IDEE
alfabeto delle relazioni/2 Nel racconto biblico di Abramo e Isacco il
legame indissolubile tra fiducia e affetto
Un
amore di padre
di
Vittorino Andreoli
Talora i padri odiano i figli, e i figli
i padri. Una sorta di apocalisse dei sentimenti. E questo genere di
apocalissi si centrano sempre sulla colpa. Freud in Totem e Tabù
immagina sia esistita un'orda primitiva in cui si attivò il conflitto tra
padri e figli. I figli, cioè, ad una certa fase del loro sviluppo,
avvertono che le regole imposte dal padre li limitano in alcuni desideri,
in particolare per quelli relativi al possesso delle donne del clan.
Decidono così di conquistare la loro libertà e, dunque, di «ammazzarlo».
Una volta che hanno compiuto l'omicidio, sono presi dalla colpa che si
esprime con la paura e con una forte insicurezza, poiché se è vero che
ne venivano limitati, scoprono che il padre dava loro sicurezza. Adesso,
senza di lui, si sentono presi dal panico.
Fino a questo punto Freud rappresenta il concetto secondo cui esistono gli
impulsi che spingono per la loro soddisfazione, ma esiste anche un super
Io (il padre) che ne impone dei limiti, sorta di tabù inviolabili. Le
regole appaiono infatti proibizioni rispetto alla voglia di dare sfogo
agli impulsi. Presi dalla colpa, cercano di darvi soluzione e lo fanno
attraverso un gesto rituale: decidono di «mangiare» il padre e di
riportarlo quindi dentro di loro. Il banchetto diventa così la maniera
per incorporare le virtù e la forza del padre. Insomma, hanno bisogno del
padre anche se morto, in questo caso addirittura ammazzato, e diventano in
qualche modo essi stessi il padre.
Da questo racconto, che non ha mai avuto la conferma dagli antropologi e
quindi rimane una fantasia freudiana, si coglie da una parte
l'impossibilità di vivere senza il padre e soprattutto senza la sua
presenza e la sua difesa, dall'altra la necessità della sua autorità,
che non va letta come imposizione e tirannide ma come legge per poter
vivere. È la prova di un'autorità senza della quale si perde sicurezza e
si è in preda del terrore.
Crescere è un rischio
Il rimorso è proprio questo: ave r commesso un errore (il delitto, in
questo caso) di valutazione circa il senso e il ruolo delle proibizioni
del padre. E qui si presenta una questione antica seppur molto attuale: se
sia possibile cioè annullare l'imperio che impone di fare alcune cose e
di non farne altre, sostituendolo con la ricerca di un accordo che si
fonda sulla discussione e sulla condivisione raggiunte. Trasformare
insomma l'imperativo in un contratto. Il primo porta solo la firma del
padre, il secondo di entrambi, padre e figlio. Questa domanda comporta due
tipologie di padre: quella del padre che fissa le regole e quella del
padre che si mette sullo stesso piano limitandosi a consigliare alcuni
comportamenti.
A considerarla bene, questa distinzione è presente anche nella nostra
società tra «padre consulente» e «padre impositivo», colui cioè da
cui si dipende totalmente. Nel primo caso, il padre esprime il proprio
parere su un tema o un problema, permettendo tuttavia anche la decisione
antitetica, nel secondo impone senza ammettere discussione, e così
facendo apre la strada ai conflitti e alle lotte tra padri e figli.
Entro certi limiti, le due posizioni girano attorno all'asse della fiducia
o non fiducia dei figli nel padre: nella prima situazione i figli eseguono
dei comportamenti anche quando li ritengono errati. Nell'altra, quando non
c'è fiducia, vogliono sempre verificare l'attendibilità della richiesta
e si arrogano la decisione finale: qui il padre lo si sente come un
consulente che, una volta ascoltato, può essere disatteso nei suoi
suggerimenti. Da una parte insomma la fede, dall'altra la sola ragione.
