Il crocifisso sui muridi Enrico Peyretti Il crocifisso simbolo dell’identità nazionale italiana? Nazionale è solo questo misero ritornello, cantato in questi giorni da una certa categoria di italiani di vasto peso e di orizzonti stretti. Ridurlo a simbolo nazionale: è questa la vera offesa al Crocifisso (con la maiuscola: una persona, non un oggetto appeso a un chiodo), offesa ben più grave che rimuoverne l’immagine da un muro. Quella persona e la sua immagine, semmai, sono simbolo universale della sofferenza dei giusti, simbolo riconosciuto anche da miriadi di non cristiani sensibili alle realtà profonde. In quanto tale, la croce con l’Uomo inchiodato a morirvi è uno dei simboli più noti di tutte le infinite vittime innocenti, di tutti i giusti colpiti e uccisi. Ogni cuore umano può comprenderlo e accettarlo come tale, anche senza farsi inquadrare nelle falangi “cristiane”. Del resto, tanti cristiani usano sì il segno della croce, ma senza la figura del Cristo Crocifisso. La croce era la sedia elettrica di allora, lo strumento della tortura mortale, patibolo riservato agli schiavi. Se Gesù di Nazareth fu ucciso così, l’unico vanto che possono farsene i credenti in lui, è di stare vicini alle vittime del mondo, di compromettersi con gli schiavizzati dai potenti, con gli esclusi dalla vita. Per i cristiani di fede sincera, non di appartenenza sociologica o politica, quel segno è motivo, dopo tutto l’impegno di liberazione nel tempo, di piena speranza per le vittime, perché il cuore della fede cristiana è la convinzione intima che in quella morte del Giusto la vita si affermò sulla morte. Perciò la croce è vista vuota, come il sepolcro di Gesù. Il fatto che anche eminenti esponenti cattolici si sbraccino nel difendere l’oggetto-crocifisso e lo vogliano appeso per una vecchia legge nei luoghi pubblici, indica una triste decadenza della loro fede, ridotta a competizione tra partiti religiosi- ideologici-culturali per il possesso animale del territorio. Né il crocifisso è cosa italiana, né la tradizione italiana si identifica davvero nel crocifisso. Si identifica anche nei crocifissori. Pensino piuttosto, come dobbiamo noi tutti, anche i capi religiosi, gli scribi e i custodi del tempio, a rimeditare il Crocifisso, appeso al legno fuori dalle mura, allora - come talora anche oggi - per un connubio di poteri politici e religiosi. Pensino che la croce è stata usata come elsa della spada, come stemma principesco sulle bandiere di guerra (lo denunciava Erasmo, grande cristiano e uomo di pace nella prima modernità, emarginato dalle chiese), ed è stata piantata in terra come segno di conquista. Con l’oggetto furiosamente appeso in ogni aula, il Crocifisso è sempre più sconosciuto. Mi hanno riferito un fatto che, se non è vero, è terribilmente verosimile: una ragazza cerca in una gioielleria una crocetta da portare, come si usa, appesa al collo. Dopo averne esaminate alcune, dice: «No, vorrei quella con l’omino sopra». Contento, signor cardinale? Enrico Peyretti (27 ottobre 2003) http://www.arpnet.it/regis
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