I cristiani non sono una fortezza assediata

di Enzo Bianchi

Sono passati ormai quattro anni dalla pubblicazione del libro Le christianisme en accusation di René Remond, libro che aveva sorpreso per la sua denuncia dell’instaurarsi in Francia di una situazione ambigua: da un lato un’indubbia crescita di interesse, quasi una scoperta culturale del cristianesimo ma, d’altro lato, l’attestarsi di una sorta di discredito, un levarsi di accuse se non un processo nei confronti di un cattolicesimo peraltro in declino a causa della secolarizzazione sempre più invasiva. Secondo le acute osservazioni di Remond, questo avveniva perché era venuta meno l’armonia regnante tra insegnamento morale cattolico e valori riconosciuti dalla società in quella lunga stagione in cui gli imperativi tradizionali della morale privata non erano messi in discussione da nessuno.

Oggi in Francia, in una situazione segnata dall’indifferenza, una religione divenuta minoritaria come la cattolica appare, a una cultura che vuole e pratica la liberazione dei costumi e che si è dotata di altri giudizi morali sui comportamenti individuali, un soggetto minaccioso che vorrebbe impedire l’esercizio di libertà ormai ritenute conquiste della civiltà occidentale. Si può anche dire che l’importanza che il fattore religioso sta inaspettatamente assumendo ovunque – dopo che la modernità materialista aveva dato per finita la religione – generi nei “laici” un timore, facendo risorgere un vecchio anticlericalismo. Sta di fatto, però, che in Francia la laicità, così tradizionale e caratteristica per quel paese, mostra un’incapacità a evolversi e a tener conto dell’evoluzione della religione e dei suoi soggetti, finendo per assumere i tratti di un laicismo che vuole assolutamente relegare la religione nel privato, lasciandogli soltanto uno spazio individuale ed escludendolo da quello pubblico in cui tutti costruiscono la polis.

Allora, per reazione, anche in Italia ci si interrogò se non ci si trovasse nella condizione del cattolicesimo francese: da parte mia intervenni negando che qui da noi si andasse configurando una situazione di discredito o di opposizione nei confronti del cattolicesimo. Tuttavia, mi parve che il libro di Remond arrivasse a intravedere un conflitto che certamente avrebbe interessato i paesi europei. Oggi possiamo dire che in Francia, soprattutto dopo la legge sulla laicità che manifesta una posizione laicista assunta apertamente dallo stato nei confronti delle religioni, si registra un urto, anche se non un conflitto. Nei giorni scorsi, il presidente della Conferenza episcopale francese, mons. Ricard, con grande sapienza ed equilibrio ha detto che la chiesa francese “non vuole negoziare un posto nella società, non vuole trasformarsi in fortezza assediata anche di fronte a ostilità, derisione, aggressività… Non resterà muta né si lascerà paralizzare, ma chiederà la possibilità del riferimento pubblico alla fede e della manifestazione della religione nella polis”.

Questa affermazione mi pare cogliere il vero problema: le religioni possono essere accusate di proselitismo o di intolleranza o di discriminazione quando esprimono in pubblico le loro convinzioni etiche, il loro sguardo sull’uomo e sul mondo? In una società pluralista, in cui le differenti convinzioni devono potersi manifestare e confrontare, le religioni sono legittimate a esprimersi pubblicamente senza diventare gruppi di pressione e senza pretendere che le proprie convinzioni debbano diventare legge per gli altri che non fanno riferimento a una fede? Oppure saranno per questo tacciabili di operare discriminazioni? Ci sarà la possibilità per i cristiani di dire pubblicamente il loro disaccordo senza organizzarsi in crociate e senza indurire la propria identità arroccandosi in un’opposizione ostile alla società?

Da noi, in questi giorni, si parla e si scrive ovunque sulla laicità delle istituzioni italiane ed europee e si è giunti a dipingere come reale una situazione penalizzante i cristiani che nei fatti in Italia non esiste. In assenza di una salda identità cattolica, si è giunti addirittura a parlare di una “inquisizione laica”, di discriminazione oggettiva nei confronti della chiesa cattolica, di ostracismo, di persecuzione… Affermazioni simili, rincresce doverlo confessare, oltre a non essere aderenti alla realtà, rischiano di fomentare un vittimismo tra i cristiani, di suscitare una nuova opposizione di questi nei confronti della modernità, e di far crescere la diffidenza dei laici nei confronti del fatto religioso. La nostra società è sempre più pluralista per religione, morale, costumi: in essa il cristianesimo deve vivere e collocarsi senza logiche di inimicizia e di creazione di un avversario. In verità, non siamo di fronte a nessuno scenario da incubo, nessuna emarginazione né dei cristiani, né dei cattolici, ma a una nuova situazione in cui cristiani, appartenenti ad altre religioni e “laici” devono vivere il confronto su tematiche inedite. In questo confronto, è fisiologico che appaiano anche posizioni anticlericali e anticristiane, ma ciò che si chiede è che esse restino lontane dal pregiudizio, dal disprezzo e dall’intolleranza.

