Dove
va a finire il Social forum?
Conclusa
con successo la tappa indiana, che ha portato sulla scena
i
protagonisti dei movimenti di massa, il Wsf 2005 tornerà in
Brasile.
Ma
poi? Africa o Estremo Oriente? Annuale o triennale?
di MARINA
FORTI INVIATA A MUMBAI (BOMBAY)
Alla
fine il Social forum mondiale è sbarcato in centro a Bombay, con
due cortei che ieri hanno attraversato il distretto commerciale
fino a raggiungere la spianata di Azadi Maidan (piazza della
libertà), parco pubblico di fronte alla facciata vittoriana della
stazione ferroviaria centrale. Qui si è svolta la serata degli
addii, con il messaggio videoregistrato di Nelson Mandela e le
considerazioni conclusive di Asma Jehangir - avvocata alla Corte
suprema del Pakistan e attivista della Commissione nazionale per i
diritti umani, organismo indipendente che rappresenta un baluardo
della democrazia nel paese. E poi l'ex presidente indiano K.R.
Narayanan, rappresentante della vecchia scuola di Nehru, quella
dell'India non allineata e attenta allo sviluppo sociale. Infine
la musica, un grande concerto seguito da migliaia di persone
esauste e felici. Esausti e soddisfatti in primo luogo gli
organizzatori. Per loro è una scommessa vinta: alla fine tutto ha
funzionato, nel polveroso comprensorio del Centro esposizioni.
Gautam Modi, uno dei portavoce, ha dato i numeri: 73mila delegati
da 151 paesi, più 24mila lasciapassare giornalieri e circa 8.000
«salta cancelli», persone entrate senza registrarsi e pagare la
quota d'ingresso. I lavori del Forum sono stati seguiti da duemila
giornalisti. Insomma, ogni giorno c'erano almeno centomila persone
tra quei capannoni, molte di più nella giornata d'apertura e
domenica.
«Una grande energia si è raccolta in questo Forum, e una grande
energia uscirà da qui», ha detto ieri sera Asma Jehangir,
parlando un po' inglese un po' hindi. «La vittoria sarà nostra
perché la nostra determinazione è basata su principi solidi».
Mandela offre la lotta sudafricana contro l'apartheid come
simbolo. Jehangir elenca: vogliamo combattere contro la logica
della guerra preventiva, contro l'erosione delle libertà in nome
della lotta al terrorismo, per la giustizia sociale. «Vogliamo
che gli americani escano dall'Iraq. Devono rendere conto di queste
guerre. Non vogliamo basi militari americane, che tornino a casa;
e non vogliamo siano più permesse guerre unilaterali».
L'avvocata pakistana sa di cosa parla: nel suo paese la guerra
afghana ha lasciato due grandi basi aeree Usa e un'ondata di
estremismo islamico che condiziona la politica interna. Nei cortei
e nei cartelli appesi alle cancellate del parco, il no alla guerra
è tema prevalente, insieme agli slogan contro l'occupazione in
Palestina.
La scommessa non era solo logistica, in questa tappa indiana del
Wsf. Il programma completo di queste giornate è un giornale
tabloid di 120 pagine, e Modi sottolinea che la quasi totalità di
quei seminari, dibattiti, mostre o spettacoli è stato
auto-organizzato: il comitato organizzatore si è limitato a
proporre tre o quattro conferenze plenarie ogni giorno. E i
movimenti hanno partecipato, con entusiasmo. Dennis Brutus,
attivista sudafricano con una lunga storia nella lotta contro
l'apartheid, fa notare che «la partecipazione popolare è stata
molto più ampia che nei forum di Porto Alegre»; qui non c'era
qualcuno che parlava a nome di oppressi e sfruttati ma c'erano i
protagonisti a parlare per sé. «Dobbiamo però stare attenti a
non sviluppare una gerarchia e mantenere un processo decisionale
aperto, il Social forum non ha bisogno di comitati centrali».
Il Forum resti uno spazio aperto, ripetono tutti coloro che hanno
avuto un ruolo nel lanciarlo. Respingono l'accusa lanciata da
Mumbai Resistance 2004, il forum parallelo «radicale»: dicono
che il Wsf accetta soldi da fonti americane, «ong» che alla fine
sono veicolo delle politiche di globalizzazione liberista che
vorrebbero combattere. Ribatte Gautam Modi: dei due milioni di
euro spesi per il Forum, soprattutto per l'organizzazione
materiale, tre quarti vengono da contributi individuali o di
gruppi. Il contributo della Fondazione Ford, additata da Mumbai
Resistance come scandalo, non è stato accettato.
Ma la discussione è aperta sul futuro. Bisogna continuare a
riconvocare il Forum ogni anno? non diventa un rituale faticoso?
Walden Bello, direttore di Focus on the Global South (un «pensatoio»
con centro in Thailandia) e uno degli ideatori del Wsf, è
convinto che ormai sarebbe meglio convocarsi ogni tre anni: nel
frattempo si dovrebbero moltiplicare invece i forum regionali, per
mobilitare forze locali. Intanto, sembra decisa la riconvocazione
per l'anno prossimo: si torna a Porto Alegre, anche se molti
avrebbero preferito continuasse a itinerare. Per l'anno successivo
si parla di Africa, ma nessuno si è fatto avanti a proporsi come
organizzatore locale. Qualcuno ipotizza allora altre trasferte
asiatiche, questa volta in Estremo Oriente. Tutto da vedere.
Davanti al palco, decorato da tre giganteschi pupazzi che
ricordano certe bamboline di pezza tribali, sventolano bandiere
della Kctu, il sindacato indipendente sudcoreano: qui ha
attivamente denunciato la precarietà e la riduzione dei salari
che vanno sotto il nome di «flessibilità» del lavoro. Wolfgang
Sachs, del Wuppertal Institute (Germania), nota che il Social
forum mondiale era nato come luogo della critica alla
globalizzazione dell'economia, centralizzata e dominata da poche
istituzioni finanziarie: ma in questa edizione del Forum «sono
entrati da protagonisti i temi dei movimenti popolari, i confitti
sociali, la guerra, il fondamentalismo, i conflitti
etnico-religiosi»: la protesta di Seattle alla fine del 1999 e
poi il Wsf erano riusciti a cambiare il discorso sulla
globalizzazione presso un'opinione pubblica mondiale nascente, ma
ora questa fase è finita. Ora bisogna consolidare la rete
mondiale, tradurre i discorsi globali in azione a livello locale e
regionale. Il Wsf, dice Walden Bello, deve assumere un ruolo più
incisivo pur restando uno spazio aperto; deve lanciare campagne
globali.