IDEE
Dobbiamo adesso rileggere Giobbe e lavorare per un umanesimo che non si fondi sulle divisioni ma su ciò che unisce, dobbiamo lavorare per la tolleranza anche tra i popoli

Guerra, è questo il tempo del dolore

Svanite le speranze di pace, è ora di fare silenzio e, per chi crede, di pregare. Adesso parlano i cannoni e le bombe intelligenti, parla un progetto di morte e distruzione. Si apre il capitolo della sofferenza che poteva essere evitata, quella delle vittime innocenti, dei bambini, ma anche quella dei soldati, americani e iracheni coinvolti nel conflitto

di Vittorino Andreoli

È ora di fare silenzio. Adesso parlano i cannoni e le bombe intelligenti, capaci di uccidere senza tanti sforzi e senza sprechi: non sbagliano mai per risparmiare.
Il progetto di morte prima, e la macchina di guerra poi, stanno funzionando, come il movimento degli astri del cielo, ma con una meccanica che sa di inferno. Le voci che implorano ancora la pace, ormai giungono come un lamento di antiche giaculatorie, come nenie tristi e incomprensibili.
I mostri della guerra sorridono. E anche gli italiani sono in qualche modo parte del massacro grazie alle scelte del governo. Ciascuno dovrà rispondere "davanti alla Storia, alle proprie coscienze e a Dio". E ne dovranno rispondere nei modi e nei tempi che la democrazia prevede, alle scadenze che la vita democratica impone come vaglio su tutti i leader.
È ora di fare silenzio e di sentire il dolore.
Si è chiuso il capitolo del sogno di evitare la guerra e si è aperto quello della sofferenza che la guerra provoca. Il dolore dell'uomo, quel dolore che sa anche di mistero, che si lega al tema spaventoso e drammatico del male. Si apre il capitolo del dolore che sa di incomprensione, di un errore che non solo è assurdo, ma evitabile.
Il capitolo del dolore che l'uomo provoca ad un altro uomo, quello che un popolo induce in un altro popolo. Il dolore del più forte nei confronti del più debole, del potente nei confronti del proprio sottomesso.
Il dolore evitabile, quello delle guerre certo, ma anche dell'odio che sa ferire non solo il corpo, ma la personalità e la dimensione sociale e umana dei deboli, delle vittime designate.
Il dolore che potrebbe non esserci.
A questo bisogna pensare, perché il dolore inutile va evitato: il dolore bambino, quello di chi vuole solo stare in pace e invece si ritrova in lotta. Di chi non vuole nemici e invece se li trova assegnati dalla politica del proprio governo e dalle decisioni di questo. Io che non tollero di creare nel mio simile nemmeno una fer ita psicologica, perché mi devo trovare scaraventato addirittura dalla parte della guerra? Ecco il dolore commesso da chi a parole afferma di cercare la pace. Di chi, azionando le leve del potere, ci fa complici di scelte di morte.
È tempo di silenzio e, per chi ha un Dio, di pregare e di interrogarlo sul male e sul dolore. Forse è una traccia per pensare e per costruire un umanesimo nuovo, che nasca da questo tempo infelice, ma anche così ricco di novità. L'uomo ha mani meravigliose, capaci di battere su una tastiera di pianoforte e comporre fino alla sonata come di Chopin. In grado di accarezzare e tuttavia, le stesse mani, possono strozzare un uomo e firmare una dichiarazione di guerra.
Il mistero di quest'uomo che si dichiara sapiens-sapiens e talora appare più idiota persino di un calabrone nero, che fa rumore ma almeno non ammazza un suo simile.
È tempo di rileggere Giobbe, di arrabbiarsi persino con l'Eterno, perché i bambini dell'Iraq non devono morire, sono appena nati. Chiedersi perché un intero popolo straziato e impaurito da un dittatore invece che sperare in una liberazione e nell'aiuto, si trova di fronte alla morte che è il peggiore dei dittatori possibili, alla guerra che è la peggiore delle morti possibili.
Lavoriamo per un umanesimo che non si fondi più sulle divisioni ma su ciò che ci unisce, che non butti fuori i diversi, ma sia incuriosito da quanto sanno e noi non sappiamo. Si attivi la tolleranza che è via dell'amore, senza la quale non si fa umanesimo, ma si esprime solo odio e imbroglio.
I musulmani hanno un'interpretazione diversa del Dio creatore, ma soffrono nello stesso modo e un bambino musulmano, cattolico o ebreo non si differenzia, ha soltanto bisogno di un sorriso, non di una bomba. Gli arti devono servire per esplorare il mondo, non per stare ancorati ad un letto con la voglia di correre che una bomba ha però negato per sempre. In questo momento si aspettano i bollettini di morte e i sondaggi sul loro gradimento nella gente . Mostri di stupidità.

