Aspettando il Messia insieme a Lévinas

di Giulio Busi 

Questioni di luce e d'oscurità. L'età messianica richiama alla mente immagini di splendore divino, come di un tempo nuovo, che dissolve l'opacità del male. Perché, allora, un versetto biblico mette in guardia dal buio della fine? Dice infatti il profeta Amos: "Che sarà mai il giorno del Signore? Tenebra sarà e non luce" (Amos 5, 18). 

Fu per risolvere questa difficoltà esegetica che ci si rivolse al gallo e al pipistrello. Si racconta infatti, in una favola del Talmud, che questi due rappresentanti del mondo animale si trovarono assieme ad aspettare il  chiarore mattutino. Il gatto disse al pipistrello: "Io attendo la luce, perché mi è familiare, ma a te, a che serve?". Il pipistrello non seppe che cosa rispondere. 

A ben guardare, questo apologo talmudico è un enigma che commenta un altro enigma. E' necessaria un ulteriore interpretazione, che ci spieghi cos'ha a che fare un pipistrello con l'avvento del messia. A venirci in aiuto è Emmanuel Lévinas, maestro del pensiero del Novecento, che sa estrarre la propria filosofia da frammenti sibillini di testi antichi.

"Non vi é messianismo per il pipistrello! - scrive Lévinas - . Il gallo è lo specialista della luce: non ha solamente gli occhi per riceverla" ma sa anche intuirla, ancora nel fondo della notte. E' il simbolo dell'intelligenza, "che conosce il senso della storia prima che accada". Il pipistrello, invece, è afflitto dall'oscurità, "ma la luce non gli dice nulla". "Messianismo crudele - conclude Lévinas -, il messia si rifiuta a coloro che non sono più capaci di luce".

I brevi saggi del filosofo francese, raccolti nel volumetto sul messianismo, risalgono agli inizi degli anni Sessanta. A un'epoca in cui l'ipoteca ancora recentissima della Shoah e l'allegoria fisica della nascita dello stato d' Israele spinsero Lévinas a ripensare le radici culturali e religiose dell'utopia messianica. Spunto per questo esercizio virtuosistico di filologia filosofica sono alcuni passi del Talmud Babilonese, che compendiano le contrastanti opinioni degli antichi rabbi, circa il tempo e il significato della venuta del messia. Sono proprio le contraddizioni e le dissonanze dei diversi insegnamenti che servono a Lévinas per imbastire un'indagine fatta di continue obiezioni e dilemmi logici.

Presupposto dell'intero lavoro é che i testi rabbinici, al di là del loro involucro storico, si riferiscano a problemi fondamentali della filosofia e a questioni che riguardano l'essere in maniera  concreta e attuale. Consapevole del rischio di anacronismo, legato ad un simile tentativo di attualizzare la tradizione, Lévinas introduce il concetto di "pensiero geniale", ovvero di una densità teorica che anticipa il senso di ogni esperienza futura. Secondo il filosofo francese, le parole degli antichi maestri ebrei sono fatte di tale spessa materia concettuale e fissano "strutture intellettuali e categorie si situano nell'assoluto del pensiero". Il messianismo è, tra queste categorie, quella forse più estrema e al tempo stesso più accessibile, poiché indica una strada maestra attraverso cui avvicinarsi o prendere commiato dalla storia.

Per Lévinas, nella tradizione rabbinica si confrontano due concezioni contrastanti del tempo escatologico. Da una parte che la morale possa salvare il mondo, ovvero che la metafora messianica esprima il processo di perfettibilità interiore dell'uomo, dall'altra la credenza che la venuta del messia sarà resa possibile soltanto da "un evento oggettivo, che superi morale buona volontà". La libertà intrinseca al pensiero giudaico - tradizionalmente privo di struttura dogmatica - si manifesta nella dialettica tra questi due poli. Quella messianica é essenzialmente "un'uscita al di fuori di questa storia", una tensione che cerca di redimere l'angoscia del contingente, una domanda posta al divenire.

Emmanuel Lévinas "Il messianismo", a cura di Francesco Camera, Morcelliana, Brescia 2002, pagg. 152, € 12,00.

testo integrale tratto da "Il Sole 24 Ore- DOMENICA"  - 16 MARZO 2003