IDEE
Bambini,
la guerra è contro tutti
di
Vittorino Andreoli
Io «sono
in guerra»: sento - come sentissi davvero - le
contraeree, il grido delle sirene, le case che crollano, i
bambini che piangono. Sono circondato da quell'atmosfera
infernale, da quell'attesa di fine che incombe e si lega
al caso, al dove cadrà la prossima bomba
"idiota" che farà morti e danni. Sento che
tutto è appeso alla stupidità dell'uomo che ha perduto
ogni senso della vita e giunge ad abbrutirsi fino a
stabilire con le classiche immagini demoniache un
confronto quasi gradevole. Gli attuali vissuti di guerra
mi richiamano i fotogrammi del male che ancora serbo nella
mia memoria di quando - bambino - ero in guerra. Ho
trascorso cinque anni in guerra, i primi cinque anni della
mia infanzia, come chiunque sia nato agli inizi del '40.
Nulla a che fare con le guerre che poi mi capiterà di
vedere sullo schermo negli anni successivi. È
tremendamente diverso vedere una guerra o viverla. Quella
in corso, per gli effetti della diretta, per l'apporto dei
videotelefoni, per il fatto di essere in qualche modo «sostenuta»
dal governo che regge le sorti dell'Italia, la sento sopra
la testa e la vivo come se i bombardamenti e il pianto di
quei corpi straziati fossero vicino a me.
Ho la "sindrome da guerra": non penso ad altro
che alla morte provocata, al dolore evitabile, e non
riesco a tollerare gli annunci pubblicitari che si
inseriscono tra le macerie: come si fa a tollerare la
voglia di una crema profumata tra visi che sanguinano? Mi
dà motivo di pensare ancora più intensamente alla
stupidità, a chi forse specula sulla morte e pensa di
vendere un dentifricio che rende brillante lo smalto
mentre una bomba massacra il fegato o spacca gli arti per
sempre ad un bambino di Bassora.
Sono in ansia e appena posso tengo accesi i due televisori
per aver ancora più notizie, anzi più immagini, che mi
tirano dentro lo schermo, dentro la guerra, e talora grido
contro l'imbecille che fa briefing, contro il
despota mascherato di democrazia, contro il capo falso che
disegna pace e affitta il proprio Paese per la guerra, per
permettere che si ammazzi di più e in maniera più
efficace, e magari con minor spesa.
Io "sono in guerra". I bollettini non parlano
d'altro, ma questa volta mostrano i morti, le case che
cadono. Nulla a che fare con quella, sempre nel Golfo
Persico, del 1991: allora si vedevano soltanto strie di
luce. Si era parlato di guerra tecnologica, senza l'uomo.
Ora qui ci sono uomini rotti, bambini attoniti con il viso
sfigurato. Bambini che hanno perduto la madre e attorno
vedono la rabbia e la paura e non sanno ancora cosa sia la
vita e il mondo in cui da poco sono giunti. Vedono attorno
l'odio degli angloamericani, che talora i cronisti mi
presentano come gli alleati, così confermandomi che
uccidono anche per noi.
Tutti mi chiedono cosa fare per i bambini, perché -
almeno loro - non sentano questa disgrazia. E non si
riferiscono certo ai bambini di Baghdad o di Bassora:
quelli valgono meno di un coetaneo che abiti nei nostri
Paesi civili, "in pace".
Com'è possibile che un bambino «sia in guerra» e pensi
di non esserlo? Preoccupazioni sciocche. Un bambino che si
muova a casa mia in questi giorni sente il grido della
morte di Baghdad, sente che mia moglie è triste e talora
si perde dentro i locali in cui viviamo da sempre. Mi
chiedono cosa si debba fare per togliere dai bambini il
peso della guerra. Occorre non farla, occorre impegnarsi
per non dare il potere a qualcheduno che ritiene di farla.
E mostra la falsità di questa società: come si fa ad
essere ladri e apparire onesti? Come si fa a sembrare
fedeli e disperdersi in amori mercenari? Sembrare un buon
cittadino e frodare il fisco? Affermare di lottare per la
pace e poi mandare soldati in guerra? Perché i bambini
non conoscano l'orrore della guerra, bisogna evitare le
guerre. Oppure devono avere padri e madri che non sentano
nemmeno l'urlo del dolore di Baghdad e che guardino la
guerra come seguirebbero una partita di pallone, magari
con il senso artistico, l'estetica dell'orrore.
