"Tempo Perso - Alla ricerca di senso nel quotidiano"

I cattolici del terzo tipo

Davanti agli interventi della Cei non si dividono solo in «obbedienti» e «adulti». 

di Gianni Vattimo

Le reazioni dei cattolici alle recenti prese di posizione della Conferenza Episcopale italiana appaiono a prima vista classificabili in due categorie: una è quella dei cattolici obbedienti, a cui bisogna aggiungere i «laici rispettosi», che hanno cominciato a moltiplicarsi da quando è diventato chiaro che la difesa della famiglia, dei «valori» della tradizione giudaico-cristiana, della civiltà europea può agevolmente esser fatta coincidere con lo spirito della lotta al «terrorismo internazionale» capeggiata dall’amministrazione Bush.

L’altra categoria è quella dei cattolici «adulti», così li ha chiamati lo stesso Prodi, i quali accettano in linea di principio la disciplina richiesta dalla Chiesa, ma rivendicano il diritto di leggere molte prescrizioni - e specialmente l’ultima là dove si impone loro, quando siano parlamentari, di non votare cosiddetti Dico - limitandone la perentorietà attraverso il richiamo di altri e più «aperti» documenti del magistero ecclesiastico. È ciò che fa per esempio uno dei più autorevoli intellettuali cattolici italiani, Giuseppe Alberigo (la Repubblica, 30 marzo) in un denso e appassionato articolo, del quale è difficile non condividere molti passaggi. Alberigo resta e vuole restare un fedele figlio della Chiesa, intesa come gerarchia ecclesiastica, «il Papa e i vescovi uniti con lui». Per questo segnala persino le «pieghe» che, nel documento della Conferenza episcopale, manifesterebbero le riserve di certi vescovi che non vogliono usare questo documento come una clava e che lo intendono solo, o quasi, come un invito ai politici cattolici «affinché si interroghino sulle scelte coerenti da compiere». Ricorda poi momenti e personalità della storia recente d’Italia (De Gasperi, Andreatta...) che forniscono significativi esempi di un cattolicesimo liberale mai completamente tacitato.

Tuttavia: non sarà il caso di tener conto anche di un terzo possibile tipo di reazioni? Alludiamo a quelle di molti altri credenti, che si chiamano cattolici perché battezzati e che non hanno ancora aderito ai movimenti per lo «sbattezzo», del resto vani perché il battesimo «imprime il carattere», dice(va) il catechismo, non si può cancellare; ma che da tempo hanno rinunciato ad ascoltare la voce della Chiesa cosiddetta docente, pur partecipando alla vita della Chiesa militante, sforzandosi di praticare la carità e di non perdere la fede per lo scandalo che subiscono proprio dai loro pastori. La loro fede è spesso molto più sincera di quella dei tanti atei devoti che piacciono all’episcopato, e al potere. Rispetto ad Alberigo si distinguono perché prendono più chiaramente atto di una situazione in cui la Chiesa (la gerarchia), dimenticando il Concilio e Giovanni XXIII, ha scelto di essere una parte in lotta, «terribilis ut castrorum acies ordinata» secondo un’espressione della liturgia. Anche la recente ripresa del dogma dell’Inferno esprime i fondo questo spirito guerriero, echeggia Bush: chi non è con noi è contro di noi, niente più «pieghe» nascoste dei documenti papali, niente più enciclica contrapposta ad enciclica. Non sarebbe ora che i credenti rivendicassero finalmente la loro libertà di ascoltare la parola di Dio senza la mediazione di una nomenklatura che amministra i sacramenti come se fossero «cosa loro» (essere cattolici ha un prezzo, ha detto di recente un «ateo devoto»)? Non si può sbattezzarsi, certo; ma almeno convertirsi finalmente al cristianesimo.

 testo integrale pubblicato da  "La Stampa" - 4 aprile 2007