L'Iraq
«americano», la galleria degli orrori
A tre mesi dall'instaurazione della pax
Usa, un rapporto di Amnesty rivela un
quadro realistico,
e quindi orrendo, della situazione. E chiama in causa i mancati impegni
delle potenze occupanti
di EMANUELE
GIORDANA *
«La famigerata prigione di Abu Ghraib,
centro di tortura e di esecuzioni di massa sotto il regime di Saddam,
rimane ancora tagliata fuori dal mondo. Il 13 giugno i detenuti hanno
effettuato una protesta contro la detenzione a tempo indeterminato e senza
processo. Le truppe delle potenze occupanti hanno reagito uccidendo una
persona e ferendone altre sette». A raccontarlo è Abdel Salam Sidahmed,
vicedirettore del programma Medio Oriente di Amnesty
international , al rientro dalla sua missione in Iraq. E' una delle
tante violazioni delle regole del diritto dell'ultimo rapporto che
l'organizzazione umanitaria ha dedicato al paese. Nel
suo rapporto («A vantaggio di chi?» Diritti umani e ricostruzione in
Iraq) Ai si concentra sull'importanza di un reale processo di
trasparenza nella ricostruzione del paese, alla vigilia dell'appello che
lunedì l'Onu lancerà per sostenere la popolazione irachena. Ma prima di
spiegare perché sia necessario rafforzare, tra l'altro, un organismo
autonomo di supervisione del Fondo di sviluppo istituito dall'ultima
risoluzione Onu, Amnesty fornisce altre notizie di violazioni patenti. Si
parla dell'uso delle cluster bomb (bombe a grappolo), che, nel
tempo, si trasformano in mine antiuomo. Ma anche di
torture praticate dai militari britannici che Ai ha denunciato al
governo di Londra: dal 23 aprile scorso, inchieste a Bassora, Nassiriya,
al-'Amara e Baghdad hanno riportato testimonianze oculari di torture o
maltrattamenti di detenuti. «In alcuni casi -
scrive il rapporto - l'uso eccessivo della forza a portato all'uccisione
di individui disarmati tra cui anche ragazzi». Inoltre, il
fatto che persone legate al Baath siano diventate una sorta di target
autorizzato, avrebbe portato a veri e propri omicidi per vendetta in tutto
l'Iraq. Centinaia sarebbero le vittime nel distretto a maggioranza sciita
di Baghdad, un tempo noto come Saddam City.
Il rapporto si concentra poi sui diritti
economici degli iracheni: cioè sul piano di ricostruzione ampiamente
subappaltato ad aziende statunitensi di cui viene fornita una lunga e
accurata lista. Proprio su questo punto, il rapporto solleva
dubbi sulla mancanza di trasparenza nell'assegnazione degli appalti e
nella ricostruzione. Inoltre la mancanza di informazioni agli iracheni
negherebbe loro il diritto a prendere parte attiva al processo
decisionale. Quanto al Fondo Onu dove saranno versati i proventi derivanti
dalla vendita del petrolio, resta «sotto il chiaro controllo delle
potenze occupanti». E persino l'organismo «indipendente», che dovrebbe
supervisionarne le spese, non è chiamato direttamente a rispondere a
livello internazionale. Poche garanzie insomma: «Senza un meccanismo di
controllo internazionale, non vi è alcuna assicurazione che questi
organismi garantiscanoo che i progetti di sviluppo non finiscano per
causare abusi dei diritti umani», aggiunge inoltre Umberto Musumeci,
della Sezione Italiana di Ai.
Il rapporto è solo una parte del lungo lavoro di Amnesty nel paese: una
delegazione appena rientrata ha riferito che le potenze occupanti non
stanno adempiendo alle loro responsabilità di assicurare sicurezza e
benessere alla popolazione, mentre continuerebbero ad essere agli arresti
oltre 2000 iracheni, trattenuti presso aeroporti e altri centri di
custodia. A loro non sarebbe consentito incontrare parenti e avvocati e di
contestare sul piano giudiziario la propria detenzione.
L'operazione di monitoraggio su quanto sta avvenendo sembra così sommarsi
alla raccolta di prove sui motivi veri che portarono in guerra Usa, Gran
Bretagna e alleati. E dopo che a Washington e a Londra si sono mosse le
acque, con le inchieste sulle armi di distruzione di massa mai ritrovate,
qualcosa sembra muoversi anche in Italia. Dopo che diversi parlamentari
hanno subissato di interrogazioni il governo, Pietro Folena ha avuto
l'idea, assieme ad altri deputati della sinistra, di presentare un disegno
di legge per l'istituzione di una commissione d'inchiesta. «Non solo lo
hanno fatto Usa e Gb - dice Folena - ma persino il parlamento spagnolo,
non impegnato direttamente nel conflitto. Non si capisce dunque perché
anche in Italia non si debba sapere se il nostro governo era
effettivamente informato o se ha ingenuamente creduto alle bugie, come
appare siano state, fatte circolare da americani e britannici».