esperienza di fede, però non vuole dire fantasia, sogno assenza di realtà storica, Ecco perché in Luca, ad esempio, si insiste sul fatto che Cristo risorto «mangia una porzione di pesce irrostito» (24, 42-43) e in Giovanni si ripete che sul lago di Tiberiade «Gesù prese il pa­ne e lo diede loro, e altrettanto fece col pesce» (21,13). Si introduce, così, un rimando vigoroso alla "corporeità", che per il semita non è solo fisicità ma è indizio di personalità e di presenza: «Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi ed esaminate: uno spettro non ha carne e ossa come vedete che io ho», (Luca 24, 39). Analoga è la provocazione di Cristo nei confronti del dubbioso Tommaso: «Metti qua il tuo dito guarda le mie mani! Stendi la tua mano e ponila sul mio costato! E non essere più incredulo ma credente!» (Giovanni 20, 27). Questo linguaggio evangelico ha lo scopo di sottolineare l'"oggettività" dell'esperienza pasquale. Essa non sboccia d una sensazione soggettiva, ma è indotta da una presenza esterna trascendente ma reale. Così reale ed efficace da mutare radicalmente la vita di quegli uomini esitanti e timorosi e persino quella di un avversario deciso come Paolo. Parlavamo di due schemi secondo i quali i vangeli tratteggiano le apparizioni. Ebbene, oltre a quelle di "riconoscimento ci sono le apparizioni "di missione". Il Cristo risorto incarica i discepoli di un compito missionario. La grandiosa finale de vangelo di Matteo (28,16-20 ambientata in Galilea, ne è l'esempio più luminoso.

Gli apostoli dovranno proclamare il vangelo a tutto il mondo, battezzare, insegnare la morale cristiana: ricevono quindi l'incarico di evangelizzare e di offrire i sacramenti della salvezza. È questa la missione della Chiesa nata dalla Pasqua di Cristo. Anche la Maddalena è invitata ad «andare dai fratelli» per annunziar loro la risurrezione. Anche per Luca il Cristo che ascende alla gloria del cielo lascia come testamento ai discepoli che «nel suo nome devono essere predicate a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati» (24, 47) e tutta la seconda opera di Luca, gli Atti degli Apostoli, è la testimonianza di quest’impegno missionario che ha la sua radice nel mandato pasquale di Cristo e nella sua presenza («io sarò con voi sino alla fin del mondo», Matteo 28, 20). Anche Paolo afferma: «A Dio piacque di rivelare a me il Figlio suo perché lo predicassi alle genti» (Galati 1, 16).

Nelle sue Lettere di Nicodemo (1951) lo scrittore polacco cattolico Jan Dobraczynski, morto nel 1994, fa una considerazione che potremmo porre a suggello di questo breve itinerario nell'orizzonte pasquale cristiano «Vi sono misteri nei quali bisogna avere il coraggio di gettarsi per toccare il fondo, come ci gettiamo nell'acqua, certi che essa si aprirà sotto di noi. Non ti è mai parso che vi siano delle cose alle quali bisogna prima credere per poterle capire?». I racconti evangelici pasquali sono prima di tutto testi di fede e, proprio per questa via, aprono la ricerca di una comprensione che sia anche razionale e storica. Il credere e il comprendere s’intrecciano in modo complesso e delicato e costituiscono l’anima della teologia cristiana.

testo integrale tratto da "Il Sole 24 ore" - 27 marzo 2005