"Tempo Perso - Alla ricerca di senso nel quotidiano"
La nuova legge sulla legittima difesa, un'evidente deriva etica Non ci siamo proprio. Questa logica ci è estranea di Giuseppe SavagnoneUna legge può essere
presa in considerazione da diversi punti di vista. Quella che stabilisce
le nuove norme in tema di legittima difesa è stata giustificata o,
viceversa, criticata, prevalentemente in rapporto ai suoi effetti
pratici. Da una parte si è detto che scoraggerà i criminali dal
compiere le loro tristi imprese; dall'altra, che determinerà nel nostro
paese un clima di arbitrio e di violenza, come nel Far West. Per quanto
ci riguarda, siamo più inclini a dare credito a questa seconda ipotesi
che alla prima. Ma non è di questo che qui vogliamo parlare. Ci sembra
più importante interrogarci, piuttosto, sulla visione della vita e
della società che questa legge suggerisce. È vero, infatti, che le
norme giuridiche nascono da bisogni concreti, a cui devono far fronte;
ma altrettanto vero è che esse sono portatrici di prospettive ideali,
di princìpi, la cui ricaduta sul versante sociale è data non solo
dalle loro conseguenze in termini fattuali, ma anche e forse soprattutto
dall'orientamento che imprimono alla mentalità diffusa e al costume. Lo
si è detto, giustamente, a proposito della legge sul divorzio e di
quella sull'aborto; lo si deve ripetere, adesso, riguardo a questa. Ciò
che in primo luogo colpisce, in essa, è lo svuotamento del principio,
stabilito nella precedente formulazione, secondo cui la difesa deve
sempre essere proporzionata all'offesa. Secondo la versione approvata
l'altro ieri dalla Camera, tale proporzione si presume sempre,
automaticamente, se in casa propria o nel luogo di lavoro si usa un'arma
legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere «la
propria o altrui incolumità» oppure «i beni propri o altrui», «quando
non vi è desistenza e vi è pericolo di aggressione». Non è più
richiesto, insomma, il rapporto tra l'entità della minaccia e quella
della reazione. Il ministro della Giustizia, Castelli, ha visto in
questa innovazione una difesa di Abele nei confronti di Caino. Ma, nella
Bibbia, è proprio un discendente di Caino , Lamech, a sfidare il
criterio della proporzione, sotteso alla legge del taglione («occhio
per occhio, dente per dente»): «Ho ucciso un uomo per una mia
scalfittura e un ragazzo per un mio livido» (Gn 4,23). Al di là del
riferimento scritturistico, la misura è stata sempre, nella nostra
civiltà, sinonimo di razionalità e di giustizia. La nuova legge, al di
là dei suoi esiti pratici, sancisce la logica contraria. E questo non
ci pare affatto un passo avanti sulla strada della nostra tradizione
etica, civile e giuridica. Una seconda riflessione è suggerita dalla
circostanza che l'uso delle armi è consentito anche per difendere «i
beni propri o altrui». Nella prospettiva cristiana, a cui per molti
secoli, se pur con alti e bassi, si è ispirata la nostra civiltà, il
valore della vita umana è sempre stato considerato incommensurabile
rispetto a quello degli oggetti. Non per nulla di essa si era soliti
dire che "non ha prezzo". Questa nuova legge capovolge tale
principio e va a confermare la dolorosa deriva etica, oggi purtroppo
sempre più accentuata nella nostra società mercantile, che subordina
la tutela delle persone - fossero pure dei ladri! - a quella dei propri
interessi e delle cose. Il diritto di proprietà, tuttavia, non è
assoluto: esso va sempre riferito al bene comune, in funzione del quale
è posto. Le nuove norme, al contrario, autorizzano a difenderlo senza
limiti. Così, questa legge si pone sulla scia di altre che hanno
segnato, negli ultimi decenni, il progressivo allontanamento del nostro
ordinamento giuridico dalla visione della realtà propugnata dal
cristianesimo. E, al pari di quelle, costituisce una evidente,
drammatica prova che la vera vittima di questo allontanamento è, in
definitiva, la persona umana. testo integrale tratto da "Avvenire" - 27 gennaio 2006 |