Si dovrebbe evitare la guerra per i bambini: perché non
crepino e perché non scoprano di essere cuccioli di un
animale, del peggiore tra le belve. Ai bambini bisogna
pensare prima di dichiarare la guerra, non preoccuparsi di
colorarla dopo. E questa volta i bambini la vivono come
l'ho vissuta io, da bambino, a Verona, quando attaccato
alle gonne di mia madre sentivo le sirene e si scappava in
cantina e poi nel rifugio pieno di gente e pieno ancor più
di paura.
A me pare di essere in guerra da sempre perché ogni
momento di questo dolore sembra sconvolgere persino il
tempo che si prolunga al di là delle regole della fisica
e della sequenza cronologica. Un attimo di dolore si fa
infinito mentre la gioia passa, corre. Ascolto le borse
finanziarie e perdo ogni orientamento in tema di follia.
Salgono se la guerra è rapida: se si fa presto ad
ammazzare spuntano gli affari, ma se si ammazza a lungo e
si lascia infine una città di soli sassi, allora la Borsa
dà segno di sofferenza. Su e giù con picchi in cui la
guerra diventa un affare.
Il dopo guerra è ancor più
legato alla follia del dollaro, la ricchezza sui morti. E
il nostro governo si è conquistato un posto per figurare
tra i protagonisti. Così «guadagneremo» qualcosa anche
sui bambini iracheni maciullati delle bombe.
Sono uno psichiatra, un esperto in follia e sanità! E
allora bisogna sapere che i bambini in questi giorni
aprono nella loro testa una nuova categoria mentale,
quella della guerra, e mettono dentro tutto il massacro a
cui assistono e così attivano categorie per immagazzinare
il male in cui sono capitati, dell'inferno in cui sono
giunti. E mi chiedono come trasformare la guerra in
un'esperienza positiva almeno per i bambini.
Eppure sono travolto dai bambini che muoiono, non da
quelli che sopravvivono. Sono preoccupato per i bambini
che crepano di fame, non di quelli che devono mangiare la
merendina per evitare il colesterolo-bambino. Sono
disperato per i disperati, non per quelli che avranno
sogni di incubo perché hanno visto la guerra che i loro
padri hanno dichiarato. Ci si preoccupa di far giocare i
nipoti mentre avvengono stragi di innocenti. Decorazioni
che sanno persino di perversione.
Una cosa è certa riguardo ai bambini, che mai farebbero
guerra. Semmai giocano alla guerra: ma il gioco è altra
cosa. È altra cosa la play-station anche se io preferisco
la Fattoria degli animali.
Questa guerra che viviamo non la si può nascondere, come
nessuno poteva raccontarmi che mentre cadeva la casa
accanto la mia in realtà qualcuno giocava a rimpiattino.
La guerra non va raccontata nella menzogna. Io la sentivo
anche quando mi prendeva in braccio mia madre: il suo
cuore sembrava impazzito, era in guerra. La sentivo perché
mio padre era in guerra e i miei zii erano già cadavere.
La guerra non si nasconde ai bambini, bisogna soltanto non
farla perché per i bambini è intollerabile. La guerra
abbatte ogni schema educativo, ogni raffinatezza
pedagogica. La guerra è la
catastrofe dell'uomo e purtroppo anche dei bambini.
Lo so che c'è una differenza tra essere a Verona con i
televisori accesi e a Bassora, ma la distanza non è tra
zero e cento, semmai lo scarto sarà di 20. Mi ricordo
quando salivo sul 747 del "Centro di formazione
piloti" a Fiumicino. Ero a terra, ma dovevo faticare
per ricordarmi che le simulazioni di pericoli e di avarie
erano solo virtuali.
Questa guerra è dentro casa, dentro di noi e dentro ogni
bambino. Per controllarne gli effetti, diversi e sempre
imprevedibili, perché legati all'età e ai singoli,
bisogna smetterla.
Bisogna far capire ai signori della guerra quanto questa
sia stupida, assurda. Anche la formula di combattere il
terrorismo con il terrore della guerra è follia. Questo
bisogna dire ai bambini. Parlare della stupidità dei
grandi e tristemente sperare che il mondo diventi bambino.
Ora è soltanto stupido.
Se vi preoccupate veramente degli
effetti della guerra sui bambini, chiedetevi cosa bisogna
fare per fermarla. Il resto è poesia, psicologismo e
falsità. La guerra non è consolabile nemmeno dagli
psicologi. Mi ricordano i
signori della guerra che prima ammazzano e poi mandano
aiuti umanitari.