In una società pluralista, tutti sono esposti al confronto e alla critica, tutti obbligati a elaborare ragioni nell’agorà pubblica, e i cristiani devono imparare a esprimersi in termini che non siano né dogmatici, né soltanto sostenuti dalla loro fede, devono usare un linguaggio antropologico, tale da essere comprensibile anche dagli altri e capace di mostrare le “ragioni umane” che sostengono le loro posizioni e le loro scelte. I cristiani non possono condurre le loro battaglie trincerandosi dietro i dogmi e usando come arma la loro dottrina: è questione, innanzitutto, di custodia della fede e delle sue parole più proprie e, d’altro canto, di termini e di modalità di dialogo capaci di mostrare che il cristianesimo è sempre al servizio dell’umanizzazione di ogni persona e della collettività, al servizio della costruzione di un mondo più abitabile segnato da giustizia, pace, rispetto del creato e della dignità umana. Ci sono convinzioni alle quali i cristiani non possono rinunciare e sono quelle su cui si accende in questi tempi il confronto: etica sessuale e matrimoniale, aborto, eutanasia, bioetica… Con forte determinazione, ma anche con umiltà, i cristiani hanno il diritto di esprimere pubblicamente le loro convinzioni in merito, di proporle e di vederle recepite senza preconcetti nel dibattito per la formazione delle leggi.

Non dimentichiamoci che in una società pluralista che si vuole democratica, le leggi si costruiscono con gli altri e che, sovente, il legislatore può solo stabilire il male minore. Se i principi e le scelte religiose diventassero legge imposta agli altri, avremmo un totalitarismo religioso non dissimile, almeno nelle dinamiche di fondo, dai tanto esecrati atteggiamenti teocratici e integralisti di altri ambiti religiosi. Occorre allora salvaguardare assolutamente la libertà d espressione di tutti, ma il confronto deve avvenire con linguaggi sempre rispettosi della dignità di ogni uomo, mai discriminatori e dispregiativi: così, se secondo la tradizione cristiana un determinato comportamento contraddice alla dignità e alla qualità della vita umana, i cristiani esprimeranno la loro ferma opposizione, senza però mai disprezzare o condannare gli individui che assumono tali comportamenti  contraddicenti l’etica cristiana.

Esistono certo in Europa gruppi anticristiani anche aggressivi e intolleranti, ma non confondiamo la loro azione, a volte anche efficace, con quella delle istituzioni comunitarie. Le chiese nel nostro continente non solo non subiscono alcun ostracismo da parte delle istituzioni europee, ma sono anzi partners rispettati e il loro ruolo specifico è esplicitamente e giuridicamente riconosciuto dalla stessa carta costituzionale.

I cristiani allora siano vigilanti, sappiano risolutamente contribuire alla costruzione della polis, fedeli all’ispirazione della loro fede, sappiano proporre, dire e anche personalmente vivere ciò che per loro è irrinunciabile a causa del Vangelo, ma sempre senza arroganza e intolleranza. Se i cristiani mostrassero tratti di clericalismo, se volessero imporre a ogni costo i loro principi in una società che è post-cristiana, allora finirebbero per contribuire ad alimentare l’inimicizia. Quando alcuni cristiani negano la possibilità di un’etica a chi non è credente in Dio, quando vedono nella società odierna solo frammentazione di valori, nichilismo e cultura di morte, allora contribuiscono non al confronto ma allo scontro e acuiscono le lacerazioni interne alla stessa comunità cristiana. Si è tanto parlato di scontro di civiltà e culture ad extra, stiamo attenti a non fomentarlo all’interno delle nostre società: sarebbe anche questo un segno della barbarie sempre più invadente.

testo integrale tratto da "La Stampa" - 13 novembre 2004