IDEE
«Tu ritieni che Dio giochi a dadi» rimprovera Einstein a Bohr: allo
scopritore della relatività sembra intollerabile che un elettrone possa
scegliere liberamente
Dio
gioca a dadi? Il caso nella scienza
Ai
tavoli da gioco Pascal e Fermat posero le basi della loro teoria sul «calcolo
delle probabilità».
Lo scienziato procede per ipotesi che sono creative Nei laboratori, i
rapporti con l’immaginario e il caso sono più profondi di quanto la
razionalità della ricerca farebbe pensare. Per Wittgenstein «il
matematico è un inventore, non uno scopritore»
di
Vittorino Andreoli
«Tu ritieni che Dio
giochi a dadi», rimprovera Albert Einstein al suo amico Bohr, esprimendo
tutto il travaglio dello scienziato nel dovere accettare, a proposito
della sua descrizione geometrica del mondo, l'ingresso del caso e della
probabilità. Allo scopritore della relatività sembra
"intollerabile" che un elettrone possa scegliere
"liberamente" tempo e direzione del suo salto energetico. «Se
così fosse - scrive - preferirei fare il ciabattino o magari il
biscazziere anziché il fisico». Improvvisamente lo scienziato si sente
come il giocatore d'azzardo al tavolo della roulette o dei dadi, alle
prese con un «interlocutore» misterioso, capriccioso, irrazionale, che
annichilisce ogni sua abilità. Il caso.
Ma anche lo scienziato cederà al fascino di questo misterioso
personaggio, assomigliando sempre più ad un giocatore che fa le sue
puntate sul "tavolo" dell'universo. Sostituirà le fiches con
complicati calcoli e sempre più sofisticate apparecchiature, per un gioco
che lo riporterà inesorabilmente ad un quid inafferrabile.
In tutti gli aspetti dell'esistenza l'uomo si trova coinvolto in decisioni
il cui successo è subordinato ad un insieme di fattori conosciuti e
valutabili, ma anche incerti e problematici che gettano un'ombra sulle
possibilità di riuscita delle sue scelte. E - paradossalmente - proprio
dallo studio scientifico e dall'osservazione dei giochi d'azzardo sono
nati gli strumenti per "controllare" il caso.
Tra i tavoli di bische e salotti, Blaise Pascal e Pierre Fermat posero le
basi della loro teoria sul «calcolo delle probabilità». Ai loro coevi i
due studiosi dovettero apparire assai bizzarri al punto che non mancarono
critiche a queste loro "futili occupazioni". Ma, come spesso
accade, i contemporanei avevano torto, perché entrambi avevano intuito
una dimensione più profonda dei giochi d'azzardo .
Insomma, nei laboratori della scienza, i rapporti con l'immaginario e il
gioco sono più profondi di quanto la conclamata razionalit à della
ricerca farebbe pensare. Lo scienziato è una persona che lavora nel
proprio spazio immaginario: procede per ipotesi scientifiche che sono, a
ben guardare, pure invenzioni della sua creatività, finché non si giunga
alla dimostrazione della corrispondenza con la realtà e, dunque, del loro
"oggettivo".
Rimane famosa, a questo proposito, la lettera di Albert Einstein all'amico
Karl Popper, nella quale il padre della «Teoria della Relatività»
afferma di essere giunto ai suoi innovativi concetti non attraverso
l'osservazione sperimentale, né per mezzo dei calcoli matematici, bensì
sulla base di "un puro gioco inventivo". E nell'autobiografia
Einstein rivela che il segreto della sua "genialità" sta
proprio nella capacità sempre mantenuta, a dispetto dell'età, di vivere
con lo stesso stupore infantile anche i fenomeni della natura che ai più
appaiono banali, ma che allo sguardo del bambino celano forze invisibili e
incantate.
Fedeli al motto di Wittgenstein, per il quale «il matematico è un
inventore, non uno scopritore», alcuni calcoli matematici sembrerebbero
dimostrare la possibilità di far viaggiare messaggi verso il passato.
Insomma, un sogno della fantascienza trova sostegno nell'universo dei
matematici che si sono impegnati a dimostrarne l'esistenza logica.
Esperimenti immaginari, acrobazie razionali che non sembrano poi così
distanti dal mondo di Alice. Un universo magico, nato dall'immaginazione
di Lewis Carroll, dietro al quale si nascondeva Charles Dodgson,
matematico e maestro del nonsense.
Magia e razionalità sono due dimensioni umane che si influenzano
reciprocamente, anche nell'itinerario di quella filosofia e di quella
scienza che intendevano porsi come sistema assoluto.
In molte scoperte ha svolto un ruolo determinante il caso. Leo Sternbach,
un chimico farmaceutico alla ricerca di una sostanza dall'effetto
tranquillante più efficace e selettivo rispetto a quelle fino ad allora
disponibili, stava per distruggere il lavoro che ave va compiuto fino a
quel momento senza frutti, e decise di iniettare l'ultima molecola
sintetizzata in un animale, proprio per dare la prova alla sua casa
farmaceutica che la famiglia di sostanze su cui si era concentrata la
ricerca non era efficace. Ebbene, questo fu l'atto di nascita del Clordiazepossido,
il Librium, prototipo dei tranquillanti minori moderni, noti come
anti-ansia.
Il giovane Pasteur deve la scoperta degli stereoisomeri, molecole
cioè della medesima formula chimica ma con struttura speculare, all'aver
dimenticato una provetta sulla finestra aperta, esposta al freddo delle
notti invernali parigine.
