IL MODELLO DI GIORGIO LA PIRA
Beata
politica
di
Leonardo Zega
Se
nel 2004, come tutto lascia prevedere, Giorgio La Pira sarà
proclamato beato, quale «politica» salirà all'onore degli
altari? La domanda è inevitabile, soprattutto per quanti pensano
che santità e politica siano incompatibili per definizione. Chi
ha avuto la ventura di avvicinare La Pira da vivo (è morto nel
1977 e quest'anno è il centenario della nascita) e di percepire
l'afflato di spiritualità che emanava dalla sua persona, sa che
in lui questa dissociazione non è mai esistita. Ricordo un
particolare curioso: il suo attaccamento ai calzini bianchi, che
non smetteva mai, neppure nelle cerimonie ufficiali da sindaco di
Firenze, perché erano - spiegava - il segno esteriore della sua
appartenenza alla grande famiglia domenicana, di cui era membro «terziario»
fedele e osservante.
La Pira era troppo «integro» per poter immaginare una cesura tra
la sua vita pubblica e privata, tra lo studioso e il docente di
diritto romano, cresciuto alla scuola rigorosa di un maestro «ateo»
eppure veneratissimo, il professor Emilio Betti, e il monaco laico
che recitava il rosario tutti i giorni; tra il politico impegnato
nella stesura della Costituzione e «l'operaio dell'evangelo»,
come lui amava definirsi. Anzi era proprio la sua «integrità»,
lontanissima da ogni forma di integralismo e di bigotteria, il
fascino di questo siciliano con l'argento vivo addosso, che aveva
saputo mettere temperamento e intelligenza a servizio della
cultura e dell'impegno civile e religioso, senza secondi fini. Era
l'incanto della sua coerenza a dare forza ad argomenti, prese di
posizione e gesti, che spesso spiazzavano anche le persone a lui
più vicine. Si pensi alla sua battaglia a fianco degli operai del
Nuovo Pignone o al suo viaggio ad Hanoi per incontrare
l'irriducibile Ho Chi Minh.
Oggi le sue «utopie» sono tornate di attualità. Qualche giorno
fa Andrea Riccardi ha ricordato che già negli anni Cinquanta il
sindaco di Firenze aveva intuito che «l'edificazione della pace
fra le Nazioni esigerà sempre più strumenti inediti,
assolutamente nuovi e luminosi, di azione. Il negoziato e il
dialogo sono le strade da percorrere». E che La Pira ha preceduto
di almeno un decennio Karol Wojtyla nel sogno di un'Europa unita
«dall'Atlantico agli Urali».
Non è difficile immaginare che il laico La Pira, con la sua
chiaroveggenza nutrita di Vangelo e fatta a ragione di vita, sia
per Giovanni Paolo II il modello ideale di politico da proporre al
mondo d'oggi. Per questo muore dalla voglia di farlo presto santo:
un politico e un cristiano a tutto tondo, un esempio valido sia
sullo scenario internazionale, dove soffiano venti di guerra non
meno violenti di quelli che scuotevano il mondo diviso da cortine
e muri al tempo della guerra fredda; sia sul fronte interno, in
questa Italia travagliata da un'interminabile transizione e
avvilita da giochi di potere che nulla hanno a che vedere con il
«servizio alla città dell'uomo», che è il compito nobile della
politica senza aggettivi, perché già cristiana.
leonardo.zega@stpauls.it
testo integrale tratto dal "LA STAMPA" - 13.01.2004