IDEE
I grandi maestri sono Costanzo, Funari, Maria De Filippi. Non si esita a portare in scena l'intimità delle persone, meglio se torbida. Cercando scintille

In tv pensare è un handicap

Talk show e dibattiti non arrivano mai a risolvere un problema. Quello che fa audience è il conflitto, meglio se urlato: non c'è spazio per i ragionamenti. Nella chiacchiera televisiva vincono sempre i personaggi, mai le idee

di Vittorino Andreoli

Alla ricerca delle «figure» ormai classiche eppure sfiguranti del piccolo schermo, si incontra subito la chiacchiera: termine onomatopeico che richiama il rumore, a differenza della parola che nel suo significato originario racchiude un senso e appartiene alla radice stessa di parabola. La chiacchiera semmai è parola imposta ad alta voce, emessa a ritmo accelerato e poi, al momento giusto, sparata con efficacia per colpire e sopraffare ogni altro rumore.
Non si tratta dunque dell'uso tipico della parola in un contesto discorsivo, con la volontà di dimostrare una tesi, di ragionare, o raccontare un evento. Proprio l'esatto contrario: non c'è alcuna tesi, semmai un'identificazione nel suono in modo che la propria parola contrasti quella dell'interlocutore dato, meglio di una co-presenza in video, dal momento che manca persino la voglia di relazionarsi.
Ma procediamo con ordine. In primo luogo la chiacchiera è conveniente all'editore, basta ambientarla in una scenografia opportuna, fa audience e non costa nulla. Chi offre il proprio apparato fonatorio, in genere, non esige denaro, semmai un'educata accoglienza e, per chi viene da lontano, un letto per far riposare le corde vocali la notte. Chi partecipa è già gratificato dall'andare in video.
In secondo luogo, diversi sono i format in cui la chiacchiera viene usata, ed il contesto finisce per essere spesso più rilevante dell'emissione sonora. Due i contesti principe: il dibattito televisivo e il talk show.

Il dibattito è uno spettacolo costruito su più partecipanti (da quattro a otto) in modo da rappresentare posizioni precostituite e contrapposte: una simil-baruffa stando seduti in poltrona. L'argomento può essere sociale oppure politico. Le voci quelle di esperti, cioè di persone note per posizione professionale, oppure perché costruite dal video. Alla parola usata da uno, l'altro risponderà puntualmente nella maniera contraria e quindi due chiacchiere si incrociano facendo scintille. L'attenzi one non va tanto sui contenuti, ma nel sostenere esattamente l'opposto di quanto pronunciato dall'avversario senza del quale si fermerebbe la macchina televisiva. Importante è giungere sempre alla quasi-offesa personale, alla quasi-ingiuria per scaldare le gole e far uscire chiacchiere appuntite, parole di fuoco, bestemmie civili. Un esempio di tema sociale è dato dagli extracomunitari, dalla sanità, dalla follia. Per i temi politici tutto è possibile poiché lì non c'è limite: di grande attualità è la giustizia, il conflitto di interessi, le tasse. Un dibattito speciale diventa spesso quello sportivo, nella fattispecie il calcio, con la contrapposizione di tifosi disposti a difendere fino alla morte la propria squadra e a disporre fino alla follia il tre-quattro-tre contro il due-quattro-quattro: disposizione blasfema, demoniaca.
Il dibattito televisivo è, insomma, una battaglia di parole che si svolge tra i presenti sulla scena che parlano tra loro, davanti ai telespettatori. Tecnicamente perseguono un duplice scopo: il primo riguarda l'interlocutore e il secondo invece i telespettatori. Che poi sono due diverse lunghezze d'onda. Uscire vincitore rispetto agli altri boxer delle chiacchiere e pronunciare chiaramente gli slogan per il pubblico, usarli con sonorità e sequenza convincenti, non per significato o forza argomentativa.
Ognuno deve tentare di impedire all'altro di parlare, facendo in modo che le sue chiacchiere siano ridotte a sottofondo delle proprie, bisogna saper attirare l'attenzione del pubblico, e per farlo oltre ai suoni verbali serve una gestualità clownesca, di solito molto efficace. Utilissimi i movimenti del corpo, l'alzarsi, toccarsi i capelli con un gesto deciso come di una falce che potrebbe tagliare l'erba di un prato di montagna. Ci sono poi degli artifici che non riguardano la dotazione del corpo, ma appartengono all'abbigliamento. E allora una giacca particolare, una cravatta o una camicia a colori impazziti, ma anche distintivi che spa rano luce (bene ad esempio un anello vistoso e luciferino).

