Dal
papa un'udienza contro la guerra
Wojtyla:
il bene non s'impone con la violenza
e con le campagne militari
di Mimmo de Cillis *
l bene non si impone con la violenza o le campagne
militari. Dio si manifesta sempre nella storia dell'uomo per contrastare
«i disegni di coloro che vorrebbero affermare un loro potere ostile e
prevaricatore». Papa Wojtyla ritorna a marcare il messaggio di pace
generato dalla fede: nell'udienza generale di ieri ha tenuto un intervento
di ordine eminentemente spirituale ma puntualmente riferito alla storia e
ai problemi del nostro tempo. Mentre la cultura che domina la scena
internazionale sembra proporre solo la logica delle armi per contrastare i
mali dell'umanità del terzo millennio, Wojtyla riparte da una lettura
della bibbia per negare l'utilità del militarismo unilaterale, della
risposta violenta, del male che combatte il male. Il «dio degli eserciti»,
sembra dire il papa, oggi non utilizza i carri armati. E lo dice alla
vigilia di un incontro con il Dalai Lama (snobbato invece dal governo
italiano), altra massima autorità religiosa con cui il Wojtyla condivide
una visione etica del mondo, basata sulla pace e sull'armonia universale.
Una visione che promuove il dialogo fra popoli, culture e religioni, il
rispetto del diritto, concetti che Wojtyla ribadirà nel messaggio per la
Giornata mondiale per la pace del 1 gennaio 2004, titolata «Il diritto
internazionale, una via per la pace». Il discorso che un Wojtyla in buona
forma ha proposto ieri alle oltre 9.000 persone che affollavano la Sala
Nervi è partito da un commento del salmo 109, intitolato «Il messia, re
e sacerdote», che parla delle «forze ostili» che saranno neutralizzate
da «una conquista vittoriosa» da parte di Dio.
Il salmo, sottolinea Wojtyla, può apparire violento, in quanto descrive
un re ebraico mentre avanza in una sorta di campagna militare,
schiacciando i suoi avversari e giudicando le nazioni. La preghiera, nota
il papa, «è certamente il riflesso di una situazione politica concreta,
che si registrava nei momenti di passaggio del potere da un re all'altro».
Ma il testo «rimanda a un contrasto di indole generale tra il progetto di
Dio e i disegni di coloro che vorrebbero affermare un loro potere ostile e
prevaricatore. Si ha, quindi, l'eterno scontro tra bene e male, che si
svolge all'interno di vicende storiche, mediante le quali Dio si manifesta
e ci parla». La polarizzazione bene-male è stata ampiamente utilizzata
dall'amministrazione Bush per giustificare l'intervento bellico in Iraq e
non va dimenticato che nel lessico dei leader a stelle e strisce tuttora
vi sono altri paesi appartenenti al cosiddetto «asse del male».
Un'identificazione mai digerita dalla Santa Sede, anche perché ha aperto
la strada per strumentalizzare il nome di dio, tirato in ballo in una
sorta di scontro tra fondamentalismi, per legittimare la violenza.
La specificità del discorso di Wojtyla sta allora proprio nel sostenere
che le armi del bene non sono le stesse con cui si muove il male. E per
puntualizzare il suo pensiero il papa cita un antico commentatore del
salmo 109, san Massimo di Torino (IV-V secolo), che in uno dei suoi
sermoni spiega perché Gesù Cristo, come afferma il salmo, «siede alla
destra del Padre»: «Il Figlio siede alla destra perché, secondo il
Vangelo, a destra staranno le pecore, a sinistra invece i capri».
L'agnello, allora, il non violento, colui che si lascia macellare e si
immola per la salvezza degli uomini, è quello che sta con dio. Tante
volte lo stesso Wojtyla ha alzato la voce, come il salmista, per moniti di
alto valore morale. Con lo stesso tono ha gridato per la pace prima e dopo
la guerra in Iraq. E con voce flebile, ma convinta, ha chiesto «ponti,
non muri!» per la Terrasanta, luogo sacro infiammato anch'esso dalla
violenza e dilaniato da stragi di innocenti.
* Lettera 22
testo
integrale tratto da "Il Manifesto" - 27 novembre 2003