Conquistare
o distruggere. La strategia degli Stati Uniti non potrebbe essere
più chiara. L’attacco é in corso da tempo ma pochi sembrano
averne compreso la gravità. L’obiettivo non é una città
irachena in mano agli insorti ma nientemeno che l’organizzazione
delle Nazioni Unite. Da molti anni, il Palazzo di Vetro era sotto
assedio. L’assalto a Boutros Boutros Ghali, capo dell’Onu dal
1990 al 1995, aveva inferto un colpo mortale all’integrità,
obiettività e indipendenza del Segretariato generale. Soffocata
finanziariamente e trascinata sull’orlo della bancarotta per il
mancato pagamento delle quote dovute dagli stati membri, l’Onu
ha dovuto smantellare molte delle sue attività costringendo le
sue agenzie a dipendere quasi esclusivamente dai contributi
volontari degli stati. Privata dei fondi necessari per adempiere
al proprio mandato ed espropriata dei poteri e delle missioni che
la Carta le aveva assegnato, l’Onu é stata progressivamente
marginalizzata sia nel campo della sicurezza che in quello dello
sviluppo a vantaggio delle grandi potenze e delle istituzioni di
Bretton Woods. Quello che doveva essere "il centro di
armonizzazione delle azioni tra le nazioni", la sede del
negoziato e delle decisioni su scala globale, é stato ridotto ad
una società di dibattiti. Tutte le proposte di riforma,
rafforzamento e democratizzazione sono state sistematicamente
bocciate, gli sforzi di miglioramento sono stati boicottati.
Allo stesso tempo, l’intero sistema delle Nazioni Unite é stato
oggetto di una pesante campagna denigratoria e di disinformazione
che ha diffuso una percezione negativa dell’Onu nell’opinione
pubblica mondiale. Dopo aver subito lo schiaffo del Consiglio di
Sicurezza che nel 2003 si é rifiutato di autorizzare la guerra
contro l’Iraq, il governo degli Usa ha deciso di sferrare
l’attacco finale. Gli storici ci racconteranno i dettagli dello
scontro. Preso in ostaggio il Segretario generale, Kofi Annan (con
il pretesto dello scandalo Oil For Food), sono iniziate le grandi
manovre di conquista del Palazzo di vetro. Dicono i pochi
osservatori accorti che le battaglie si stanno conducendo stanza
per stanza. Obiettivo: insediare nei posti chiave i propri uomini
di fiducia. Così, in pochi mesi l’amministratore americano
dell’Undp, Marck Mulloch Brown, diventa capo di gabinetto di
Kofi Annan e ne ristruttura completamente lo staff; Ann M. Veneman,
ex ministro dell’agricoltura di Bush e convinta
neoconservatrice, diventa la nuova direttrice esecutiva dell’Unicef;
James T. Morris, uno dei fedelissimi della Casa bianca, diventa il
capo della Fao, e Christopher B. Burnham, fiduciario del partito
repubblicano ed entusiasta sostenitore di Bush, assume la carica
massima di vicesegretario dell’Onu, incaricato della gestione
del personale. E’ lui a parlare chiaro: "Sono venuto qui
perché me lo ha chiesto la Casa bianca. Il mio dovere é di
rendere l’Onu più efficiente. Devo innanzitutto essere leale
con gli Stati Uniti".
La posta in gioco é altissima, lo scontro duro, e Bush dimostra
di fidarsi solo dei suoi fedelissimi neocons. Per questo impone,
nonostante le resistenze del Senato, il superfalco nemico giurato
dell’Onu, John Bolton, quale proprio ambasciatore alle Nazioni
Unite. Per la Casa bianca, l’Onu ha un futuro solo se serve agli
interessi degli Usa. Per questo deve essere radicalmente
riformato. "Questo é il momento giusto per agire",
hanno dichiarato Newt Gingrich e George Mitchell, presidenti
bipartisan della task force incaricata dal Congresso degli Stati
Uniti di preparare il rapporto "Gli interessi americani e le
Nazioni unite". "La grave crisi dell’Onu offre delle
straordinarie opportunità che vanno colte al volo". In
apparenza, il discorso dell’amministrazione americana é persino
convincente. "L’Onu -si sente ripetere continuamente- é in
crisi perché é stata gestita male. Si sono sprecati molti soldi.
E’ diventato un carrozzone burocratico. Spesso é condizionato
da regimi dittatoriali che ne paralizzano l’azione. La sua
struttura é anacronistica. Ha fatto alcune cose buone ma ha
mancato molti dei suoi obiettivi. Mentre a New York si curano i
mal di pancia dei diplomatici, in Darfur si muore. L’Onu é
sempre meno credibile. C’é anche un problema morale. Ci sono
stati scandali che hanno coinvolto alti funzionari. Altri caschi
blu si sono resi colpevoli di violenze sessuali. Insomma, o l’Onu
cambia o é condannato a perdere ogni residua credibilità e a
morire. Noi americani possiamo riparare l’edificio,
rinvigorirlo, liberarlo dalle incrostazioni, adeguarlo alle sfide
del nostro tempo, renderlo efficiente ed efficace".
