"Tempo Perso - Alla ricerca di senso nel quotidiano"

Nella difesa dei valori il ruolo dei credenti

di Giancarlo Zizola

Il discorso del papa a Verona integra la "lezione di Ratisbona" ed è facile prevedere che non sarà immune da discussioni non meno accese, anche se misurate sullo scenario italiano. Gli è dovuto il merito di sprovincializzare l'approccio ai problemi religiosi dell'Italia, per quanto tipici, ponendo in cima ai saperi cattolici la questione religiosa globale del confronto tra teologia e scienza.

 

 L'Italia è pensata dal papa tedesco come parte di un Occidente secolarizzato anzitutto dalla cultura scientifica, fmo a sfide che hanno strappato al filosofo cattolico Pietro Prini l'allarme per uno "scisma sommerso”. Nella sua riflessione a puntate sulla prerogativa razionale della fede, Ratzinger prende le distanze dalla "follia" della Resurrezione, costituzionale del cristianesimo secondo San Paolo, scarta la "scommessa" pascaliana così come ora si stacca dalla «tendenza a dare il primato all'irrazionale, al caso e alla necessità» in cosmologia.

 

 Le riserve teologiche s'impongono, ma si dovrà ammettere che questo ostinato illuminista cristiano obbliga anche la Chiesa italiana a fare i conti con il fatto che la questione scientifica sconvolge gli schemi rituali dei rapporti tra Chiesa e società.

 

 Vista dall'alto della sua cattedra, e forse da una solitudine della sovranità ancora priva di consiglieri adeguati, la crisi del cattolicesimo da noi non appare sulla soglia di allarme nè giunta a livelli tali da impedire un sostanziale ottimismo sull'eccezione religiosa" dell'Italia rispetto al resto dell'Europa. 

 

 Il suo pessimismo cognitivo è addirittura rivisto nella sua proposta ermeneutica della modernità, di cui ha descritto l'ambivalenza in modi non integralistici nè dannatori. Se il male moderno gli appare in aumento con l'era "oggettiva" (non occorre avere gli occhi di un Papa per accorgersene) egli ha preferito questa volta invitare a un discernimento di valori attivi nel tempo. Ha legittimato la critica sul neoliberalismo diffuso, sulla sua inconciliabilità non solo con il cristianesimo ma anche con le tradizioni religiose e morali dell'umanità.

 

 Ed è da questa postazione veritativa che ha teso la mano ai teocon,un passo del quale non potevano sfuggirgli ambiguità e rischi ma del quale ha comunque delimitato le condizioni: la Chiesa di Ratzinger ha un evidente interesse al recupero delle nostalgie cristiane recondite di questi "atei devoti", mette le carte in tavola su ciò che unisce prima che su ciò che divide, secondo una memorabile, antica formula rilanciata da Giovanni XXIII. E ciò che unisce non è poco: almeno l'ammissione della crisi di una razionalità autoreferenziale e di un'etica troppo individualista. Il Papa non chiede agli "atei devoti" conversioni ma convinzioni.

 

 A fare la differenza resterebbe una fede "sale della terra", irriducibile a instrumentum regni, mero supporto dell'identità dell'Occidente. Il senso di questo "supplemento d'anima" aveva illuminato la prolusione del cardinale Tettamanzi e ispirato una corrente di fondo di aspettative della base al Convegno. Una svolta riformatrice era invocata per l'uscita della Chiesa dalla cristianità di regime. Il Papa ha risposto con la dichiarazione di cessata supplenza politica della gerarchia e la simmetrica riconsegna della politica all'autonomia dei laici cristiani, una richiesta ormai incontenibile e che dovrebbe comportare una certa cesura rispetto alla prassi gerarchica recente.

 

  Ma la transizione disegnata da Benedetto XVI per la Chiesa italiana è evidentemente nel segno di una continuità prudente. Il colpo d'ala atteso è per un'altra volta. Come è nello stile della Chiesa, la misura innovativa sul rifiuto della Chiesa "agente politico" viene circoscritta dalla citazione della Chiesa «in ruolo sociale trainante» proposta da Wojtyla a Loreto e incarnata dal ventennio di Ruini, da inni al dovere della testimonianza pubblica dei cattolici, da inviti a restituire alla fede piena cittadinanza nella cultura contemporanea e soprattutto da concrete sollecitazioni per maggiori fondi alla scuola cattolica e per escludere dall'ordinamento pubblico forme di unione che non siano quelle del matrimonio. Dunque direttive gerarchiche penetranti che potrebbero complicare, più di quanto lo favoriscano, l'esercizio di quell'autonomia politica dei cattolici che viene contestualmente riconosciuta in principio.

 

Un intervento in cui è leggibile, per la sua ambivalenza, il prolungarsi della fase d'incertezza del pontificato, e che nel tentativo di non rompere l'equilibrio ereditato nella Chiesa dalla lunga stagione di Wojtyla rimette le scelte alle mani di chi sarà chiamato a tradurre gli orientamenti di Verona assumendo la pesante successione di Ruini alla testa dell'episcopato.  

 testo integrale pubblicato da  "Il Sole 24 ore" - 20 ottobre 2006