È sotto gli occhi di tutti come i bambini arrivino a fare azioni che
comportano rischio per la loro stessa vita. Se non valutano il rischio del
traffico, possono attraversare la strada e venire uccisi. E allora il
padre si sente di prendere il figlio per un braccio e, senza alcun
permesso, di bloccarlo, nonostante la protesta del bambino che può
esprimersi con il pianto o con i l dissenso verbale. È altrettanto vero
che la situazione è diversa quando si tratta di decidere se frequentare
un liceo d'arte piuttosto che quello scientifico, oppure scegliere un
mestiere invece che un altro, ripudiando magari quello stesso del padre.
Diversa ancora è la situazione se il figlio ha quarant'anni e suo padre
(ruolo che non ha pensionamento) avanza valutazioni non condivise.
Insomma, il tema del conflitto si centra sulla percezione del rischio: un
bambino pensa che attraversare una strada trafficata non sia rischioso
mentre il padre sa che lo è. Il padre ritiene che guidare ad alta velocità
un motorino sia pericolosissimo per la vita del figlio che lo conduce e
per quella dei passanti che possono esserne travolti, mentre l'adolescente
ritiene che il motorino sia un oggetto per mostrarsi eroe, una specie di
cavallo su cui riesce a saltare ostacoli e piroettare.
È evidente che la percezione può essere antitetica, e quindi occorre che
si stabilisca un rapporto di fiducia. Fiducia che implica rinuncia a ciò
che mi appare, per seguire quanto appare a lui, mio padre. Questa delega -
che è una delega di vita (lascio a lui, mio padre, la guida) - scatta
quando esiste un legame di «fede», che significa autorità. L'autorità
come riconoscimento di autorevolezza, credibilità e carisma.
In sostanza, in questo legame puramente umano e necessario per muoversi
sulla scena di questo mondo terreno, si ritrova il problema del credere.
Occorre una fede nel padre terreno per poter fondare una relazione tra
padri e figli che non sia distruttiva.
Nella storia raccontata da Freud, il padre diventa sinonimo di autorità,
di difesa, e di un'autorità che può essere esercitata anche senza la sua
presenza fisica, con le sue leggi, con i suoi simboli. E qui sorge la
simbolizzazione del padre, un padre ideale, un padre in immagine, in
spirito, e da qui la via per giungere anche a un padre in cielo, ad un
Padre eterno, sempre presente.
Fra terra e cielo
Tutto ciò diventa chiaro non tanto nell'ipotesi di Freud, ma nell'apporto
di Carl Gustav Jung. Questi svilupperà meglio la riflessione e giungerà
a sancire la necessità di un padre come fatto strutturale non solo del
singolo, ma di tutti i componenti una comunità, tanto da appartenere
all'inconscio collettivo. Di qui la figura di un grande padre, di un padre
per sempre. Tale interiorizzazione del padre può anche essere letta come
metafora delle regole che egli impone credibilmente con la propria autorità,
e che diventano «legge morale dentro di me», e quindi un padre che si fa
norma.
Ce n'è abbastanza, mi pare, per segnare quel passaggio tra il padre che
è in questa terra (dominio entro cui noi ci muoviamo) e il padre della
città del cielo. Passaggio in cui si fa fatica a individuare sempre il
limite tra esperienza esistenziale concreta ed elaborazione culturale o
religiosa, poiché mi porto dentro mio padre, lo sento vivo e mi pare di
averlo con me, con i suoi insegnamenti. Un padre della terra pronto per
collocarsi in qualche angolo di cielo.
Un processo di interiorizzazione di un «Io ideale», che è simile al
padre, a confronto con l'«Io attuale», che agisce talora contrariandolo,
se non addirittura uccidendolo. La colpa è la distanza tra la voglia di
essere padre ideale e il proprio essere padre concreto. Una distanza che
si fa mancanza, e che la religione chiama peccato. Il tentativo di sanare
la differenza tra dover essere ed essere di fatto, il desiderio di
conciliazione, aprono un percorso che nelle religioni ha nome «perdono».