Nella sostanza, gli Usa vorrebbero ridisegnare completamente le
missioni dell’Onu assegnandole un solo compito veramente
importante: autorizzare o approvare l’uso della forza da parte
degli stati, singoli, "coalizioni di volonterosi" o
organizzazioni regionali, tutte quelle volte che si rendesse
necessaria un’azione militare "preventiva" o
"protettiva" di fronte a una minaccia non imminente o
latente o di fronte al pericolo di genocidio o atrocità affini.
Un vero e proprio stravolgimento della Carta dell’Onu e delle
sue funzioni. Anziché operare per "preservare le future
generazioni dal flagello della guerra", l’Onu diventerebbe
così il luogo dove discutere se dare il via a questa o quella
guerra. Nessun vero ruolo nella prevenzione e soluzione dei
conflitti. Nessun ruolo in campo economico. Un pò di peacekeeping
(ma solo ed esclusivamente con personale messo a disposizione di
volta in volta dagli stati o dalle coalizioni regionali), un pò
di peacebuilding (ma senza alcun ruolo per la società civile che
invece si é contraddistinta per la sua efficacia), un pò di
aiuti umanitari per quelli che muoiono di fame o di qualche altra
catastrofe naturale, in stretto rapporto con la Banca Mondiale
guidata da Paul Wolfowitz, architetto della guerra in Iraq.
Nell’interesse dei contribuenti americani, all’Onu viene
richiesto naturalmente di combattere il terrorismo, di impedire
che armi di distruzione di massa possano finire in mani sbagliate,
di promuovere la democrazia nel mondo e il rispetto dei diritti
umani. Tutti obiettivi sacrosanti che gli Usa si propongono di
raggiungere imponendo all’Onu di adottare gli stessi metodi e
strumenti di interventismo militare della politica americana.
L’idea
di fondo é che l’Onu non dovrebbe più essere la casa di tutti
ma la "Casa delle democrazie" che, agendo di concerto,
potrebbero impedire e sanzionare terrorismo, genocidi e violazioni
dei diritti umani. Per coltivare questo disegno, gli Stati Uniti
propugnano anche un’ampia riforma istituzionale che include: la
definitiva degradazione dell’Assemblea generale e la sua
trasformazione in un forum permanente per dibattiti inconcludenti;
la trasformazione del Segretario generale in un manager sotto il
controllo dei maggiori paesi contribuenti; il controllo del
bilancio di ogni singola attività, anche attraverso una
commissione esterna; la possibilità di controllare i bilanci
anche da parte delle Agenzie investigative degli Usa e del
Congresso americano; la riduzione del personale direttamente
assunto dall’Onu (e che ne dovrebbe garantire l’indipendenza);
l’assunzione di nuovo personale solo a tempo determinato;
l’aumento del personale fornito direttamente dagli stati (che in
questo modo aumenterebbero la loro capacità di promuovere i
propri interessi all’interno dell’organizzazione e,
ovviamente, tenerla sotto controllo); l’apertura delle porte
dell’Onu ai privati e la chiusura ai parlamenti, alla società
civile e agli enti locali.
Che fare?
Primo.
Per quanto l’assalto degli Usa possa sembrare invincibile,
l’esito della battaglia non é affatto scontata come non lo é
stato il voto sulla guerra in Iraq. E’ vero che gli stati sono
ricattabili e si lasciano ricattare ma a tutto c’é un limite.
Secondo.
Nessuno può arrendersi all’idea che l’Onu diventi uno
strumento dei più forti e del loro unilateralismo. Molte delle
grandi sfide dell’umanità sono globali e per vincerle sono
indispensabili soluzioni globali condivise. L’unilateralismo e
il "multilateralismo alla carta" fanno male al mondo.
L’alternativa a un "centro armonizzatore" é il caos
mondiale nel quale stiamo precipitando.
Terzo.
Questo é il momento in cui tutti gli amanti della pace, diritti
umani, democrazia, legalità, giustizia e libertà debbono unirsi
e battersi per salvare, rafforzare e democratizzare l’Onu. La
società civile mondiale impegnata a contrastare miseria e
ingiustizia, unilateralismo e globalizzazione selvaggia, guerre e
terrorismi, deve assumersi questo compito. Un grande ruolo spetta
all’Unione europea (se deciderà di esistere e agire) e a quei
governi del sud del mondo che decideranno di non piegare la
schiena fino a terra. Ma senza la mobilitazione della società
civile é certo che sarà impossibile ridare al Palazzo di vetro
la dignità, l’efficacia e il futuro che deve avere.
Con
questa consapevolezza, dal 7 al 10 settembre, alla vigilia della
Marcia Perugia-Assisi e del vertice delle Nazioni Unite, centinaia
di persone e organizzazioni di tutto il mondo, membri del Forum
Sociale Mondiale e di tante altre reti, si riuniranno a Perugia
nella sesta Assemblea dell’Onu dei popoli per discutere che
fare. Se, com’é prevedibile, il summit di settembre sarà un
disastro, perché non lavorare alla convocazione di una
"Convenzione universale sul futuro dell’Onu" che
riunisca tutti coloro che dell’Onu non vogliono (e non possono)
fare a meno? E se gli Stati Uniti insistono nell’attacco, perché
non promuovere una campagna per il trasferimento del quartier
generale dell’Onu da New York a Roma o, magari, a Gerusalemme?
testo integrale
tratto da "Il Manifesto" - 19 agosto 2005