VITTIME
Iraq,
i costi della guerra
248
i morti americani, oltre 4.000 i feriti, 827 «in azione»
Un centinaio di soldati ricoverati nella base tedesca di Ramstein per
una sconosciuta infezione
polmonare,
due sono già morti. Il comando Usa ammette di aver ucciso quattro
iracheni
«per
errore», ma nelle ultime settimane le
vittime della caccia a Saddam sono centinaia.
3.000
i prigionieri
G.
S.
I costi dell'occupazione dell'Iraq sono
alti (solo per il mantenimento di 148.000 uomini occorrono 4 miliardi di
dollari al mese), per non parlare dei costi in vite umane, il numero
totale dei morti americani di questa guerra - compresi incidenti e suicidi
- è di 248, mentre i feriti ufficiali «in azione» sono 827. Ma il
colonnello Allen De Lane, incaricato del trasferimento dei feriti nella
base aerea Andrews, ha dichiarato alla National public radio: «da quando
la guerra è iniziata ... più di 4.000 sono stati qui a Andrews, e il
numero raddoppia se si contano quelli che sono venuti qui a Andrews e poi
sono stati trasferiti in altri posti come Walter reed e Bethesa». Per non
parlare del centinaio di militari colpiti da una sconosciuta infezione
alle vie respiratorie ricoverati nella base tedesca di Ramstein, di cui
due sono morti. Gli Stati uniti quindi vogliono compartire questi ingenti
costi con altri paesi, ma si rifiutano di cedere sui ricavi. Per
partecipare a quella che viene definita la «ricostruzione» dell'Iraq
infatti i paesi contrari alla guerra - come Francia, Germania e Russia, ma
anche Turchia, India e Pakistan - chiedono l'approvazione da parte del
Consiglio di sicurezza di una nuova risoluzione che coinvolga le Nazioni
unite nel futuro dell'Iraq. Ipotesi che Washington finora rifiuta
sostenendo che è sufficiente la risoluzione numero 1483, già approvata,
che oltretutto ha il vantaggio, per gli Usa, di garantire alle potenze
occupanti la gestione delle risorse del paese (petrolio) finché l'Iraq
non avrà un proprio governo. A lanciare un sasso, per cercare di
sbloccare la situazione, è ancora una volta la Gran Bretagna. «Stiamo
valutando tra di noi - e con gli americani - quali potrebbero essere i pro
e i contro (di una risoluzione dell'Onu)», ha detto l'ambasciatore
britannico John Sawers, rappresentante speciale di Blair a Baghdad giunto
ormai al termine dei suoi tre mesi di mandato. Secondo Sawers i negoziati
per una nuova risoluzione dovrebbero iniziare tra qualche settimana, ma
prima Londra e Washington vogliono conoscere le intenzioni di Mosca e
Parigi, i due paesi che hanno diritto di veto al Consiglio di sicurezza.
In attesa che la situazione si sblocchi, gli Stati uniti stanno procedendo
alla firma dei contratti per la vendita del petrolio e ad appaltare grandi
settori della ricostruzione non ancora ceduti alle americane Bechtel,
Kellog Brown & Root, una sussidiaria della Halliburton, Stevedoring
Services of America, che hanno preso il grosso degli ingaggi. Una gara è
stata indetta in questi giorni per la copertura del paese, diviso in tre
zone, con una rete di telefonia mobile, ma sono escluse le compagnie con
una partecipazione statale superiore al 5 per cento, quindi resteranno
fuori, guarda caso, le telecom della Francia e della Germania. Un mezzo di
ricatto senza dubbio pesante, vedremo se funziona.
I ricatti e il business della ricostruzione che peraltro non va affatto
bene visto che il paese si trova di fatto ancora in una situazione di
guerra, anche se di bassa intensità, non possono però coprire i costi
dell'occupazione. Anche se i comandi Usa continuano a ripetere di essere
vicini alla cattura di Saddam, e sostengono di aver preso nelle ultime ore
a Tikrit due sospettati di «alto profilo» (ovvero vicini all'ex-rais) e
altri due erano stati presi domenica a Baiji, gli attacchi alle truppe
americane non accennano a diminuire. Ieri a Baghdad cinque militari
americani e un interprete iracheno sono rimasti feriti in due diversi
attacchi. Mentre a Khalidiya, a una settantina di chilometri da Baghdad,
tra Fallujah e Ramadi, un veicolo militare Usa e uno di scorta della
polizia irachena sono stati attaccati con razzi anti-carro che però non
sono riusciti a colpire il bersaglio. Altri soldati americani erano
rimasti feriti domenica nella zona di Tikrit, città natale di Saddam,
dove si è particolarmente concentrata la caccia all'ex-rais.
Accanto ai bilanci delle perdite Usa, ieri le autorità statunitensi hanno
dovuto ammettere l'uccisione «per errore» di quattro civili iracheni. Il
fatto risale al 27 luglio, quando gli agenti speciali della Task force 20
diedero l'assalto ad un edificio del quartiere residenziale della
capitale, al Mansur, ritenendo che vi si nascondesse Saddam. Durante
l'assalto gli agenti spararono sulle macchine che passavano nelle
vicinanze, almeno cinque i morti, ma Robert Fisk sull'Independent
aveva parlato di undici. Di morti civili, che non vengono contati, ce ne
sono tutti i giorni. La caccia a Saddam non guarda in faccia a nessuno,
nei giorni scorsi il comando Usa aveva ammesso oltre 300 morti nelle
ultime sei settimane. Sabato scorso una donna è stata uccisa dalle truppe
americane a Baghdad perché si è trovata casualmente a passare sul luogo
di un attacco. Non si tratta delle uniche violazioni dei diritti umani in
Iraq da parte delle truppe di occupazione. Sono circa 3.000 le persone
arrestate dagli americani da aprile. Sono detenuti senza processo. Nel
paese non c'è uno stato e una legge, gli Usa hanno nominato una
cinquantina di giudici, ma in base a quale legge giudicheranno? A Najaf
era stata nominata una giudice donna ma di fronte alla reazione degli
islamisti è stata subito sospesa. Del resto a Najaf, e non solo, sono già
in funzione le corti islamiche che applicano, ovviamente, la sharia.
testo integrale tratto da "Il
Manifesto" - 5 agosto 2003