PACE
I ragazzi di Nassiriya
di Gino Strada
Ho lasciato l'Afghanistan pochi giorni
fa. Quando sono partito, Fahim Khan era agonizzante nel reparto di
rianimazione. Diciannove anni, dilaniato da una bomba non lontano dal
palazzo reale di Kabul, mentre stava tentando di rimettere a posto la
propria casa danneggiata dai bombardamenti. Sono partito con negli occhi
il padre di Fahim, seduto a fianco del figlio in silenziosa disperazione.
Fahim e suo padre mi sono tornati in mente ieri mattina, quando il
responsabile di Emergency mi ha chiamato da Baghdad per dirmi della strage
di Nassiriya. Altri ragazzi come Fahim, fatti a pezzi da un'altra
esplosione. Ragazzi italiani. Ho pensato ai loro padri, lontani migliaia
di chilometri, che forse non vedranno neppure i resti dei propri figli. «Nessuno
è così pazzo da preferire la guerra alla pace: in tempo di pace sono i
figli a seppellire i padri; con la guerra tocca ai padri di seppellire i
figli» scriveva Erodoto nel quinto secolo prima di Cristo. La follia
della guerra è tutta qui: qualche decina di ragazzi si sono svegliati
ieri mattina in Iraq, e ieri sera non sono andati a letto, non ci sono più.
Hanno iniziato il grande sonno, come altri milioni di ragazzi prima di
loro, in Afghanistan e in Cecenia, in Congo e in Kosovo e nei mille luoghi
di violenza del nostro pianeta: sottratti alla vita non da un male
incurabile ma dalla volontà e per opera di altri esseri umani. Ogni volta
che la guerra si porta via una vita umana è una sconfitta, per tutti,
perché ha perso l'umanità, perché si è persa umanità. Il rispetto per
i morti, per il dolore dei loro congiunti può e deve provocare una
riflessione di tutti, anziché la polemica di alcuni. Dobbiamo tutti
prendere atto che si è al di fuori della ragione, ogni volta che i
rapporti tra esseri umani si esercitano con la forza, con le armi, con
l'uccisione. L'umanità potrà avere un futuro solo se verrà messa al
bando la guerra, se la guerra diventerà un tabù, schifoso e rivoltante
per la coscienza e per la ragione.
testo integrale tratto da"Il Manifesto" - 13 novembre
2003