Il Papa e i missionari dinanzi ai «tempi tumultuosi» Giustizia per i popoli non elemosine di Vittorio Citterich L'umanità sta vivendo "tempi tumultuosi". Tumulti di violenza. Spirale disperata tra nuovi terrorismi e nuove guerre preventive che, partendo dall'ipotesi avventurosa di "cambiare il mondo" in nome di questa o quest'altra "civiltà superiore", approdano sciaguratamente a sconfitte preventive per tutti. Compresa la riscoperta della tortura contro il nemico prigioniero al quale, secondo gli ordini ricevuti, va "fatto vedere l'inferno". Anche la cosiddetta nuova economia, "new economy", mentre l'umanità attraversa questi tempi tumultuosi, manifesta una prematura senilità perché, nonostante effimere e sin troppo strombazzate illusioni, non riesce a ricomporre la dicotomia del mondo tra l'area dell'abbondanza e l'area della miseria. Insomma sarà anche "new" nei propositi ma non è per niente nuova. La pace è opera della giustizia, se vuoi la pace prepara la pace, questi suggerimenti che dal biblico profeta Isaia raggiungono il magistero dei Papi del nostro tempo (Benedetto XV, Pio XII, Papa Giovanni, Paolo VI, Giovanni Paolo II) rischiano ogni giorno di essere rovesciati. La pace dovrebbe essere opera unilaterale degli imperi, anzi dell'unico impero rimasto. E invece ritorna in auge persino l'antico detto: "se vuoi la pace prepara la guerra". Proprio in mezzo a questi tempi tumultuosi Giovanni Paolo II, consapevole che la guerra, come del resto il terrorismo, sono sciagurate "avventure senza ritorno", ha ricevuto ieri i missionari "che rappresentano un riferimento sicuro per quanti sono alla ricerca della verità che salva". Punto di riferimento e di speranza. "La speranza di cui siete araldi - ha ricordato il Papa - è quella che nasce dalla morte e risurrezione di Cristo. Per questo voi dovete avere una speciale considerazione per quei popoli del mondo dove il dolore è più grande e la necessità più acuta… missionari del Vangelo che predicano la solidarietà e l'amore e si sacrificano per la pace, giungendo a volte fino al dono della vita". In un mondo globalizzato "in cui la sofferenza per la verità e la giustizia oltrepassa ogni confine nazionale" impegnarsi per alleviare il grande bisogno di soccorso di altri popoli vuol dire anche aiutare i popoli di provenienza "ad uscire dalle strettezze dell'egoismo, dal soffocamento dell'abbondanza". Come già diceva Pio XII ,"non si tratta semplicemente di fare elemosine, ma di adempiere ad un dovere insito nella nostra identità cristiana", meditando le parole di Cristo riferite dall'evangelista Matteo: "ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me". I doveri insiti nell'identità cristiana sono molteplici nei tumulti del mondo globalizzato "per portare amore e misericordia a tutte le persone che ci sono fratelli e sorelle nell'unica famiglia umana". Nessuno potrà dire: "Signore, non sono intervenuto per non turbare le norme ortodosse delle culture dominanti nella dicotomia mondiale del disordine costituito". Non si tratta di elemosina ma d'un rinnovamento delle menti e dei cuori. I missionari del vangelo come vedette della barca di Pietro. testo integrale tratto da "Avvenire" - 12 maggio 2004 |