Nel 1928 Alexander Fleming, nel suo laboratorio al St. Mary's Hospital di
Londra, era assillato dalla ricerca di una cura per le infezioni che
attaccavano le ferite. Nel luglio di quell'anno seminò stafilococchi su
un terreno di coltura che lasciò sul tavolo di lavoro al momento di
partire per le ferie. Al suo ritorno stava per scartare le piastre quando,
ad un esame più approfondito, notò che là dove era cresciuta una muffa
inquinante i batteri erano morti.
La muffa si era sviluppata dalle spore che, entrate presumibilmente dalla
finestra del laboratorio, erano cadute sulla piastra lasciata sul tavolo.
Fleming iniziò a studiare quella muffa e la impiantò anche in altre
colonie di stafilococchi, senza tuttavia riuscire ad ottenere l'effetto
registrato sulla coltura iniziale. Il motivo dell'insuccesso venne
chiarito alcuni anni più tardi: la penicillina provoca la distruzione dei
batteri solo quando questi si stanno dividendo e non, invece, negli
organismi maturi. Nel luglio del 1928, dunque, la muffa doveva avere
prodotto la penicillina prima che la colonia di stafilococchi cominciasse
a riprodursi. Il fatto si giustificava sulla base delle condizioni
climatiche: nei primi giorni della vacanza di Fleming, infatti, il clima
era stato fresco e aveva favorito la crescita della muffa, inibendo nel
contempo quella dei batt eri. Successivamente, con l'aumento della
temperatura, la coltura degli stafilococchi aveva iniziato la sua crescita
e i batteri vicini alla penicillina erano morti.
Alla scoperta, che rappresentò una delle pietre miliari del progresso
medico, contribuì dunque non un solo evento causale, ma addirittura una
concatenazione fortuita di eventi accidentali.
Come per la medicina, così anche in ambito chimico molti sono gli esempi
di un simile procedere delle scoperte. Si racconta che August Friedrich
Kekulé, da anni alle prese con la struttura del benzene, lo risolse una
notte del 1865, quando gli apparve in sogno un serpente nell'atto di
mordersi la coda. Improvvisamente ebbe l'intuizione che il benzene doveva
possedere una struttura ciclica, esagonale per l'esattezza, e non lineare
come a quei tempi si riteneva fosse la configurazione di tutte le
molecole.
Infine, esistono curiosi episodi, veri o presunti, sull'illuminazione di
Galileo Galilei, il quale intuì le leggi del pendolo nel Duomo di Pisa
osservando casualmente l'oscillazione di una lampada e della mela di
Newton (mela che, cadendo dall'albero, svelò allo scienziato inglese la
legge di gravità). E a proposito di Newton, va ricordato che la sua
cosmologia meccanicistica si è nutrita tanto della metafisica
razionalista e dell'atomismo quanto della tradizione ermetica e alchemica.
Caso, fortuna, intuizione o sogno rivelatore: pare quasi fatale che il
procedere scientifico si scopra legato ad una dimensione magica. Al ruolo
del caso nelle scoperte scientifiche si dedicano oggi convegni, nei quali
ci si interroga se sia possibile "aiutare la fortuna"
potenziando quelle strategie mentali di tipo creativo che sembrano
favorire gli scienziati nelle scoperte inaspettate. E' stata persino
coniata una parola, "serendipity", per indicare la facoltà di
imbattersi in scoperte inattese. Nell'inventare il termine ci si è
ispirati all'antica leggenda dell'isola di Ceylon - oggi Sri Lanka -
detta: «I tre principi di Serend ip», personaggi che avevano la bizzarra
capacità di trovare ciò che gli altri cercavano senza successo.
Esiste una vera e propria "teoria dei giochi" elaborata da von
Neumann (matematico) e da Morgenstern (economista), secondo cui intercorre
analogia tra il comportamento degli uomini d'affari e quello degli
appassionati di giochi di strategia. Entrambi, insomma, mirano al
risultato più favorevole, ricorrendo ad una sorta di elaborazione
statistica sulle intenzioni degli avversari e le possibili reazioni di
fronte a mosse specifiche. Questo modello operativo ha avuto anche
larghissima applicazione in campo militare, dove la guerra presenta forte
affinità con i giochi di strategia.
Il bisogno di dominare il caso è alla base di moltissimi giochi, sebbene
non sfugga all'uomo il fascino estremo della superiorità d'una forza che
lo trascende.
Così, se il potere della roulette sta nell'imponderabilità dello slancio
della pallina fino a quando il croupier non annuncia il numero su cui essa
va a fermarsi, nel biliardo è l'abilità dell'uomo a far muovere la palla
d'avorio, risolvendo - inconsapevolmente - complicati problemi di fisica
dei corpi.
A questo gioco, sommo tentativo di controllo della causalità, sono stati
dedicati studi accurati, tra cui merita menzione quello del matematico
francese Coriolis che, nel 1835, pubblica la sua «teoria matematica degli
effetti nel gioco del biliardo», dove vengono enunciate alcune leggi
fisiche, note tuttora come "leggi di Coriolis".
Se lanciamo ripetutamente in aria una moneta, nel gioco a testa o croce,
possiamo prevedere quante volte uscirà un lato o l'altro della moneta? La
risposta istintiva è negativa, perché il risultato ci appare del tutto
casuale.
Così pensava anche il naturalista francese Buffon, quando dedicò alcune
settimane del suo prezioso tempo in questo "rompicapo",
lanciando per più di quattromila volte in aria una moneta e registrando i
risultati di ciascun tentativo. La conclusione cui giunse fu sorprendente:
infatti, i lanci di segno opposto non si distribuivano a capriccio, ma con
uno scarto minimo rispetto all'equilibrio perfetto, ossia metà dell'uno,
metà dell'altro.
Insomma, il gioco si affida al caso che mostra di avere molta
"logica".
testo integrale tratto da
"Avvenire" - 30 settembre 2003