Insomma, tutto conta escluso il pensiero, escluso l'aver maturato una profonda convinzione e una propria visione ragionata, o fondata sulla esperienza, circa il tema sociale o politico di cui si parla. E che rimane un pretesto, un riferimento rituale per spingere a sintonizzarsi su un problema del momento che può aver coinvolto i pensieri o le preoccupazioni della gente.
La sequenza efficace è determinata dall'effetto sonoro, non del periodare coerente, che non può risultare poiché i tempi dell'intervento sono sempre di frazione di secondo, e sempre in un vociare sparato. Pensare non solo non serve ma è un handicap, poiché uno viene distratto dai concetti e non è concentrato sul gioco di emissioni verbali che girano e che bisogna neutralizzare e colpire. Si tratta di un baraccone in cui uno deve sparare non appena appare qualcosa che si muove. Le cartucce sono le chiacchiere che colpiscono altre chiacchiere. Un videogioco dove girano sillabe e consonanti per colpirne altre e l'effetto è proprio il rumore dei colpi e il frastuono dei cocci che cadono per terra. Una parola viene frantumata e i frammenti si amalgamano in coacervi verbali che cadono morti come pezzi di un pupazzo di terra cotta colpito al luna park.
Qui certo non c'è bisogno di persone pensanti, ma di mitraglieri della parola, gente che fa parte dell'artiglieria pesante. Qui non servono gli autori di programma (se non per scegliere le persone), basta un conduttore il quale non sa granché sul tema ma conosce bene le contrapposizione dei partecipanti, la voce di ciascuno e il modo di sparare. Basta sia capace di guidare la danza, per cui appena si affaccia un po' di silenzio deve far sparare un colpo da 90 oppure una raffica da contraerea. Talora il conduttore a sua volta grida per chiedere di diminuire il caos che egli stesso ha scatenato, ricordando che a casa non possono capire se si urla tutti insieme, ben sapendo che in realtà non c'è nulla da capire. Se poi gira qualche schiaffo o qualche parolaccia perchè stupirsi?, tutto serve, come serve subito condannare quel coup de mots che si è voluto.

La chiacchiera è l'anima anche del talk show che si divide a sua volta in due grandi categorie: il talk show conflittuale e quello intimo. Il primo non si differenzia molto dal dibattito televisivo pur se non si prevedono esperti, oppure sono mescolati ad un pubblico generico, quello della strada o dell'ordinario. Anche in questo caso lo scopo non è risolvere delle contrapposizioni, ma fomentare divisioni. È da rilevare infatti che la tecnica è partire da un tema, per poi fondarsi su chi parla, sulla sua personalità e quindi si promuovono accuse che sanno di ferita e richiedono frecce appuntite e velenose per rispondere con efficacia. Tipici sono i talk show di Funari, di Maurizio Costanzo.
Il conflitto può non essere quello sociale o politico, ma centrarsi sui comportamenti umani, su come uno si è comportato con la propria moglie, e formare il gruppo di chi sostiene che ha sbagliato lui e quello di chi giura che ha sbagliato lei. Viene in mente subito Maria de Filippi e la retorica che gioca attorno a una storia privata che viene distrutta e banalizzata, per lo spettacolo delle parole, per dare vita a chiacchiere. Tema specifico diventa l'intimità, la vita privata. L'intimo preferito è erotico o passionale, ma vanno bene anche le avventure in ospedale e un'operazione ai testicoli. Uno racconta la propria storia e poi tutti i presenti intervengono per illuminarla, per dire cosa avrebbero fatto al suo posto. Anche in questo caso l'abilità del conduttore è tirare fuori la parte di storia più passionale o meglio gridabile.
Le esigenze della scena vengono sempre prima di quelle dell'intimo e quindi la storia e il soggetto che la racconta sono strumentalizzati e ricondotti all'effetto della scena. Ancora una volta sia la storia che il suo protagonista servono al risultato, e la situazione non è diversa da quella che si crea con un attore o una comparsa se non perché il costo è zero.
In tutti questi casi a dominare sono le chiacchiere, le corde vocali che le emettono, mentre è del tutto superfluo il cervello. Non ci si deve meravigliare della presenza di molti intellettuali: una categoria di ventriloqui, dotati di uno stomaco parlante: uno stomaco al posto del cervello

testo integrale tratto da "Avvenire" - 15 luglio 2003