IRAQ
«Bush ha imbrogliato»
Piovono accuse, anche di Turner, ex capo della Cia
di FRANCO PANTARELLI
NEW YORK
George Bush cerca fondi per la
campagna elettorale del 2004 che dovrebbe finalmente farne un presidente
«legittimo», dopo il «regalo» ricevuto dalla Corte Suprema nel 2000, e
ne trova a bizzeffe grazie alla felicità che le sue iniziative fiscali
hanno diffuso fra i donatori ricchi; i suoi avversari cercano argomenti
per ottenere un'inchiesta seria sulla manipolazione delle informazioni
riguardanti le armi di sterminio per distruggere le quali lui ha fatto la
guerra in Iraq e ne trovano sempre un po' di più, anche se finora il loro
lavoro non è riuscito a scuotere i deputati e i senatori repubblicani
fermamente intenzionati a rendere le iniziative in corso in varie
commissioni parlamentari il più innocue possibili. Ormai si contano a
decine i siti su Internet che riportano come in un tam tam silenzioso
tutte le affermazioni fatte a sue tempo da Bush in persona o da qualcuno
di coloro che lo circondano, contro le quali si erge il fatto
incontrovertibile (e imbarazzante) che le armi di sterminio in Iraq non
sono state trovate, nemmeno a paese occupato. In compenso, le cose che su
questa storia vanno esattamente nella direzione opposta e che sono state
accertate senza possibilità di dubbio sono almeno due e le ha scandite
con veemenza il senatore John Kerry, uno dei democratici che stanno
cercando di ottenere la nomination del loro partito per affrontare
Bush nel 2004. Ieri ha deciso di unirsi al coro di quelli che credono alla
manipolazione. «Ha imbrogliato ognuno di noi - ha detto - e questa è una
delle ragioni per cui sto correndo per diventare presidente degli Stati
Uniti: per non imbrogliare più nessuno». I due punti su cui Bush si è
basato per giustificare l'attacco all'Iraq sono stati che Saddam Hussein
aveva cercato di acquistare uranio in Africa (il che lo indicava come
prossimo a possedere armi nucleari) e che disponeva di mezzi capaci di
lanciare un attacco contro gli Stati Uniti con armi biologiche. «Ambedue
sono risultati falsi e non è chiaro se si sia trattato - dice Kerry - di
un pessimo lavoro dei servizi segreti, di una distorsione della
informazioni disponibili o se quelle stesse informazioni sono state
manipolate». E' per questo, per stabilire quale di quelle tre ipotesi è
quella giusta, che «il Congresso deve indagare. Da parte mia, non intendo
lasciare in pace il presidente durante questa campagna su un punto
importante come quella della credibilità dell'America».
Secondo il suo concorrente alla nomination democratica Howard Dean
(loro due sono quelli che attualmente ottengono il maggior favore del
pubblico nel New Hampshire, dove si svolgerà la prima elezione primaria)
è necessario arrivare alla nomina di uno special prosecutor (come
fu Kenneth Starr per Bill Clinton per la faccenda di Monica Lewinsky e lo
«storico» Archibald Cox con Richard Nixon nel Watergate) perché «non
ci si può fidare di un Congresso dominato dalla destra».
Parlare di special prosecutor significa parlarte di possibile impeachment,
e infatti quella parolina ha cominciato a uscire fuori nel silenzioso tam
tam di cui si diceva, grazie a uno che se ne intende di sicuro: quel John
Dean che fu una figura di spicco nel procedimento contro Nixon e che finì
anche in galera. «Quello di mapolare le informazioni è un reato grave
che comporta l'impeachment», ha detto. Poi ci sono gli ex spioni, cioè i
pensionati della Cia che in questo caso hanno abbandonato il loro
tradizionale riserbo per parlare apertamente. L'ultimo è stato Stansfield
Turner, che diresse il servizio segreto durante la presidenza di Jimmy
Carter. Secondo lui l'amministrazione Bush ha come minimo «stiracchiato i
fatti» e quello che oggi occopa il suo posto, George Tenet, rischia di
fare da capro espiatorio».
testo
integrale tratto da "Il Manifesto" del 20 giugno 2003
________________________________________________________________________________
IRAQ
Il Congresso Usa
indaga
Al via indagine dei deputati sulle «verità» di
Bush
FRANCO
PANTARELLI
NEW YORK
Ieri alla Camera è cominciata la revisione di come la
Casa Bianca giunse alla determinazione che la guerra all'Iraq doveva
essere fatta «immediatamente». Le domande cui rispondere riguardano
l'amministrazione Bush (se ha indicato la minaccia irachena più imminente
di quanto i rapporti dei servizi segreti giustificassero) e i servizi
segreti medesimi (se furono spinti a produrre analisi che appoggiassero la
posizione della casa Bianca di andare alla guerra in ogni caso). Una prima
riunione della commissione Servizi Segreti della Camera è avvenuta ieri e
un'altra avrà luogo oggi. Joseph Hoeffel, deputato democratico della
Pennsylvania e uno dei più netti nel contrastare la guerra all'Iraq, ha
mostrato di nutrire molte speranze. «L'amministrazione deve affrontare un
crescente gap di credibilità su che tipo di informazioni ha ricevuto dai
servizi segreti e su come quelle informazioni sono state utilizzate. La
Casa Bianca ha creduto ciò che voleva credere? Ha sentito solo ciò che
voleva ascoltare e ha detto al Congresso solo ciò che voleva che il
Congresso sapesse?». Ma, per ora, nessuno immagina niente di paragonabile
ai problemi che Tony Blair sta affrontando in Inghilterra. Le riunioni
sono a porte chiuse, i commissari hanno il divieto assoluto di parlare
delle cose di cui discutono. E poi la maggioranza repubblicana ha già
avuto modo di bloccare una richiesta dei democratici di chiedere
direttamente a Bush di spiegare su quali informazioni si è basato per le
affermazioni sul possesso da parte del regime iracheno di armi di
sterminio (che ormai da mesi le forze d'occupazione americane in Iraq
stanno «cercando» senza successo) e quelle riguardanti il legame fra il
regime e Al Qaeda (che ultimamente è stato negato dai due più alti
esponenti del gruppo teroristico nelle mani degli americani). I deputati
repubblicani sostengono che non aveva senso sentire il presidente perché
la Cia e altre «agenzie» hanno già fornito alla commissione migliaia di
pagine, è su quelle i deputati dovranno basarsi.
In questa fase l'unico compito dei deputati è di analizzare quelle
migliaia di pagine, come per i senatori. Anche per loro ieri era prevista
una riunione della commissione Servizi Segreti. E per il presidente
repubblicano della commissione, Pat Robertson «bisogna fare come i
deputati». Ma lì almeno c'è ancora la possibilità di discutere. Jay
Rockefeller, il leader della minoranza democratica nella commissione, ha
detto che si batterà per «un approccio più attivo». La voglia di
attaccare un presidente «così popolare», nelle stanze della politica di
Washington, è ancora molto poco diffusa.
testo integrale
tratto da "Il Manifesto" del 19 giugno 2003