Tutto ciò, ammettiamolo, sa molto di terra, e non è indovinato
raccontarlo solo a partire dal cielo. Quando si va alla ricerca del padre
infatti è come prendere un treno che potrebbe giungere a frugare fino al
paradiso.
Mi piacerebbe con ciò aver chiamato i presupposti per una meditazione che
riporti la fede nella dinamica delle relazioni esistenziali: la fiducia è
un elemento della vita sulla terra senza la quale non si dà vita.
E qui si coglie il senso dell'amore come sinonimo di legame totale, ma
anche nel suo significato di difesa della vita, poiché amore vuol dire
a-more, a-morte, difesa dalla morte, terapia della morte. Significativo
allora che il contrario di morte non sia vita, ma amore! E certamente
l'amore è la condizione di massima fiducia e di fede.
E anche qui sarebbe difficile non lambire col pensiero il modello celeste,
non riferirsi al Padre celeste: non a caso si dice che è amore, si ripete
che la fede è amore, che la vita è nelle mani dell'amore. Più facile
forse è ritrovare questi significati nella città della terra. Al punto
che può diventare più agevole capire persino molti racconti del libro
del cielo. E tra i molti voglio richiamare quello che mi pare più
significativo, ed è del tutto straordinario secondo una logica puramente
umana.
Ad Abramo vien richiesto dal Padre celeste di prendere il proprio figlio
unigenito, Isacco, di salire sul monte e sacrificarlo, che poi significa
ucciderlo come si fa con gli animali. Una richiesta che non solo non
appare logica, ma persino blasfema e pertanto non degna di un padre, che
per questo può essere disatteso. Abramo è turbato, ma conosce bene il
Padre e ubbidisce. Si carica di un po' di legna, prende la mannaia e
tenendo per mano Isacco si avvia al sacrificio. È l'esempio estremo della
fede, del credo quia absurdum. Non è pensabile un'obbedienza più
difficile. Seguendo l'ordine del Padre, Abramo giunge persino a rinunciare
alla propria paternità che esige di proteggere il figlio. Lo sta per
sacrificare, sta calando la mannaia sulla testa dell'unico figlio, quando
il Signore gli appare e gli ingiunge di non procedere. Aveva voluto «semplicemente»
metterlo alla prova.
Il sacrificio impossibile
Ebbene, questo episodio mi appare come l'esempio sommo della fiducia,
della fede. Il padre, per meritare questo nome, deve amare i figli. Su
questo verte la domanda che deve porsi quando intende fare una valutazione
del su o essere padre. Non servono gli psicologi né gli psichiatri, ma
nel silenzio egli deve chiedersi se ami quel figlio, e la risposta non si
dà a parole ma con i sentimenti, col sentire il bisogno di quel figlio
come parte della vita propria. Amore per un figlio non è come un legame
con il denaro, con gli oggetti-simbolo. Se l'amore è presente, allora ci
sono le premesse per esercitare l'autorità, che è amore, poiché fuori
dell'amore diventa prevaricazione e potere violento. E anche in questo
caso, la formula che «Dio come Padre è amore» ha un fondamento
antropologico, poiché anche l'uomo deve amare per poter esser padre. E
l'amore - se c'è - viene sentito dal figlio, senza bisogno di discussioni
e dimostrazioni. Se un figlio sente di non essere amato e riceve ordini,
non li accetterà e potrà arrivare a trasgredire, anche senza alcun
motivo concreto per farlo se non l'antinomia del conflitto. Come a punire
il padre perché non lo ama. Ecco perché la pedagogia del padre è una
pedagogia dell'amore, è un affaire dei sentimenti.
