L'accusa del Papa che invoca il giudizio di Dio

di Marco Politi

Davanti a Dio Karol Wojtyla chiama a rapporto George W. Bush. Il vecchio Pontefice non gioca con le parole, non gioca soprattutto con chi, come il presidente americano, si sente investito di una missione dinanzi all'Altissimo, ma non è riuscito a convincere della giustezza della propria scelta né la maggioranza degli Stati né tantomeno  la maggioranza dei popoli e neanche buona parte dei  dei propri compatrioti.  Bisogna tornare indietro di vent'anni, quando Giovanni Paolo II scomunicò il sistema sovietico definendolo una "vergogna"  del tempo presente, per  trovare parole altrettanto solenni pronunciate nel palazzo apostolico. Karol Wojtyla  rispetta e apprezza la storia del popolo americano, la sua democrazia, il suo senso religioso, ma proprio per questo non concede  nessuna giustificazione ad un leader che freddamente ha deciso di scatenare una guerra in nome di una pulsione di potenza  perseguita da mesi, da anni, e i cui prodromi - il Vaticano  lo sa bene - risalgono  a ben prima della data fatidica dell'11 settembre. 

Sembrano scritte da mano invisibile, sulla parete del palazzo di un imperatore dimentico del mondo, le parole scarne che il portavoce  Navarro ha diffuso ieri mattina: «Chi decide che sono esauriti tutti i mezzi pacifici che il Diritto Internazionale mette a disposizione si assume una grave responsabilità di fronte a Dio, alla sua coscienza e alla storia.» Chi ritiene che un blitz delle soverchianti armate americane contro l'Iraq metterà tutto a posto, si sbaglia. Karol Wojtila è convinto che nulla sarà più come prima dopo l'attacco ordinato da Bush  e che la destabilizzazione provocata resterà come una pagina scritta a caratteri ancora neri di quelli della tragedia delle Torri Gemelle. Alla sua radio il pontefice fa dire sin d'ora che quanti hanno voluto la guerra «evitino di attribuirsi una missione salvifica» e non pretendano di agire in nome dei valori occidentali.

E' scritto a parole maiuscole Diritto Internazionale nel breve comunicato stampa pubblicato dalla Santa Sede. Non a caso.  L'unico sovrano che Giovanni Paolo II ammette nel secolo XXI è la norma di convivenza, che i popoli si sono dati dopo la carneficina  della Seconda guerra mondiale. Solo la legge condivisa e rispettata, ritiene il pontefice, è garanzia di sviluppo dell'umanità. Ha scandito poche settimane fa con tacitiana concisione monsignor Jean-Louis Tauran, ministro degli esteri papale: «O la forza della legge o la legge della forza». Nel momento in cui prevale - sembra prevalere - la seconda, Karol Wojtyla chiama il presidente americano dinanzi al tribunale della storia.  C'è amarezza, non abbattimento nel palazzo apostolico in queste ore. Giovanni Paolo II sente di avere combattuto degnamente la sua battaglia negli ultimi mesi.  Sente soprattutto di avere seminato per il futuro.  Prima di altri il vecchio ponteficie ha intuito e dato voce alla fame di pace, che pervade milioni di uomini e donne del pianeta, e al loro istintivo rifiuto delle motivazioni che hanno messo in moto in macchina di guerra. Se cento anni fa, allo scoppio della Prima guerra mondiale, le masse caddero nella trappola patriottica invocando il sostegno di Dio alle armi del Kaiser, della Repubblica del Britsh Empire, del Regno, Karol Wotjtyla ha contribuito oggia smascherare  con i suoi instancabili interventi ogni "suprema giustificazione". Italiani e Turchi, Inglesi e Spagnoli questa guerra non la condividono  e non  la vogliono. Il Papa non è il deus ex machina di questa situazione, ma certamente ha potentemente contribuito a creare il clima, anti-guerra diffusosi nel mondo. Wojtyla ha strappato alla voglia di guerra ogni velo di legittimazione, mostrando che le pressioni diplomatiche, politiche e anche militari potevano - e potrebbero tuttora - portare al tragurado del disarmo del dittatore di Bagdad. Ma soprattutto Giovanni Paolo II ha fatto sì che la discussione sulla centralità e il ruolo delle Nazioni Unite tornasse prepotente alla ribalta. E' stata una battaglia tutta laica, quella del romano pontefice, senza traccia di interessi clericali, tutta protesa all'affermazione delle regole fondamentali su cui solo può fondarsi il diritto delle genti e lo sviluppo dei popoli. Giovanni Paolo II ha seminato, non chiude sconfitto questa fase, così come non si sentì sconfitto quando nel 1981 il suo sindacato Solidarnosc sembrò cancellato sempre. La Santa Sede lavora sui tempi lunghi. Dicono in queste ore nel palazzo apostolico che almeno quattro sono i risultati raggiunti.

Mai come ora si è manifestata in tutto il mondo la convinzione della che la pace è un bene prezioso, garanzia di civiltà. 

Mai come ora è apparso chiaro che i popoli possono progredire soltanto in una rete di rapporti fraterni. 

Mai come ora le religioni hanno giocato un ruolo di pace invece di dilianarsi nel nome (abusato) di Dio.

E, infine, l'Onu resta l'unica istanza a cui rifarsi se non si vuole la legge della giungla.

C'è forse un pizzico di utopia in questa analisi.

Ma non è un profeta chi si inchina alla realpolitiK o supposta tale.

Dinanzi al Dio della storia Karol Wojtyla chiama al voto la giuria dell'umanità.            

testo integrale tratto da"La Repubblica" -19 marzo 2003