UN INTERVENTO DEL CARDINALE SILVESTRINI

SUL MAGISTERO DEL PAPA, LE RELIGIONI, GLI INTEGRALISMI

Giustizia e perdono, pilastri della pace

di Achille Silvestrini

Queste riflessioni, svolte nel 25° di pontificato di Giovanni Paolo II, hanno il senso di un omaggio al papa e del riconoscimento di un insegnamento spirituale aperto, additato alla vita delle Chiese.
Il rapporto tra dialogo interreligioso e pace conosce uno sviluppo innovativo con Giovanni Paolo II, sintetizzabile nello «Spirito di Assisi». Nella città di San Francesco, il 27 ottobre 1986, il papa invitò i rappresentanti di tutte le religioni per un incontro di preghiera per la pace.

Con quel gesto, il papa ha chiesto ai rappresentanti delle diverse tradizioni religiose di riscoprire assieme il nesso profondo tra la fedeltà a Dio e la qualità trascendente della pace.
Come il papa stesso ebbe a ricordare poco dopo, parlando alla curia romana, «in quella giornata e nella preghiera che ne era stata l’unico motivo e contenuto, pareva che per un momento si esprimesse anche visibilmente l’unità nascosta e radicale che il Verbo divino ha stabilito tra gli uomini e le donne di questo mondo».

L’evento di Assisi ha favorito una nuova prossimità esistenziale e spirituale tra i principali esponenti delle tradizioni religiose.
La diversità religiosa non è più avvertita come una minaccia per la fede cristiana, ma come l’espressione viva della multiforme ricchezza del mistero di Dio, di fronte alla quale i cristiani sono chiamati ad approfondire la loro fede. Il gesto di Assisi, più volte ripetuto dal papa, sviluppa una nuova sensibilità nel dialogo tra i cristiani e gli uomini di altre fedi e domanda una nuova intelligenza della radicalità cristiana.
Questo tratto spirituale è evidente in tutte le numerose iniziative di dialogo e nei gesti che il papa ha posto all’attenzione di tutti nel corso del pontificato. «Una anticipazione di ciò che Dio vorrebbe che fosse il corso della storia dell’umanità: un viaggio fraterno nel quale ci facciamo compagni gli uni degli altri, camminando verso la meta trascendente che egli stabilisce per noi».

Per questo, dopo l’11 settembre 2001, di fronte alla tragedia del terrorismo e allo spettro di nuove guerre, il papa è tornato ad Assisi per ribadire quel legame interiore tra pace e religioni, per ribadire che il genuino sentimento religioso è una sorgente inesauribile di mutuo rispetto e di armonia fra i popoli. Le preghiere innalzate dai rappresentanti delle religioni mondiali dimostrano che la sete di pace rappresenta un proprium di tutte le fedi che non vogliono essere strumentalizzate da contrasti artificiosi che provocano a loro volta reazioni violente.

Dall’insegnamento del papa emerge con chiarezza che giustizia e perdono sono i pilastri della pace, per questo egli ha chiesto «che le persone e le comunità religiose manifestino il più netto e radicale ripudio della violenza», di ogni violenza. A partire da quella che pretende di ammantarsi di religiosità facendo persino appello al nome di Dio per offendere l’uomo. L’offesa dell’uomo è offesa di Dio.
Su questa stessa linea vanno intese le parole del papa nell’imminenza della guerra in Iraq: «E’ doveroso per i credenti, a qualsiasi religione appartengano, proclamare che mai potremo essere felici gli uni contro gli altri, mai il futuro dell’umanità potrà essere assicurato dal terrorismo e dalla logica della guerra». Il papa crede nella possibilità che le religioni possano purificarsi a partire dal proprio fondamento religioso, oltre ogni forma di integralismo e di fondamentalismo. Per questo chiede e offre perdono.

Un no alle violenze e alle guerre motivato dal valore religioso della pace e preoccupato per le conseguenze culturali e politiche dei conflitti. Una consapevolezza questa sempre più recepita e condivisa non solo dalla Chiesa cattolica ma da tutte le Chiese. L’impatto che si è registrato su tutta la cristianità è stato gravissimo. Ha rivelato una dimensione del ministero petrino che non si conosceva prima d’ora. Improvvisamente da tutte le parti hanno guardato al papa come alla guida morale della cristianità. Si dovrebbe trovare il modo di dare respiro e sviluppo a questa convergenza. Un’ipotesi potrebbe essere una convocazione ecumenica in cui gli esponenti delle Chiese cristiane insieme al papa operino una grande riflessione sulle responsabilità dei cristiani di fronte alla guerra.

Come Assisi è stato il momento della preghiera, una riunione di tale genere dovrebbe permettere ai capi delle comunità cristiane di riflettere insieme su ciò che i cristiani possono fare proponendosi al mondo come spazio in cui si elaborino strategie che, di fronte alla rassegnazione, rispondano con la speranza. Si tratterebbe di individuare soluzioni concrete perché le opere dell’uomo siano vere opere di pace. Bonhoeffer, il teologo evangelico impiccato dal nazismo, asseriva che il credente non può più separarsi dal destino del mondo.

 testo integrale tratto da "La Stampa" - 14 ottobre 2003