Oltre la coppia
Si parla troppo di amore della coppia, come fosse l'unica sua forma, e non
si parla dell'amore coniugandolo con il figlio. Parlare di amore del padre
sembra usare un linguaggio desueto, sostituito ormai dalle parole della
psicologia, di cui c'è un abuso intollerabile. Mentre il termine giusto
è proprio amore. In quel racconto di Abramo: il patriarca dice di sì al
proprio Padre perché ha fede e amore, e il piccolo Isacco non si oppone
nemmeno quando sarà pure a lui chiaro che cosa stia succedendo, ossia che
lo sta per colpire e uccidere, ma è il padre e lui lo ama e non si
oppone. Un caso estremo, uno di quelli che mi piacciono tanto, perché
servono a mettere in luce come comportarsi quando la situazione è più
vicina all'ordinario.
Amore non è attaccamento ossessivo, amore è considerazione dell'amato,
del figlio, e l'esercizio dell'amore come difesa va giocato nell'arco
dell'esistenza e talora si può giunger e ad un padre che ha bisogno della
protezione del figlio. E certo c'è un'età in cui è difficile esercitare
il proprio amore attivamente, e magari si fa silenzioso e talora triste:
è quando i figli sono ormai adulti e sulle loro scelte è possibile solo
l'attesa e talora l'affanno. C'è un tempo in cui bisogna, ottenuta tanta
fiducia, adesso darla a loro e magari riferirsi al proprio padre, quello
che non c'è più perché li aiuti.
Insomma, padre si coniuga con amore e con nient'altro, il resto è una
decorazione, e purtroppo nel tempo presente le decorazioni hanno preso il
posto dell'essenziale. Non c'è modo di essere padre senza amore e certo
è drammatica la posizione di un padre che non ami il figlio e magari lo
detesti. Il padre è solo quello dell'amore, ma vicino a questa figura ce
ne sono molte e tutte sanno di tristezza se non di patologia: sono i padri
malati.
I genitori-non padri: hanno generato e poi sono stati assenti,
hanno dato il nome e magari un buon sostegno economico, ma non hanno
nemmeno fatto uno sforzo minimo per capire le difficoltà.
I padri-tecnici: non sentono alcun legame d'amore e si limitano a
gestire il rapporto con i figli in modo che non sia troppo pesante, con la
strategia di minimizzare, di non drammatizzare, di non vedere. Un
padre-tecnico dà suggerimenti come darebbe ad un dipendente dell'ufficio.
Di questo gruppo fanno parte anche i padri-despoti (o padroni).
I padri-mariti: sono i padri che si sentono legati ai figli
mediatamente la moglie, e quando il rapporto con lei entra in crisi, di
fatto va in subbuglio anche quello con i figli.
I padri-bambini: sono i padri che si proiettano nel figlio, e
quindi vivono una seconda infanzia e adolescenza volendo realizzare i
propri bisogni. Il figlio diventa un burattino che si muove con i fili dei
desideri paterni, con una sostituzione di bisogni. A questo gruppo fanno
parte anche i padri-sognatori, che vedono nel figlio un'eccezione:
bellissimo, intelligentissimo, geniale.
I super-padri: sono i padri che non accettano mai nemmeno una
critica e non sopportano di mettersi in rapporto con i figli se non nel
ruolo fissato, come se non ci fosse nulla da imparare da loro. Come se si
trattasse di una posizione adamantina, senza alcuna venatura.
I padri dell'incostanza: sono persone che hanno un rapporto
mutevole, con fasi anche affettive, che poi diventano fredde. Dal calore
al freddo glaciale. Possono incorporare a «pezzetti» le figure che
abbiamo elencate. Un'occasione per dire che la costanza e la coerenza dei
sentimenti e dei legami padre-figlio sono un elemento sostanziale, poiché
nella continuità c'è la sicurezza
testo integrale tratto da "Avvenire"
- 3 febbraio 2004