Io che sono nessuno e non conto nulla, ascolto solo il pianto d'un bambino, la sofferenza di un bambino che ha perduto la propria madre e non aveva altro, che ha il padre che muore davanti ad un soldato, drogato di propaganda e di paura.
Sì, penso anche ai soldati, a quei corpi così buffamente vestiti, armati con strumenti di morte che ormai si impongono sulle loro stesse intelligenze. Il dramma del dolore di guerra, e su questo dolore si costruisce l'eroe, la retorica delle croci di guerra, dei monumenti ai caduti e si dimentica che sono morti mentre volevano vivere. Sono morti perché il potere è idiota. L'uomo è troppo fragile per saper gestire il potere.
E lo si vede guardando, appunto, alle dinamiche del potere. I suoi protagonisti assomigliano ai miei matti, a quelli che ora non ho più il coraggio di curare. Sto a casa, non vado più in clinica. Per dignità. Durante una guerra uno psichiatra come me si vergogna del mestiere che svolge. Non può ac cettare di occuparsi della follia e assistere impotente ai predoni delle esistenze umane e non poter intervenire. Da oggi invece mi dedicherei volentieri ai potenti della guerra e certo partirei dai matti potenti che parlano la mia stessa lingua, l'unico elemento umano che condivido con loro. Hanno trasformato il dolore in eroismo, hanno alterato persino il dolore che deve invece promuovere la meditazione sul senso dell'uomo, sui suoi limiti.
Pensare che la grandezza dell'uomo può derivare solo dai suoi limiti e che ignorarli significa perdersi e diventare un nulla che fa disastri, un onnipotente che muore, un signore che invece di dare la vita ammazza, la toglie.
Insomma adesso non ho più voglia di pensare ad altro che al dolore, al dolore evitabile, al dolore che non ha nulla né di fatale né di misterioso, e puzza solo di stupidità. Ma anche questo dolore è lacerante e vedo il volto di quei bambini che non hanno nemmeno la forza di piangere, ma sono attoniti, in faccia alla morte. Vedo lo sguardo distrutto di quei vecchi che si interrogano sul percorso della loro vita che ha portato solo al male, al dolore degli innocenti, di chi ha semplicemente toccato terra e si è trovato in una trincea e non in un paradiso terrestre.
Ecco io penso a loro adesso, li vedo e cerco dentro di me di risvegliare i sentimenti che almeno da lontano li avvolgano di comprensione e di un sorriso anche se bagnato di tristezza e di pianto.
E voglio ora ricordarmi di tutti quegli uomini che si dedicano al bene, che sono in guerra per sollevare i feriti e per dedicarsi a seppellire persino i morti. Penso con simpatia a tutti coloro che sono rimasti per dar sostegno e coraggio. Alle organizzazioni umanitarie che dentro la guerra corrono per fare la pace e per far sentire che l'uomo non è solamente quel mostro che spara e uccide, ma anche chi non ti lascia solo a morire e magari piange mentre tu piangi, che ti solleva mentre hai perduto inesorabilmente gli arti. Un amico che ti stringe la mano mentre assisti all'agonia dell'unico bene che avevi: un marito soldato o un figlio che ha giocato con il fucile da guerra piuttosto che con le bambole di pezza e gli eroi di latta.
Ecco penso a questa umanità che non somiglia in nulla al potere, che è affascinata dagli "ultimi" e vuole essere ultima fra gli ultimi. Non sapremo mai i nomi di chi la compone, ma il loro sguardo lo ricorderanno quei bambini che li hanno guardati in volto trovando ancora la speranza di un attimo, quello prima della morte.

Insomma penso a chi arriva adesso sul luogo della guerra, non a chi è scappato: alla burocrazia del potere che se n'è andata. Sono vicino a quelli che sono arrivati per aiutare gli iracheni che sono uomini e non un numero da bottino di guerra. Io sono là con loro.
E così assisto al volto dell'uomo che ammazza e di chi condivide il dolore e assiste le vittime della guerra.
Penso ai moribondi e mi cruccio perché non so ancora chi sia questo mostro strano che sa uccidere e provare pietà. Non so chi sia quest'uomo, l'uomo.
È tempo, anche per questo, di silenzio e di meditazione.

 testo integrale tratto da "Avvenire" -  25 marzo 2003